di Alice Valdesalici e Federica Cittadino
Studiare la regolamentazione del cambiamento climatico significa, tra le altre cose, analizzare le condizioni che rendono possibile una struttura decisionale che sia efficace nel contrastare la crisi climatica. Il libro open access “Climate Change Integration in the Multilevel Governance of Italy and Austria” (Brill 2022), con l’obiettivo di analizzare l’integrazione del cambiamento climatico nella governance multilivello di Italia e Austria, ha individuato cinque fattori che favoriscono un adeguato processo decisionale multilivello del cambiamento climatico. Tra questi fattori, quello del finanziamento delle politiche climatiche gioca un ruolo particolare perché, come il libro ha messo in luce, i bilanci dei governi subnazionali di Italia e Austria sono molto opachi in tal senso e maggiore chiarezza sui fondi disponibili a livello sub-statale gioverebbe nel favorire una migliore programmazione e un più efficace monitoraggio dell’azione delle regioni italiane e dei Länder austriaci. È da queste considerazioni che emergono gli elementi di comunanza tra il principio del pareggio di bilancio e le relative competenze costituzionali, da un lato, e l’inquadramento della competenza in materia di cambiamento climatico, dall’altro.
Il pareggio di bilancio e la lotta ai cambiamenti climatici sono due temi di grande rilevanza e attualità, ognuno con le proprie implicazioni e sfide per gli stati contemporanei. La necessità di garantire il pareggio di bilancio, e la sostenibilità del debito pubblico, ha richiesto nel recente passato uno sforzo importante in capo all’Unione Europea (UE) per fronteggiare una crisi che ha progressivamente contagiato un gran numero di stati e, tra questi, l’Italia. Oggi uno sforzo importante è richiesto per la lotta ai cambiamenti climatici, viste le implicazioni che questi hanno, da un lato, per la vita dell’uomo e le società umane così come le conosciamo e, dall’altro, per gli equilibri naturali e la salute degli ecosistemi.
Al contempo, queste due sfide presentano inediti tratti in comune che vale la pena esplorare per capire se alcune soluzioni giuridiche applicate nel primo campo possano essere utili per fronteggiare la crisi climatica. Il pareggio di bilancio (e le competenze complementari di armonizzazione dei bilanci e di coordinamento della finanza pubblica) si prefigge l’obiettivo di mantenere le finanze pubbliche in equilibrio, evitando deficit eccessivi. Analogamente, nella lotta contro il cambiamento climatico, il controllo delle emissioni di gas serra, e quindi la ricerca di un equilibrio tra attività umane inquinanti e protezione del clima, è una necessità al centro delle strategie di mitigazione. Basti pensare al bilancio climatico o carbon budget, adottato nell’ambito del Regolamento europeo 2021/1119 per calcolare il livello annuale di emissioni idoneo al raggiungimento dell’obiettivo di neutralità climatica al 2050, che sembra mutuare la propria logica proprio dalla finanza pubblica. Se ci si sposta al coordinamento della finanza pubblica, che con il pareggio vive in una relazione simbiotica, emerge come la gestione oculata delle risorse finanziarie sia essenziale per affrontare tanto le sfide economiche quanto quelle ambientali. Il coordinamento tra enti territoriali, la pianificazione strategica e l’allocazione efficiente delle risorse possono essere estesi anche alla crisi climatica.
Da un punto di vista costituzionale, emergono poi nel contesto dell’ordinamento italiano importanti analogie tra la tutela dell’ambiente, e con essa nello specifico la sfida del cambiamento climatico, da un lato, e il pareggio di bilancio e – più in generale – il coordinamento della finanza pubblica, dall’altro. Tali elementi riguardano il carattere trasversale e la natura multilivello di questi ambiti competenziali. L’analogia risalta ancora di più se si guarda alla natura delle competenze in gioco, con particolare riferimento al loro ‘atteggiarsi’ nella dinamica delle relazioni intergovernative. Entrambe le competenze, finanza pubblica e cambiamento climatico, hanno infatti una forte connotazione finalistica e sono caratterizzate da una spiccata trasversalità.
Sul carattere trasversale e la natura multilivello del coordinamento della finanza pubblica e del cambiamento climatico. Con riferimento al coordinamento della finanza pubblica, il richiamo più immediato è alla giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale evidenzia come trattasi di “competenza funzionale”, che in quanto tale non ricade su un oggetto ben determinato, ma va letta in senso finalistico, come riferita a finalità strategiche il cui perseguimento legittima di volta in volta un intervento (statale) a garanzia dell’equilibrio finanziario complessivo (Corte cost., sent. n. 414/2024).
Se la lente si sposta poi sulla competenza a disciplinare le misure e le modalità con cui dare attuazione ai principi del pareggio di bilancio e di sostenibilità del debito, si può ritenere si tratti di una competenza dello Stato sui generis, in quanto non riconducibile ad un titolo competenziale preciso tra quelli elencati all’art. 117 Cost., ma di una competenza di tipo speciale – e in questo caso esclusiva – che trova la propria base giuridica nell’art. 81 Cost. e nell’art. 5 L.cost. n. 1/2012[1]. Secondo la Corte costituzionale, “la salvaguardia degli equilibri di bilancio […]’ non può ridursi alla materia armonizzazione dei bilanci (sent. n. 88/2014), ma risulta inscindibilmente connessa al coordinamento della finanza pubblica” (sent. n. 284/2009). Una tale ampia lettura del principio del pareggio del bilancio ha evidentemente delle implicazioni sulle relazioni finanziarie intercorrenti tra lo Stato e le autonomie territoriali, poiché il principio del pareggio di bilancio e i suoi corollari vengono inevitabilmente a trovarsi al centro di un “intreccio polidirezionale [di] competenze statali e regionali in una sequenza dinamica e mutevole della legislazione”, che in quanto tale non può limitarsi alla sola armonizzazione dei bilanci, ma si estende ad ambiti ulteriori, classificabili appunto come coordinamento della finanza pubblica (Corte cost., sent. n. 184/2016).
Mutatis mutandis, anche la tutela ambientale è una competenza sui generis. Inizialmente non presente all’interno del dettato costituzionale, la tutela dell’ambiente è stata incorporata a partire dagli anni ’80 tramite un’interpretazione estensiva dell’articolo 9 della Costituzione, secondo cui la Repubblica protegge il paesaggio. A partire da questa disposizione, la Corte costituzionale ha inquadrato la tutela dell’ambiente come principio o valore costituzionalmente protetto (Corte cost., sentt. nn. 407/2002, 536/2002, 226/2003, 227/2003, 311/2003, 391/2005, 63/2020). Solo nel 2001 è stata individuata come materia di competenza statale, attraverso la riforma costituzionale che ha modificato il Titolo V della Costituzione italiana e in particolare l’art. 117. Più recentemente, nel 2022, la lettura della tutela ambientale come materia-valore è stata confermata dalla riforma costituzionale degli articoli 9 e 41 della Costituzione italiana, in ragione della quale la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi è entrata esplicitamente a far parte dei principi fondamentali dell’ordinamento italiano. Tale riforma ha inserito in Costituzione anche il parametro dell’equità intergenerazionale: la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi deve avvenire “anche nell’interesse delle future generazioni” (art. 9, c. 3, Cost.). Tale parametro non era però inedito nel panorama italiano, dal momento che la Corte costituzionale lo aveva utilizzato proprio in materia finanziaria per giustificare la necessità di contenere il deficit di bilancio (sentt. nn. 88/2014, 18/2019 e 115/2020).
Il cambiamento climatico a sua volta è competenza di natura trasversale che trascende i confini tradizionali di singoli titoli competenziali. Non è possibile circoscrivere questo settore di intervento ad un unico ambito materiale, piuttosto, esso si intreccia con diverse aree che spaziano dalla tutela ambientale, di competenza statale, fino a settori più specifici come l’energia, i trasporti e l’urbanistica. Inoltre, alcune regioni italiane a statuto speciale hanno competenze primarie o secondarie in materia di acque e di paesaggio, le quali mostrano importanti interferenze con il cambiamento climatico. In altri termini, il cambiamento climatico deve essere contrastato regolamentando una vasta gamma di attività umane che vengono disciplinate a diversi livelli di governo. Questo significa altresì che il contrasto al cambiamento climatico non può prescindere da un approccio integrato e coordinato che coinvolga tutti i livelli di governo, dalla sfera nazionale a quella locale, passando per le peculiarità regionali.
Invero la dimensione multilivello è per entrambe le funzioni – finanziaria e ambientale – imprescindibile, a fortiori nel contesto degli ordinamenti europei, siano essi stati composti o unitari. La sola appartenenza all’UE e il ruolo rivestito da questa rispetto alla crisi climatica nonché attraverso il sistema di governance economica, insieme alla presenza diffusa di un governo subnazionale o quantomeno locale, rende un tale approccio nella regolamentazione di queste due sfide contemporanee inevitabile a meno di non vanificare le finalità perseguite. La natura multilivello di queste funzioni rende pertanto necessario che un coordinamento sia verticale, tra più livelli di governo, sia orizzontale, non solo tra settori collegati ma anche tra singole regioni ed enti locali.
Nel caso del pareggio di bilancio tale coordinamento è necessario perché il bilancio dello Stato è il risultato consolidato dei bilanci dei vari enti territoriali che di esso sono parte, per cui non si può “ammettere che ogni ente faccia in proprio le scelte di concretizzazione” (Corte cost., sent. n. 425/2004). Nel coordinamento finanziario, l’attività di coordinamento è implicita non solo nel nome scelto dal legislatore, ma è anche elemento essenziale intrinseco al principio di autonomia e decentramento di cui all’articolo 5 della Costituzione. Nel caso del cambiamento climatico, il coordinamento sia verticale che orizzontale è necessario per la natura trasversale e composita del cambiamento climatico. Quest’ultimo non è riconducibile ad una competenza specifica, ma è un obiettivo da raggiungere attraverso interventi sia in aree di esclusiva competenza statale, come la protezione dell’ambiente, sia in molteplici settori riconducibili a competenze concorrenti, dove quindi anche le regioni hanno il potere di agire. La realizzazione degli obiettivi di mitigazione e adattamento, inoltre, si concretizza attraverso i processi di pianificazione regionali e locali, trovando quindi nel livello sub-statale e locale il necessario complemento. Anche il cambiamento climatico richiede un coordinamento orizzontale tra regioni perché, in maniera analoga a quanto avviene per gli obiettivi internazionali ed europei, i target di riduzione, ancorché globali, richiedono una suddivisione di oneri tra Stati (all’interno dell’UE per l’Italia) e successivamente anche tra gli enti territoriali, e quindi nel caso dell’Italia tra le regioni e le province autonome. Basti pensare ai numerosi piani e strategie regionali che fissano obiettivi di riduzione delle emissioni a livello regionale per concorrere all’obiettivo nazionale dell’Italia, che a sua volta confluisce nel sistema dell’effort sharing europeo.
Analogie tra strumenti e soluzioni: esempi di contaminazione. Posto che le caratteristiche strutturali degli ambiti di intervento pubblico in materia di finanza pubblica e cambiamento climatico presentano diverse analogie, è possibile che il cambiamento climatico possa mutuare delle soluzioni e degli strumenti dalla finanza pubblica? Detto altrimenti, a quale strumentario potrebbe ispirarsi la politica italiana per affrontare in maniera più efficace la lotta al cambiamento climatico?
Una prima analogia tra strumenti riguarda l’obbligatorietà del pareggio di bilancio, sia sotto il profilo legislativo che nell’azione amministrativa. Non solo il bilancio e il rendiconto sono approvati con legge dalle Camere, ma la Costituzione prevede che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri deve provvedere ai mezzi per farvi fronte (art. 81 Cost.). Sempre la Costituzione sancisce che tutte le amministrazioni pubbliche, in coerenza con l’ordinamento dell’UE, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico (art. 97 Cost.). L’obbligatorietà riguarda peraltro tutti i livelli di governo, come sancito anche dall’articolo 119 della Costituzione.
Nonostante gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni climalteranti siano vincolanti, l’Italia non ha uno strumento efficace per realizzare l’integrazione del cambiamento climatico in maniera trasversale in tutte le politiche ad esso collegate. Da questo punto di vista, sarebbe utile introdurre un controllo preventivo sia sul piano legislativo che amministrativo a diversi livelli. Un esempio è il cd. climate check, introdotto nei Länder austriaci esaminati nel già menzionato libro “Climate change integration”, Tirolo e Vorarlberg, per verificare che la legislazione e i piani di nuova adozione siano in linea con gli obiettivi di protezione del clima concordati per i diversi livelli di governo. Questo controllo preliminare potrebbe contribuire a rendere effettivamente vincolante nell’azione pubblica il raggiungimento degli obbiettivi climatici. Sarebbe dunque auspicabile che una procedura analoga venisse introdotta anche in Italia, anche considerato che basterebbe una legge ordinaria.
Guardare all’ambito finanziario è utile anche per immaginare delle deroghe e dei meccanismi di flessibilità che potrebbero introdursi anche in relazione agli obiettivi climatici. La regola del pareggio ammette infatti delle eccezioni. Il ricorso all’indebitamento è per esempio consentito per lo Stato per considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta, al verificarsi di eventi eccezionali (art. 81 Cost). Gli Stati UE possono infatti deviare temporaneamente dalle regole (il c.d. obiettivo a medio termine) o dal percorso di aggiustamento, nel caso si verifichino circostanze eccezionali. A livello regionale, esistono poi dei meccanismi che permettono agli enti territoriali di compensare il loro deficit di bilancio per finanziare investimenti, a patto che vengano stabiliti piani di rientro e sia mantenuto l’equilibrio di bilancio per il complesso degli enti appartenenti a ciascuna regione. Ogni regione può dunque assegnare agli enti locali situati nel suo territorio uno spazio finanziario extra, “prendendolo in prestito” da quegli enti che non hanno bisogno di spendere l’intero ammontare delle risorse a loro disposizione. Ciò è possibile anche attraverso accordi su scala nazionale sia orizzontale (con le altre regioni) che verticale (con lo Stato).
Da questi meccanismi di compensazione interterritoriale potrebbe prendere spunto l’Italia in tema di carbon budget. Non solo questo dovrebbe essere definito in maniera puntuale per ogni settore, ma l’entità dello sforzo di riduzione delle emissioni dovrebbe essere ripartito in maniera chiara tra le diverse regioni, anche in considerazione del diverso impatto che le attività produttive hanno nel territorio italiano. Se questi aspetti fossero regolamentati – auspicabilmente in maniera concertata con le regioni –, si potrebbe prevedere infatti una compensazione interregionale delle emissioni, nel caso alcune regioni per ragioni eccezionali e documentate non potessero assicurare il raggiungimento degli obiettivi regionali. Tale meccanismo ha dato i suoi risultati nell’ambito del già citato effort sharing europeo, che prevede un obiettivo unico a livello europeo con la specificazione di quote statali diverse proporzionate al livello di emissioni di ciascun paese e meccanismi di flessibilità tramite il mercato interno delle quote di emissioni.
L’obbligo di pareggio di bilancio e la flessibilizzazione ammessa in tale ambito ci insegnano ancora che questa flessibilizzazione deve essere soggetta a limiti temporali. L’ente “insolvente” è infatti tenuto a ripianare il debito contratto entro tre anni. A livello europeo, secondo le nuove regole del patto di stabilità, i paesi con un debito eccessivo saranno tenuti a ridurlo in media dell’1% all’anno se il loro debito è superiore al 90% del PIL, dello 0,5% all’anno in media se è tra il 60% e il 90%. Tale previsione si può probabilmente ricondurre al principio di sostenibilità del debito pubblico nella sua declinazione territoriale, nonché in un’ottica intergenerazionale.
La logica temporale, in ottica intergenerazionale, potrebbe essere applicata anche nel caso di una flessibilizzazione del bilancio climatico, perché la licenza a inquinare di più per un certo periodo avrebbe comunque delle esternalità negative sia per le regioni interessate sia per le regioni confinanti, che dovrebbero quindi trovare un limite temporale e per le quali non sarebbe sufficiente una pura compensazione in termini di acquisto di quote di emissione da altre regioni. La necessità di porre un limite a questi disavanzi di emissioni si traduce per esempio, a livello europeo, in un periodico aggiornamento dei target di riduzione europei e delle rispettive quote statali e potrebbe essere applicato anche a un eventuale meccanismo di compensazione tra regioni a livello statale.
Vi è infine un aspetto che emerge ampiamente nella lotta al cambiamento climatico, ma che fatica ad emergere nel settore finanziario. Si tratta delle cosiddette assemblee per il clima, ovvero consessi di cittadini che deliberano su questioni climatiche attraverso decisioni inclusive e plurali che si collocano nel solco degli strumenti di democrazia partecipativa. Di queste sperimentazioni – perché ancora di questo si tratta per lo più – troviamo esempi ancora embrionali in materia finanziaria, per lo più riconducibili allo strumentario dei bilanci partecipativi. Se la complessità e il tecnicismo della finanza pubblica hanno in passato limitato la diffusione di strumenti partecipativi in tale settore, viceversa, la particolare diffusione di tali strumenti in materia di cambiamento climatico – settore di intervento non esente da complessità e tecnicismo – non può non contribuire a far risaltare il contributo che potrebbero invece dare i cittadini anche in materia di finanziaria e quindi portare ad un ripensamento delle soluzioni che si potrebbero esportare, con i dovuti accorgimenti.
I dati degli scienziati climatici e l’esperienza maturata in tale ambito evidenziano in modo inequivocabile che il cambiamento climatico non è un fenomeno futuro, ma una realtà attuale, con impatti particolarmente significativi sul continente europeo. La necessità di raggiungere gli obiettivi climatici diventa quindi un imperativo che supera in importanza l’equilibrio finanziario, poiché riguarda la sopravvivenza stessa del nostro ambiente e, di conseguenza, della società umana. Lette in questo contesto, la comparazione e le analogie discusse in questo contributo sono dunque strumentali a fornire spunti concreti per lo sviluppo di politiche climatiche efficaci che devono essere intraprese con urgenza e determinazione anche dall’Italia, poiché solo attraverso azioni mirate e sostenibili si può sperare di mitigare gli effetti del cambiamento climatico e garantire un futuro al nostro pianeta.