Le ragioni di Mattarella nel rifiutare quella nomina, ma lo ha fatto nella sede sbagliata

di Salvatore Curreri

Pur nel massimo rispetto del ben più autorevole collega, mi permetto di non condividerne il pensiero. Secondo l’art. 92 Cost. “il Presidente della  Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”. Da qui due conclusioni: a) il Presidente del Consiglio propone, non impone, i ministri al Presidente della Repubblica al quale b) spetta il potere di nomina.

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Mattarella non poteva, ma doveva rifiutare la nomina

di Roberto Bin

Noi costituzionalisti siamo spesso attratti dall’interpretazione delle disposizioni costituzionali specifiche che punteggiamo la c.d. forma di governo: e siccome i punti sono pochi, integriamo il disegno con altro, per lo più derivato dal c.d. sistema politico. In questo modo è quasi inevitabile confondere il dover essere (il precetto costituzionale) con l’essere (lo stato attuale dei rapporti politici).

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Mattarella e il veto presidenziale: quando la Costituzione resta in silenzio

di Corrado Caruso*

II Presidente Mattarella ha agito correttamente nell’opporre il suo veto al Prof. Savona? Valutare l’azione degli organi costituzionali senza farsi influenzare da considerazioni di stretta politica contingente è impresa ardua. Ciò nonostante, uno sforzo di emancipazione dall’incubo delle passioni, come cantava qualche anno fa Battiato, è doveroso, se si vuole evitare di appiattire il diritto costituzionale sull’esistente. La Costituzione non dà risposte: «il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e , su proposta di questo, i ministri», afferma l’art. 92 Cost.

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Nomina del primo ministro e nomina dei ministri: quali sono le differenze?

di Omar Chessa
In un articolo precedente ho scritto che il Capo dello Stato non è tenuto a nominare i ministri proposti dal neo-nominato Presidente del Consiglio; e che il rifiuto non ha bisogno di essere motivato in base a principi costituzionali “sostanziali”, bastando a tal fine la norma di competenza prevista dell’art. 92 della Costituzione, secondo la quale «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri».

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Tre libri da leggere: Kelsen su Dante, Schmitt sul giudice e Losano su Bobbio

di Davide Galliani

Non capita tutti i giorni di avere sulla scrivania tre libri come questi: Hans Kelsen, Lo Stato in Dante, Mimesis, 2017, Carl Schmitt, Legge e giudizio, Giuffrè, 2018 e Mario G. Losano, Norberto Bobbio, Carocci, 2018. In meno di un anno, tre pietre miliari, che brillano grazie agli Autori e ai temi indagati.

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Il “contratto di governo” e le questioni migratorie: nihil sub sole novum?

di Donatella Loprieno*

Nel contratto di governo, sulla cui “stravaganza” già hanno qui scritto Alessandro Morelli e Omar Chessa, le questioni legate ai fenomeni migratori vengono affrontate con un mix di superficialità, ridondanza, colpevole misconoscimento delle novità già introdotte dalla legge Minniti-Orlando e di quanto a livello di istituzioni europee si sta provando a fare specie in materia di Stato competente ad esaminare le domande di protezione internazionale.

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Chi guiderà il governo presieduto dal professor Conte?

di Giovanni Di Cosimo

All’indomani delle elezioni del marzo scorso, non era affatto scontato che si trovasse una maggioranza disposta a sostenere il Governo. E invece sta per nascere il Governo Conte. Salvo sorprese dell’ultima ora, dovrebbe essere scongiurato lo scenario più catastrofico, quello dello scioglimento anticipato delle Camere a legislatura appena cominciata.

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Il (presunto) veto presidenziale sul ministro dell’economia è legittimo?

di Omar Chessa *
Facciamo finta che il Capo dello Stato sia un organo di garanzia costituzionale. Non è un esercizio d’immaginazione troppo difficile, visto che la tesi è parecchio diffusa nell’opinione pubblica e tra i costituzionalisti, da Serio Galeotti in poi. Ora, se il Presidente è garante della Costituzione, può legittimamente rifiutarsi di accondiscendere alle richieste delle forze politiche che paiono di dubbia costituzionalità: ebbene, la proposta di nominare quale ministro dell’economia uno studioso che non fa mistero delle sue perplessità sull’unione monetaria europea conterrebbe un vulnus al dettato costituzionale, tale da giustificare un diniego presidenziale? La difesa dell’euro equivale a difendere la Costituzione vigente?

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I silenzi e le contraddizioni dei costituzionalisti conservatori

di Stefano Ceccanti
Dopo vari giorni di silenzio il fronte del costituzionalismo conservatore, che si era eccitato contro la riforma costituzionale, viene rotto da un’intervista odierna di Gustavo Zagrebelsky a “la Repubblica”. Essa contiene molte affermazioni condivisibili, pur in ritardo e nonostante toni decisamente più misurati rispetto alle critiche alla riforma del 2016, che era in realtà molto meno discontinua con la nostra Costituzione rispetto agli interventi previsti oggi.

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Il “contratto di governo”: quando la retorica politica supera diritto pubblico e diritto civile

di Valeriana Forlenza*

La versione definitiva del “contratto di governo” fra M5S e Lega ha ottenuto il lasciapassare da parte degli iscritti del movimento a seguito della consultazione lanciata sulla piattaforma digitale Rousseau. All’indomani dell’accordo il leader Di Maio si affrettava a dichiarare “Non è un’alleanza” – pena altrimenti la lettera scarlatta “I” – “ma un contratto di governo”.

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Mandato parlamentare alla portoghese? Il “contratto di governo” non è chiaro

di Alessandro Morelli

 Il “contratto di governo” è ormai quasi concluso. La bozza del 15 maggio consta di ben 29 punti, alcuni dei quali, come si legge nel testo, bisognosi di “un ulteriore vaglio in sede contrattuale”, altri di “un vaglio politico primario”, mentre altri ancora sarebbero “in corso di approfondimento”. Tra i punti più interessanti troviamo l’introduzione di un “vincolo di mandato popolare” (punto 19), che, com’è noto, è uno dei cavalli di battaglia del M5s.

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“Contratto di governo”: una riflessione sulle nuove parole del diritto pubblico

di Omar Chessa*
Un tempo i governi nascevano da un “accordo di coalizione”. In questi giorni, invece, si predilige la formula “contratto di governo”. Cos’è successo? Nulla di importante – potrebbe rispondersi – perché la sostanza rimane la stessa. Ma le parole non sono mai neutrali. E l’uso del termine “contratto” per significare quello che un tempo era chiamato “accordo” o “compromesso” nasconde un grumo, forse inconfessabile, di paure e pregiudizi che vanno oltre la dimensione psicologica, per riguardare anche quella politico-costituzionale. Non c’è dubbio che oltre venti anni di “regolarità maggioritaria” abbiano lasciato un segno nella coscienza collettiva e nel senso comune. Mentre Hans Kelsen, uno dei principali teorici novecenteschi della democrazia parlamentare, celebrava il «compromesso parlamentare» tra partiti diversi quale fattore di neutralizzazione del conflitto politico-sociale e garanzia di qualità della legislazione, invece l’abbandono in Italia del sistema proporzionale puro all’inizio degli anni Novanta si accompagnò a un mutamento di paradigma nella percezione diffusa degli accordi parlamentari post-elettorali, ai quali dovrebbero sempre preferirsi – così vuole il senso comune che egemonizza il dibattito pubblico – gli accordi pre-elettorali, direttamente premiabili o sanzionabili dagli elettori col voto. E fu così che il compromesso parlamentare iniziò a essere chiamato, con intento palesemente spregiativo, “inciucio”.

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