Gli affitti brevi, il Consiglio di Stato e una sentenza travisata

di Giacomo Menegus

Rimbalza sui social da questa mattina un articolo del Sole24Ore dal titolo roboante (e fuorviante) “Affitti brevi, stop ai limiti imposti dai Comuni” (qui). Secondo il pezzo una sentenza del Consiglio di Stato di qualche giorno fa, emessa nei confronti del Comune di Sirmione, segnerebbe «un importantissimo precedente nella vicenda degli affitti brevi, dando un duro colpo alle amministrazioni che, in più parti d’Italia, stanno provando a regolare il fenomeno con regole costruite a livello locale».

Nientepopodimeno! Peccato che leggendo la sentenza non emerga nulla di tutto ciò. Il caso all’attenzione della giustizia amministrativa è infatti un caso tutto lombardo, legato strettamente alla disciplina normativa introdotta dalla Regione Lombardia per gli affitti brevi. Proviamo a spiegarlo brevemente.

La normativa lombarda sul turismo, racchiusa principalmente nella legge regionale n. 27 del 2015, prevede che alcune specifiche disposizioni trovino applicazione anche per le locazioni per finalità turistica.

Si tratta della disposizione che introduce il Codice identificativo di riferimento (CIR, art. 38 della legge), già a suo tempo impugnata dinanzi alla Corte costituzionale senza che questa la ritenesse illegittima (Corte cost. n. 84 del 2019), e del regolamento regionale n. 7 del 2016, sui servizi, sugli standard qualitativi e sulle dotazioni minime di una serie di strutture ricettive non alberghiere, espressamente applicabile anche alle locazioni turistiche (si v. art. 3, comma 3, del regolamento).

È previsto inoltre che, per l’avvio di attività di locazione turistica non imprenditoriali, in luogo della SCIA sia sufficiente una semplice Comunicazione di Inizio di Attività (CIA, art. 38).

Il quadro normativo lombardo così tracciato non prevede invece né uno specifico potere regolamentare per i comuni lombardi in materia di locazioni turistiche, né specifici poteri inibitori o conformativi da parte dell’amministrazione comunale rispetto alla Comunicazione di Inizio Attività per locazioni turistiche non imprenditoriali (che è appunto una mera comunicazione).

Il Comune di Sirmione aveva invece adottato uno specifico regolamento – in assenza di base legislativa – e aveva rifiutato una comunicazione di avvio di una locazione turistica non imprenditoriale, inibendone l’attività, perché la comunicazione sarebbe stata carente sul piano documentale, secondo prescrizioni non previste nel regolamento regionale lombardo (che, va detto, non risulta chiarissimo nell’identificazione delle norme applicabili alle locazioni turistiche), ma solo nel regolamento comunale.

Cosa c’entri questa vicenda – in cui si fa una semplice applicazione di basilari criteri di interpretazione della legge (al netto di qualche sbavatura nella parte generale ricostruttiva) – con Bologna, Firenze e Venezia, è un mistero.

Nel caso bolognese, si tratta di norme del regolamento edilizio, pacificamente di competenza comunale, che ben si possono applicare a tutte le locazioni turistiche, dato che questa attività ricettiva, secondo la normativa emiliana, rientra nella categoria dei c.d. “Appartamenti ammobiliati per uso turistico”. E difatti il TAR Emilia-Romagna ha dato ragione al Comune di Bologna su tutta la linea a fronte dei ricorsi presentati nel frattempo.

Le iniziative del Comune di Firenze che si sono succedute negli ultimi due anni si fondano l’una sulla Legge toscana sul governo del territorio (art. 99, comma 3, l. n. 65/2014) per quanto riguarda la Variante al Piano operativo (ossia il c.d. “blocco sul centro UNESCO”), l’altra sul nuovo Testo Unico del Turismo (art. 59, legge regionale n. 61/2024) per quanto riguarda il nuovo regolamento in corso di approvazione. Benché siano pendenti diversi ricorsi dinanzi al giudice amministrativo, non v’è alcuna analogia nelle questioni affrontate, dato che le basi legislative degli interventi fiorentini sono chiaramente individuate.

Venezia poi potrebbe avvalersi addirittura di una norma speciale (art. 37-bis, d.l. n. 50/2022), prevista in una legge statale, che conferisce uno specifico potere regolamentare al Comune: il punto è, semmai, se l’attuale Amministrazione si degnerà di attuarla, ma questo è un altro discorso.

La sentenza del Consiglio di Stato conferma invece un altro aspetto – che pure non necessitava di conferma alcuna: le Regioni possono ben intervenire in materia di locazioni per finalità turistiche, estendendo, se del caso, la disciplina prevista per altre attività ricettive o prevedendo specifiche norme ad hoc. Lo dice, d’altra parte, la Corte costituzionale sin dal 2019 (si v. la citata sentenza n. 84/2019), e lo ha ribadito lo scorso anno (sent. n. 94 del 2024), affermando che la disciplina delle locazioni turistiche valdostana, impugnata nel caso di specie, «si pone al crocevia delle materie dell’urbanistica e del turismo»; materie sulle quali tutte le Regioni, comprese quelle ordinarie, hanno senz’altro qualcosa da dire.

Se non bastano queste poche righe, si può persino leggere la sentenza del Consiglio di Stato per intero, invece di pochi brani capziosamente decontestualizzati; magari con quel minimo di “infarinatura giuridica” che consente di non prendere fischi per fiaschi.

Please follow and like us:
Pin Share
Condividi!

Lascia un commento

Utilizziamo cookie (tecnici, statistici e di profilazione) per consentire e migliorare l’esperienza di navigazione. Proseguendo con la navigazione acconsenti al loro uso in conformità alla nostra cookie policy.  Sei libero di disabilitare i cookie statistici e di profilazione (non quelli tecnici). Abilitandone l’uso, ci aiuti a offrirti una migliore esperienza di navigazione. Cookie policy

Alcuni contenuti non sono disponibili per via delle due preferenze sui cookie!

Questo accade perché la funzionalità/contenuto “%SERVICE_NAME%” impiega cookie che hai scelto di disabilitare. Per porter visualizzare questo contenuto è necessario che tu modifichi le tue preferenze sui cookie: clicca qui per modificare le tue preferenze sui cookie.