di Felice Blando
Da autentico liberale, Giuseppe Maranini combatté per la completa indipendenza della Magistratura, proponendo l’alternativa «magistrati o funzionari». In altre parole, giudici autentici o burocrati nelle mani del potere. Per l’oggi può anche dirsi che si è andati ben oltre. Più che giudici, i nostri magistrati sono largamente «liberi professionisti», e come tale si comportano e si auto-organizzano. Ad esempio, si consentono di riunirsi in congresso per diversi giorni, nel pieno della settimana che dovrebbe essere lavorativa. E molti di loro sono sistematicamente impegnati in dibattiti e consessi di vario tipo. E accade che nel pieno dell’anno giudiziario si proclami uno sciopero contro la proposta di riforma costituzionale di parte del Titolo IV della Costituzione.
Anche qui si vorrebbe sapere come sta la cosa in diritto. Certo il magistrato non può essere come l’operaio o l’impiegato, con precisi orari di lavoro. Inevitabilmente e largamente è lo stesso magistrato a organizzare il suo lavoro. Per quanto concerne, invece, l’esercizio del diritto di sciopero da parte dei magistrati, nulla la Costituzione asserisce in via esplicita: se non fosse così, la soluzione della questione si troverebbe in un’interpretazione logico-sistematica dell’indicazione costituzionale.
In materia, pur essendo da tempo considerato legittimo lo sciopero dei dipendenti pubblici – beninteso in via generale, cioè eccezion fatta per determinate categorie in relazione al tipo di prestazione svolta – lo sciopero dei magistrati non sembra da considerarsi in tesi legittimo. Se si ritiene che l’esercizio della giurisdizione sia una funzione che renda compartecipi della sovranità (art. 101, 1° comma) e che i magistrati concorrano a costituire uno dei poteri dello Stato e abbiano, in aggiunta, il potere di disporre della polizia giudiziaria, ne deriva in via logico-sistematica che essi non possano esercitare il diritto di sciopero: come, a dimostrazione, sarebbe un assurdo logico-giuridico uno sciopero dei membri del Parlamento o dei Ministri.
E non è un caso che il modello di Magistratura a cui pensarono i Costituenti fu un modello di «ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» (art. 104, 1° comma). Omettendo le infinite discussioni che la formula ha causato, a me pare corretta l’interpretazione che ritiene che la Costituzione abbia pensato alla Magistrature come ad un «potere», in quanto ha dato per presupposto che si tratta di un potere «neutro», non avendo essa poteri di indirizzo politico. Questa impostazione mette in luce l’illegittimità dello sciopero della magistratura proclamato per il 27 febbraio di quest’anno per influire su direttive politiche specifiche che proprio a essa si indirizza. In questo caso lo sciopero cesserebbe di operare come uno strumento di autotutela di categoria, per trasformarsi in un indebito tentativo di sovrapposizione dei pubblici funzionari all’organo politico. La Magistratura finisce così col porsi in sostanziale esorbitanza dai limiti della propria competenza costituzionale, mentre, viceversa, il rispetto delle fondamentali scelte politiche legalmente espresse è l’abc della democrazia parlamentare.
Di rincalzo, l’ordinamento assicura con altri mezzi l’indipendenza e la libertà morale di un organo costituzionalmente neutrale come la Magistratura: sancendo l’inamovibilità del giudice, la sua nomina non elettiva, l’obbligatorietà dell’azione penale, il controllo di costituzionalità delle leggi, l’autogoverno dell’ordine giudiziario. La riforma costituzionale (non della giustizia) ma della gestione delle carriere dei magistrati approvata dalla Camera – e ora all’esame del Senato: v. A.S. n. 1353 – pur puntando alla separazione delle carriere fra giudice e pubblico ministero, non prospetta per quest’ultimo il venir meno delle garanzie che gli spettano nell’interesse pubblico. Sergio Bartole – nel presentare la riforma in questa testata – ha sottolineato l’affacciarsi di una minacciosa Prokuratura, inquadrata in Costituzione. Così il Governo – di cui non possiamo ignorare il tono vendicativo che attualmente usa verso la Magistratura – si potrebbe trovare contro inquirenti e giudicanti unitamente. Due corporazioni sono peggio di una!
Resta da fare un’ultima considerazione. Mentre la cultura accademica ufficiale e in particolare la manualistica corrente continua ad accreditare l’immagine del magistrato come arbitro estraneo alle passioni degli uomini comuni e separato dal contesto dei conflitti politici, l’esperienza delle aule giudiziarie e della vita delle istituzioni si affretta a smentire regolarmente la fondatezza delle premesse che sono il sostegno nascosto di quella effigie. La Magistratura non è più un organismo impenetrabile nei confronti delle tensioni e delle pressioni della politica, ma è al contrario una cassa di risonanza delle tensioni e delle pressioni medesime.