Lo scritto di Giacomo Matteotti di seguito riportato è la riproduzione dell’originale autografo “Parlamento e Governo” pubblicato su “Echi e commenti” del 5 giugno 1924, dopo l’elezione di Alfredo Rocco a Presidente della Camera (che si trova anche nel bel volume “Giacomo Matteotti e l’avvento del fascismo”, a cura di S. Caretti, Pisa, Pius 2011, 352-354), seguita alle elezioni tenutesi il 6 aprile 1924, in applicazione della legge Acerbo del 1923, dopo una campagna elettorale di inaudita violenza.
Pochi giorni dopo, il 10 giugno 1924 Matteotti veniva rapito sotto casa e il martoriato cadavere sarà ritrovato, forse casualmente, il 16 agosto, nella macchia della Quartarella.
Mussolini in un drammatico dibattito alla Camera il 3 gennaio 1925 rivendicò sfrontatamente la responsabilità “politica, morale, storica” dell’omicidio, battezzando così la definitiva nascita e il consolidamento del regime fascista.
Fu quello il momento più propizio che il nuovo potere esecutivo aveva atteso per prendersi definitivamente il potere ai danni del Parlamento, che da quel momento non sarà più la rappresentanza di una nazione sovrana, ma un organo senza occhi, senza orecchi e senza voce.
La voce di Matteotti era comunque messa a tacere definitivamente. Due anni dopo, nel 1926 un’altra voce, quella di Antonio Gramsci, fu chiusa nel carcere di Turi e si spense a Roma nel 1937. Quello tra Gramsci e Matteotti fu un incontro politico in parte mancato, che purtroppo e tragicamente non potette svilupparsi. Anche di questa mancata occasione la democrazia avrebbe pagato le conseguenze.
Un altro incontro mancato tra due contemporanei, nati e morti a distanza di pochi anni, sul piano filosofico e degli studi storici, più che su quello eminentemente politico, fu quello tra Gramsci e Walter Benjamin, due marxisti sui generis, il cui repertorio di documenti è ancora oggi fonte irrinunciabile per qualsiasi analisi sul capitalismo e sugli aspetti più rilevanti e più attuali della contemporaneità. Si pensi all’influenza di Gramsci per gli studi post coloniali e di Benjamin per quelli sui nuovi media (si veda la bella raccolta di saggi a cura di Dario Gentili, Elettra Stimilli e Gabriele Guerra “Un incontro mancato: Walter Benjamin e Antonio Gramsci”, Quodlibet 2023).
Ma, tornando allo scritto di Matteotti, non vi è bisogno di richiamare l’attenzione dei lettori abituali di questa rivista su alcune evidenti analogie con il disegno della riforma della Costituzione che il Parlamento sarà chiamato ad approvare. Elenchiamo le principali: il Parlamento che può vivere solo come graziosa concessione del Governo e solo a condizione di non mettersi contro; Governo, di fatto, al disopra del voto delle Camere; disegni di legge da approvare in blocco; mano libera al Governo e al suo potere di fatto di decidere con decreto su questioni riguardanti enormi interessi della nazione e di gruppi privati, a danno della collettività. Tutto questo è conseguenza di riforme costituzionali già attuate e di leggi elettorali che hanno ridotto la rappresentatività e l’eterogeneità della composizione del Parlamento relegato a una funzione decorativa.
Questo è appunto moderno populismo. E non lo ha inventato Mussolini. Rileggiamo Karl Marx “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte”.
Oggi, di fronte alla vacuità dell’opposizione, l’occasione è propizia per un ceto di Governo strutturalmente estraneo alla cultura della Costituzione del 1948 e che sta portando alle estreme conseguenze l’idea delle Istituzioni come pianta organica della politica. In fondo ci viene detto da decenni, quindi non solo dal Governo attuale, che tutto è lecito fare per garantire la “governabilità”. Ma in politica la capacità di governare è un po’ come il coraggio di Don Abbondio e se uno non ce lo ha non se lo può dare. Viene in mente Konrad Adenauer, al quale un giornalista dopo le elezioni del 1949 chiese se non era preoccupato che la sua coalizione potesse contare su un solo voto di maggioranza e Adenauer rispose che non lo era affatto e che un voto basta e avanza.
E’ invece ora di lasciare alla lettura di Matteotti e che ognuno ne tragga il pensiero che ritiene più attuale.