di Michele Carducci
Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (OHCHR), competente a monitorare il rispetto dei diritti umani tra i paesi membri (Italia inclusa), ha approvato una serie di risoluzioni, riguardanti la guerra di Israele a Gaza.
In particolare, in una prima risoluzione, adottata con 28 voti favorevoli, 6 contrari e 13 astensioni, intitolata “Situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est, e obbligo di garantire i principi di responsabilità e giustizia”, il Consiglio, ribadendo il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, ha intimato a Israele di revocare immediatamente il blocco della Striscia di Gaza e di porre fine a tutte le altre forme di repressione collettiva, sollecitando un immediato cessate il fuoco e l’accesso umanitario d’emergenza nella contestuale adozione, da parte degli Stati, di misure immediate per impedire il continuo trasferimento forzato di palestinesi dentro o fuori Gaza.
Con la medesima risoluzione, il Consiglio ha condannato gli attacchi contro i civili, compresi quelli avvenuti il 7 ottobre 2023, chiedendo il rilascio delle persone ancora in ostaggio, ma mettendo anche in guardia contro qualsiasi operazione militare su larga scala contro la città di Rafah, in ragione delle devastanti conseguenze umanitarie, che ne deriverebbero e perché Israele deve comunque assumersi le proprie responsabilità di prevenzione del genocidio.
Infine, ha affidato alla “Commissione internazionale indipendente d’inchiesta nei Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est e Israele”, il compito di predisporre un rapporto (da presentare al Consiglio di sicurezza in occasione della sua cinquantanovesima sessione del giugno 2025) in materia di trasferimento o vendita, a Israele, di armi, munizioni, tecnologia e componentistica a c.d. “duplice uso” (di pace e di guerra), qualificandone le conseguenze giuridiche in base al diritto internazionale.
In collegamento con questa risoluzione, una seconda, deliberata con 36 voti a favore, 3 contrari e 8 astensioni, ha intimato agli Stati membri di non fornire a Israele alcuna assistenza utilizzabile per gli insediamenti nei territori occupati dal 1967 e di interrompere l’importazione di prodotti da tali insediamenti, estendendo anche alle aziende l’obbligo di cessare le loro attività all’interno o in connessione con gli insediamenti israeliani.
Le deliberazioni adottate lasceranno indifferente Israele, nonostante il richiamo al possibile crimine di genocidio, su cui incombe, com’è noto, l’accertamento davanti alla Corte Internazionale di Giustizia. Ciononostante, le loro ricadute all’interno degli Stati membri, destinatari delle risoluzioni, potranno essere significative e del tutto inaspettate.
Infatti, dopo una prima presa di posizione del febbraio scorso, in tema di compravendita di armi, l’OHCHR si espone direttamente sul fronte dell’autonomia contrattuale di Stati e aziende sul c.d. “duplice uso” di qualsiasi prodotto o know-how militare e lo fa per scongiurare il concorso o contributo, di Stati e aziende, alla violazione massiva dei diritti umani a Gaza. Per la prima volta, l’autonomia contrattuale è messa in discussione per ragioni umanitarie in uno scenario di guerra, dove incombe, per di più, la possibile consumazione del ripugnante crimine di genocidio.
Per un paese come l’Italia, la cui Costituzione “pacifista” (M.G. Losano, Le tre costituzioni pacifiste Il rifiuto della guerra nelle costituzioni di Giappone, Italia e Germania, Berlin, Max Planck Institute for European Legal History, 2020) «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», si aprono interrogativi del tutto inediti. L’Italia, come Stato, non è coinvolta nelle operazioni di Gaza. Ma le imprese italiane si, perché sono le imprese a sottoscrivere con Israele, o società israeliane, i contratti di compravendita a “duplice uso” di prodotti o know-how militari. E di queste, alcune, come Leonardo, sono anche partecipate dallo Stato stesso per cui, per esse, vale il c.d. “Nexus” disciplinato dal Governo nel suo “Piano di Azione Nazionale su Impresa e Diritti Umani”, strumento adottato – tra l’altro – in ottemperanza ai “Guiding Principles on Business and Human Rights” dell’ONU.
Il suddetto “Nexus” contempla quanto segue: «Gli Stati dovrebbero:
– adottare ulteriori misure di protezione contro gli abusi dei diritti umani da parte delle imprese che sono di proprietà o controllate dallo Stato, o che ricevono un sostanziale sostegno e servizi da parte di organismi statali, come le agenzie di credito all’esportazione e le agenzie ufficiali per l’assicurazione degli investimenti o le agenzie di garanzia, compresa, se del caso, la richiesta di Due Diligence rispetto ai diritti umani.
– esercitare un controllo adeguato, al fine di soddisfare i loro obblighi internazionali relativi ai diritti umani, quando sottoscrivono contratti con, o legiferano per conto di imprese per la prestazione di servizi che possono ripercuotersi sul godimento dei diritti umani.
– promuovere il rispetto dei diritti umani da parte di imprese con le quali concludono accordi commerciali».
Questi obblighi, per quanto di Soft Law, si intrecciano espressamente con l’Hard Law dei diritti umani: Hard Law di matrice non solo di diritto internazionale, ma anche euro-unitaria e costituzionale. Di conseguenza, il “Nexus” non può non fare i conti con quell’art. 11 della Costituzione che all’Italia, non allo Stato-persona, impone il vincolo del “ripudio” della guerra, a maggior ragione lì dove la persona Stato non è in alcun modo coinvolta nell’utilizzo di propri contingenti militari. Inoltre, poiché quel “Nexus” scandisce, specificamente per le imprese partecipate dallo Stato italiano, la contitolarità del rispetto di quel Soft/Hard Law, le imprese non possono chiamarsene fuori, se non violando la Costituzione.
Inediti interrogativi si aprono all’attenzione dei costituzionalisti:
– qual è il rapporto tra autonomia contrattuale privata e Costituzione, alla luce di quel “Nexus” nello specifico scenario di Gaza, dato che il “duplice uso” israeliano di prodotti o know-how militari di fabbricazione italiana è pacificamente comunicato dalle imprese italiane e altrettanto pacificamente ammesso da Israele (cfr. Iron Waves: Israel’s Missile Boat Flotilla in Action)?
– in forza della pluridecennale giurisprudenza costituzionale italiana su diritto privato e Costituzione, la specifica autonomia contrattuale in materia di compravendita d’armi può operare prescindendo dal “ripudio” richiesto a tutti dall’art. 11 Cost.?
Questi due interrogativi diventano ancor più significativi, se si collegano al riformato art. 41 della Costituzione. Infatti, se è già difficile attribuire “utilità sociale” a simili negozi giuridici, che comunque “concorrono” alla violazione dei diritti umani e a un possibile genocidio, diventa cinico restare indifferenti all’esercizio di un’iniziativa economica privata, che – con tutta evidenza notoria di distruzione e morte – non sta certo operando senza «recare danno all’ambiente e alla salute».
Inesorabilmente, entrano in gioco gli artt. 1418 e 1344 del Codice civile. In base al primo, «il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente»; per il secondo, «si reputa altresì illecita la causa, quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa»
Ovviamente una “legge” che “disponga diversamente” sugli artt. 11 e 41 Cost. non può esistere come non possono esistere degradazioni di principi costituzionali per volontà contrattuale dei privati. Non vertendo in un’ipotesi di Drittwirkung, questi contratti privati Italia-Israele, nel disumano scenario di Gaza, si manifestano nella loro irrimediabile nullità o comunque “frode alla legge” (sub specie di “frode alla Costituzione”)
Il “Nexus”, che lo Stato italiano si è autoimposto in coerenza con le indicazioni ONU su imprese e diritti umani, attende ora – dopo le risoluzioni dell’OHCHR – che se ne prenda atto e si provveda di conseguenza, prima della scadenza del 2025, che – nella non auspicabile indifferenza degli organi italiani di vigilanza ai sensi della legge n. 185/1990 – rubricherebbe il nostro paese tra quelli comunque “concorrenti” a un disastro umanitario di guerra (se non addirittura di accertato genocidio), con l’affossamento definitivo dell’art. 11 Cost.