di Franco Sciarretta
In questi giorni televisioni e giornali hanno rimbalzato senza sosta la notizia dello “sciopero” degli stabilimenti balneari indetto da alcune associazioni di categoria e consistito nella ritardata apertura degli ombrelloni.
Questa originale forma di protesta si deve all’intervenuta scadenza delle concessioni balneari, ormai sancita a più riprese dalla Corte di giustizia UE e dal Consiglio di Stato, che rende privi di effetto i titoli a suo tempo rilasciati, imponendo alle amministrazioni pubbliche di bandire le gare per l’affidamento delle nuove concessioni.
La Corte di giustizia UE, in applicazione del divieto di rinnovo automatico di concessioni di occupazione del demanio marittimo, ha stabilito che i giudici nazionali e le autorità amministrative devono disapplicare le disposizioni nazionali contrarie che prorogano i titoli concessori.
In linea con la giurisprudenza europea, il Consiglio di Stato ha escluso ripetutamente il diritto dei concessionari alla proroga del rapporto concessorio, affermando l’obbligo delle amministrazioni pubbliche di dare corso alle procedure di gara per l’assegnazione delle (nuove) concessioni in un contesto realmente concorrenziale.
Poche settimane fa ancora la Corte di Giustizia UE ha stabilito che, alla scadenza delle concessioni balneari, lo Stato italiano può acquisire le opere inamovibili senza versare alcun indennizzo alle imprese che le hanno realizzate. Da qui l’accesa protesta dei gestori balneari che sono insorti contro il Governo italiano e l’Europa che disconoscerebbero il loro lavoro, i loro sforzi, i cospicui investimenti effettuati nel corso di decenni a beneficio della collettività.
Ora se è legittimo tutelare i propri interessi economici nelle forme ritenute più consone, le modalità della protesta appaiono sganciate dalla realtà.
Intanto, indire uno “sciopero” è un fuor d’opera. Senza scomodare la Carta costituzionale, lo sciopero è propriamente un’astensione dal lavoro dei dipendenti, con conseguente perdita della relativa retribuzione, non già dei datori di lavoro.
Questo “sciopero” non ha come controparte il Governo, ma la clientela che avrebbe potuto lamentare un inadempimento contrattuale, di cui sarebbero stati chiamati a rispondere gli stessi gestori.
Senza tacere che gli “scioperanti” continuano ad operare in difetto di un legittimo titolo di occupazione del demanio pubblico, un fatto che sembra rendere non dovuti i corrispettivi richiesti alla clientela, che potrebbe richiederne la restituzione.
Gli ormai ex concessionari, poi, hanno goduto per molti anni di una indubbia rendita di posizione, anche in ragione di reiterate proroghe legislative (l’ultima con l’art. 3 l. 118/2022) che hanno precluso l’accesso al mercato di altri operatori economici.
A fronte di un mercato “ingessato”, la Corte dei conti ha ripetutamente segnalato come il ridotto gettito complessivo ricavato dallo Stato dai canoni concessori sia di gran lunga sottodimensionato rispetto all’ingente fatturato delle imprese balneari.
Alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici, il risultato rappresenta il criterio prioritario nell’affidamento delle concessioni e la concorrenza tra gli operatori economici è funzionale al migliore risultato possibile – in termini di costi e benefici – nell’interesse della comunità.
Di queste circostanze sarebbe il caso di tenerne conto per eventuali nuove proteste, evitando di potere essere considerati dei meri “scioperati” privi di alcun titolo giuridico.