di Glauco Nori
Tra scadenze previste e fatti nuovi può riuscire utile tentare di mettere un minimo di ordine su alcune questioni non per arrivare a soluzioni, ma solo per cercare di ridurre incongruità e contraddizioni.
La legge elettorale italiana, oggi in vigore, non consente le c.d. preferenze per scegliere i candidati da eleggere nella componente proporzionale. L’ordine secondo il quale i candidati saranno eletti è deciso dalle gerarchie dei partiti, naturalmente poco disposte a rinunziare a questo strumento di potere. Costituzionalmente legittimo? Fino ad ora non sembra che si sia sentita la necessità di porsi la domanda.
Secondo l’art.48 Cost. il voto è libero, salve le limitazioni indicate nel terzo comma. Nella la legge attuale potrebbe vedersi una limitazione perché consente all’elettore di scegliere il partito o, comunque, la lista, ma non da chi vuole essere rappresentato in Parlamento. Basta questa prima scelta o l’elettore ha il diritto di individuare anche chi deve rappresentare il partito che vota ?
Sembra che la seconda sia l’ipotesi corretta, stando a come se ne trattò in Assemblea Costituente. Sui collegi uninominali l’elettore sa per quale candidato vota; nella quota proporzionale il suo voto può consentire l’elezione di uno dei candidati in elenco senza sapere quale, anche di uno che non avrebbe preferito. Il voto si potrebbe definire in incertam personam.
Qualche dubbio sembra fondato. La decisione andrebbe rimessa alla Corte costituzionale. Per essere coinvolto un diritto individuale, ciascun elettore dovrebbe essere legittimato a sollevare la questione davanti alla Corte. Non risulta che l’argomento sia stato affrontato. Non sarebbe da escludere una via indiretta. Se alcuni elettori, malgrado la conformazione delle schede, votassero anche per un candidato, scelto da loro, e al momento della proclamazione dei risultati risultasse che qualcuno abbia avuto più voti individuali di quelli utilizzati per l’elezione automatica di almeno uno degli altri, la questione finirebbe probabilmente con l’essere sollevata dal chi, da quei risultati, deve trarre le conseguenze. Reintroducendo le preferenze, verrebbe meno anche l’interesse, che ogni tanto riaffiora, a utilizzare le elezioni europee per fini interni, alterandone la funzione.
Si torna a proporre modifiche della Costituzione, ma con argomenti quasi sempre assertivi, senza una motivazione coerente, almeno sotto il profilo del metodo. Indicato l’obiettivo, si dovrebbe anche dire perché le modifiche proposte siano le più utili per realizzarlo e con quali effetti sulla struttura costituzionale complessiva. Secondo la Costituzione sono tre i vertici ai quali è rimesso l’esercizio dei poteri superiori: il Parlamento, il Presidente della Repubblica ed il Presidente del Consiglio (andrebbe ricordato che in Assemblea Costituente si evitò di definirlo Capo del Governo per confermare la collegialità). Che la modifica dei poteri di uno dei vertici non incida sulla posizione degli altri è solo una formula di comodo.
Si sta parlando anche di un intervento sull’autonomia regionale. Che non tutte le Regioni concordino sulla richiesta dovrebbe mettere sull’avviso. E’ stato prospettato il pericolo che possa aggravare gli squilibri attuali. Da quelle, che sinora sono state le reazioni, sembrerebbe che per qualcuno possa essere corso senza preoccuparsi troppo.
Dopo le modifiche costituzionali del Titolo V, che hanno aumentato i loro poteri, alcune Regioni sono venute a trovarsi in posizione peggiorata rispetto alla altre per la loro efficienza minore. Aumentarne i poteri, e non contemporaneamente, potrebbe peggiorare la situazione. Se anche non potesse sorgere un problema di costituzionalità, sarebbe forse il caso di porsene qualcuno di opportunità politica.