di Enzo Balboni
È la stessa relazione al disegno di legge governativo n. 935 che definisce l’operazione in corso come l’affermazione di una democrazia di investitura volta ad assicurare governabilità al sistema democratico offrendo soluzioni a problematiche, invero risalenti e – aggiungo – condivise, vale a dire l’instabilità dei governi, la volatilità delle maggioranze e il transfughismo parlamentare. Come vedremo più avanti governabilità è l’altra parola chiave.
Per raggiungere questo obiettivo di sistema viene armato e si fa scendere in campo un soggetto, il Presidente del Consiglio dei ministri, al quale viene data attraverso l’elezione diretta e la contestuale elezione delle due Camere una potenza legale ed una legittimazione politica fortissime.
Di conseguenza ai suoi due lati: il Parlamento con le sue attribuzioni da una parte e il Presidente della Repubblica con le sue prerogative dall’altra, escono necessariamente e fatalmente diminuiti nella loro qualità di soggetti che contano nell’ordinamento repubblicano: nonostante che, con studiata cosmesi linguistica, ci si sforzi di agire in modo chirurgico, ma sulla viva carne delle istituzioni, incidendo su un numero limitato di articoli della costituzione vigente, con lo scopo di rendere omaggio al Capo dello Stato dichiarando di preservare al massimo grado le prerogative di quella che viene battezzata come “figura chiave” della forma di governo italiana.
Sul lato del Parlamento e dei suoi abitanti attuali si è meno accomodanti anzi più rudi, essendo in premessa a ciò autorizzati dalla scarsa considerazione che la pubblica opinione assegna oggigiorno a deputati e senatori: i quali già adesso debbono di fatto la loro elezione al placet dei rispettivi capi partito e domani, quando fosse passata la revisione, sarebbero ancor più al traino o meglio a rimorchio, come è stato efficacemente detto, dell’elezione diretta del premier, entrando a far parte della sua maggioranza o al contrario di un’opposizione che nascerebbe con un appannaggio del 45% dei seggi da dividersi tra loro. Entrambe, maggioranza e opposizione, sarebbero edotte fin da subito che se riuscissero nel tentativo di sfiduciare il premier provocherebbero la loro morte politica immediata per scioglimento delle Camere, senza se e senza ma. È infatti ipotizzabile fin da adesso che sia la c.d. clausola anti-ribaltone sia quella che prevede un supplente premier in panchina cadranno verosimilmente in fase di emendamenti. Del resto entrambe non appaiono indispensabili rispetto al porro unum necessarium: l’elezione diretta del Premier.
Poche considerazioni ulteriori sul lato del Parlamento, il che poi significa sulla rappresentatività e democraticità del sistema visto nel suo insieme. Mi sforzerò di immaginare, molto sinteticamente, delle possibili risposte alla problematica che la stessa Relazione indica come dominante: la governabilità – ma adoperando altri mezzi e un diverso percorso: come Cristoforo Colombo, Buscar el Levante por el Poniente.
Se davvero fosse il consolidamento del principio democratico il faro verso cui dirigersi allora, si dovrebbe per prima cosa porre somma attenzione all’affaticamento che pervade gli elettori, sotto forma di un astensionismo sempre più accentuato. Da qui un intervento di valorizzazione e sostegno ai partiti politici, attraverso una coraggiosa, ma dovuta, attuazione dell’art 49, compreso un sano e decente finanziamento delle attività necessarie a tale scopo e alla realizzazione del principio di sussidiarietà.
Ed inoltre parrebbero necessari, per sommi capi:
- rivitalizzazione della potestà legislativa del Parlamento: meno leggi ma con maggiore qualità e spessore, oltre ad un recupero del procedimento ex art 72, oggi alquanto distorto e, in taluni casi, rimosso;
- correlata una riserva di potere regolamentare per il Governo per fattispecie bene individuate e puntuale applicazione della legge n.400 del 1988;
- no, ovviamente all’abuso dei decreti legge coi relativi maxiemendamenti e richiesta di fiducia; auspicabile, invece, l’apposizione di data certa ad alcuni d.d.l. governativi selezionati;
- rivisitazione e rivitalizzazione dei Regolamenti parlamentari, compresa una rigorosa disciplina dei Gruppi, anche come antidoto al trasformismo dei voltagabbana;
- preservazione di uno degli ultimi bacini di alta competenza ed indipendenza, che resta ancora una qualità preziosa degli apparati di servizio delle Camere, e così proseguendo.
Procedendo in questo modo si drenerebbe con costante progressione, l’acqua sporca del populismo antiparlamentare, del quale abbiamo avuto prova con l’assurda – e scioccamente motivata – riduzione del numero dei parlamentari, visti come privilegiati occupatori di poltrone. Inoltre non adeguata appare la motivazione di esclusione dei senatori a vita, che sono lì per meriti comprovati ed almeno segnalano l’utilità di un bicameralismo diversificato.
Aggiungo, infine, come somma garanzia, che a tutte le maggiori cariche elettive di organi di garanzia: Presidente della Repubblica, nonché giudici costituzionali e membri del CSM provenienti da un’elezione parlamentare, si pervenga con una votazione dei 2/3 del rispettivo corpo elettorale.
Se davvero si ambisce ad una governabilità che non sia il decisionismo di pochi, o addirittura di uno solo, non ci si può dimostrare ostili verso la teoria e la pratica dei checks and balances, che sono il sostrato del costituzionalismo, ma allora si deve prendere una strada diversa.
Sul lato Presidente della Repubblica, quale garante primo e ultimo della Costituzione e dell’unità e coesione nazionale, è stato già autorevolmente attestato che, post revisione, ai moniti, ai rilievi, ai suggerimenti provenienti dal Quirinale, pressoché sempre motivati dalla necessità, anzi dall’obbligo di aderire al vincolo esterno proveniente dall’Unione Europea – al cui diritto abbiamo volontariamente accettato di conformarci – un Premier eletto sarebbe indotto a fare spallucce e proseguire per la sua strada.
Sullo stesso versante, e sempre in estrema e semplificata sintesi, si dovrebbe ragionare sulle attribuzioni del Presidente della Repubblica – sia quelle scritte per disteso nell’art. 87 sia quelle intervenute per prassi o convenzione – nei punti in cui le prerogative presidenziali, riversate in atti e accompagnate dalla controfirma del Premier o di un Ministro, si sono attestate come preminenti. Penso alla concessione della grazia e alla nomina dei cinque giudici costituzionali che, fatalmente, inizierebbero un percorso a ritroso verso una qualificazione di potestà duumvirale. Ed infatti, la sostanza del potere di scelta resterebbe uguale a quella odierna quando fosse realizzata una torsione a favore del Premier eletto?
La tanto invocata e ostentata voglia di stabilità, che si condensa in uniformità da piano quinquennale scandito da regolari plebisciti che danno avvio ad ogni nuova legislatura, potrebbe davvero essere presa al laccio del paradosso di Rousseau che, da utopista ostile alla democrazia rappresentativa, canzonava il popolo inglese libero di decidere sì, ma soltanto il giorno delle elezioni.
Non posso toccare qui, adesso, la questione della legge elettorale, ma tutti si avvedono della sua centralità con riguardo alla stabilità/governabilità. Questa, a mio avviso, sarebbe la priorità, alla quale arrivare senza forzature e furbizie.
Per concludere: si potrà discutere con profitto di mezzi e modi – plurimi e articolati – di avvicinamento alla stabilità dell’ordinamento e governabilità del sistema nel suo insieme, dopo che sarà rimossa l’opzione secca della elettività diretta del Premier.
A questo punto è addirittura facile per me segnalare la preferenza per il modello tedesco, che sarebbe ovviamente da perfezionare e da adattare per il Paese dove fioriscono i limoni.