L’esame parlamentare del disegno di legge di bilancio per l’anno 2024 e per il triennio 2024-2026 ha proposto una rilevante innovazione, mai verificatasi negli anni precedenti, l’assenza di proposte emendative presentate dai parlamentari appartenenti ai gruppi di maggioranza nel corso dell’esame in prima lettura svolto al Senato.
Novità che merita di essere attentamente approfondita in tutti i suoi aspetti al fine di valutare gli effetti prodotti e le eventuali conseguenze future.
La vicenda pone in rilievo due dati emersi nel dibattito politico: uno di natura istituzionale, l’eventuale compressione delle prerogative parlamentari; l’altro di natura procedimentale, un iter più snello e veloce. A questi due temi, ne aggiungerei un terzo di natura qualitativa, che riguarda la natura delle norme approvate e il loro rispetto di quanto previsto dall’articolo 1, comma, 1-quinquies, della legge di contabilità e finanza pubblica (l. 196/2019), che vieta la presenza nella prima sezione del disegno di legge di bilancio, tra l’altro, di norme di natura localistica o microsettoriale.
Per quanto riguarda il primo tema, fin dall’annuncio effettuato in sede di conferenza stampa di presentazione della legge di bilancio approvata in Consiglio dei Ministri il 16 di ottobre, da parte della Presidente del consiglio e del Ministro dell’economia e delle finanze, in merito all’assenza di proposte emendative della maggioranza, da parte di esponenti dell’opposizione e di alcuni organi di stampa è stata avanzata la tesi di una lesione delle prerogative del Parlamento, aggiuntiva alla prassi che si è andata consolidando dal 2019 che vede la legge di bilancio approvata in sole due letture parlamentari, con la seconda di queste che si limita a ratificare quanto approvato nella prima.
Tale tesi, seppure legittima nell’ambito del dibattito politico e mediatico, non poggia, però, su alcun fondamento di natura oggettiva.
I senatori dei gruppi di opposizione hanno liberamente presentato tutte le proposte emendative che hanno ritenuto necessarie. Il disegno di legge di bilancio si è dunque dovuto confrontare con proposte di modica che, come previsto dai regolamenti, sono state illustrate, discusse e, successivamente poste ai voti. In tal senso il Parlamento ha pienamente svolto il proprio lavoro, garantendo alle minoranze di mostrare al Paese le proposte economiche alternative alla manovra economica predisposta dal governo.
Per quanto riguarda i senatori e gruppi di maggioranza chi ha sostenuto la tesi di una compressione delle prerogative parlamentari ha dialetticamente delineato uno scenario in cui il Governo, inteso come istituzione, si impone sulla maggioranza parlamentare “vietandole” di presentare emendamenti.
Tale tesi, come detto in precedenza, non è suffragata da dati oggettivi. Il Governo non ha fatto ricorso a strumenti che, seppure previsti dai regolamenti parlamentari, di fatto coartano le prerogative dei singoli parlamentari, come ad esempio si può verificare quando il Governo decide di porre la fiducia sul disegno di legge di conversione di un decreto legge, impedendo la discussione e il voto di tutti gli emendamenti presentati, anche dalla sua stessa maggioranza.
Nel caso di specie l’astinenza da parte della maggioranza dal deposito di proposte di modifica è maturata in sede politica. In un governo in cui le posizioni apicali di Presidente del consiglio e di vice presidenti del consiglio sono ricoperte da coloro che, anche da un punto di vista formale, ricoprono il ruolo di leaders politici dei tre partiti che formano la maggioranza di governo (Giorgia Meloni Presidente nazionale di Fratelli d’Italia, Matteo Salvini Segretario federale della Lega, Antonio Tajani segretario nazionale di Forza Italia), non è infondato che si verifichi l’ipotesi in cui le istanze politiche dei partiti di governo vengano recepite integralmente, o comunque in maniera ritenuta sufficiente, a monte della redazione della manovra economica, rendendo superflua la necessità di apportare modifiche nel corso dell’esame parlamentare.
Se si analizza il contenuto delle proposte emendative solitamente depositate in sede parlamentare dagli esponenti dei gruppi di maggioranza e di quelle che vengono approvate emerge abbastanza chiaramente che nel corso dell’iter parlamentare non vengono mai recepite proposte di portata tale da stravolgere, o quanto meno modificare in maniera sensibile, i pilastri su cui poggia la legge di bilancio. Nei casi in cui vengano approvate modifiche di rilievo politico, tale risultato è dovuto esclusivamente lavoro politico svolto da uno o più gruppi parlamentari di maggioranza.
Nell’ipotesi in cui, come avvenuto nel caso di specie, i gruppi parlamentari di maggioranza si dichiarino soddisfatti del testo di legge depositato in Parlamento, astenendosi dal proporre modifiche, non si può sostenere la tesi dello svilimento della funzione parlamentare, a meno di non voler far coincidere tale funzione con uno degli aspetti che da sempre è uno dei più criticati in sede pubblicistica con il ricorso alla ormai consolidata definizione di “assalto alla diligenza” che connota, in senso negativo, il gran numero di proposte emendative di breve momento abitualmente presentate dai singoli parlamentari, di maggioranza e opposizione.
Passando ad analizzare i risultati concreti che l’assenza di emendamenti da parte dei senatori della maggioranza ha prodotto ai fini dell’esame della legge di bilancio, si deve registrare che l’obiettivo di un iter più agile e, soprattutto più veloce, non è stato conseguito.
Non solo non si è realizzata la previsione di un’approvazione definitiva in seconda lettura entro Natale, ma l’approvazione in prima lettura si è conclusa il 23 dicembre, con la stessa tempistica verificatasi nel 2022, quando la Camera concluse l’esame in prima lettura all’alba del 24 dicembre, e nel 2021.
Per quanto riguarda l’iter in commissione in sede referente, questo è durato più di un mese, dal 14 novembre al 18 dicembre, con lo svolgimento di ventisei sedute.
Dati alquanto eloquenti che non solo testimoniano che la mancata presentazione di proposte emendative da parte della maggioranza non ha contribuito a rendere più spediti i lavori in commissione, ma che ripropongono un elemento di critica farraginosità verificatosi anche negli anni precedenti, consistente nel tempo trascorso tra il deposito degli emendamenti e la prima seduta nella quale si procede allo svolgimento delle votazioni, con i primi depositati nella seduta del 21 novembre e le seconde avviate solo dal 14 dicembre.
Una stasi, in questo caso di ventitrè giorni, che contribuisce non poco ad appesantire i tempi di approvazione della legge di bilancio.
Questa fase di decantazione, nelle occasioni precedenti si rendeva necessaria da un punto di vista politico per trovare “la quadra” all’interno della maggioranza sugli emendamenti da approvare e sugli emendamenti che Governo e relatori avrebbero dovuto aggiungere in corsa, e da un punto di vista tecnico per consentire alla Ragioneria generale dello stato di validare gli oneri e le relative coperture degli emendamenti, anche di opposizione, destinati all’approvazione.
Nell’esame svolto quest’anno la dinamica è stata essenzialmente la stessa e l’attesa di ventitre giorni è servita per consentire il deposito dei cinque emedamenti del governo e dei diciannove dei Relatori che hanno fatto da veicolo alle richieste di maggioranza.
Dunque seppure in un formato diverso, che potremmo definire macro, emendamenti da parte della maggioranza alla legge di bilancio per il 2024 vi sono stati, come del resto era inevitabile che avvenisse, e tale presenza ci consente di analizzare l’ultimo dei tre temi che questo scritto si è posto di approfondire e cioè la natura e la qualità delle norme approvate.
L’assenza di emendamenti parlamentari depositati ab origine da parte della maggioranza e la necessità di raccogliere alcune istanze di questa all’interno di vettori di sintesi, offrivano una grande opportunità quella di limitare il numero di disposizioni microsettoriali o localistiche approvate.
Tale occasione nasceva dal doppio filtro al quale le richieste sarebbero state sottoposte. Il primo di natura quantitativa, perché dovendo dar vita ad emendamenti di sintesi con “slot” limitati per ciascun gruppo, la prima scrematura sarebbe stata effettuata, alla fonte, dagli stessi gruppi parlamentari.
Vi è, infatti, una grande differenza sostanziale tra la gestione di un emendamento di un singolo parlamentare che è già sul tavolo di quelli depositati e la medesima richiesta che lo stesso deve formulare al proprio gruppo per farla inserire all’interno di un emendamento dei relatori. Nel primo caso è il parlamentare che può avere, anche grazie alle contingenze numeriche, il coltello dalla parte del manico, nel secondo caso è decisamente il gruppo parlamentare.
Il secondo aspetto di natura qualitativa riguarda il fatto che la paternità formale delle disposizioni inserite negli emendamenti depositati dalla maggioranza è stata assunta da figure quali i Relatori e il Governo e tale elemento avrebbe potuto restringere ancora di più il margine di ingresso per le così dette micronorme.
Se l’assenza di emendamenti di iniziativa parlamentare da parte della maggioranza, avesse eliminato la presenza di disposizioni microsettoriali, anche rinviando queste ad altro provvedimento ad hoc, dal punto di vista qualitativo si sarebbe potuto parlare di successo.
La lettura del testo approvato in prima lettura al Senato ci dice che così non è stato. Anzi sotto questo profilo si debbono registrare ulteriori elementi di criticità rispetto al passato.
Come noto le norme localistiche e di natura microsettoriale, seppure in numero leggermente limitato rispetto al passato sono comunque state inserite all’interno della legge di bilancio, ma con una differenza di non poco conto. Nelle precedenti leggi di bilancio queste norme intruse avevano una paternità politica ben definita (nel bene o nel male) ricavabile dalle firme in calce alla proposta emendativa approvata, che comunque rimaneva agli atti per chi era in grado e aveva voglia di cercarla. Nel caso di specie non è così, perché chi legge dall’esterno, anche se addetto ai lavori, non ha modo di risalire a chi abbia voluto inserire una determinata disposizione nell’emendamento dei relatori o del governo, a meno che non abbia accesso a notizie che riguardano accordi di natura politica.
In tal senso è opportuno segnalare l’impossibilità materiale di lettura, o più precisamente delle effettive finalità, dell’emendamento dei relatori 91.Tab.2.500.5.
In questo emendamento, fatta eccezione per due disposizioni letterali riguardanti la Corte dei Conti e Radio Radicale, vi sono numerosi spostamenti di risorse tra missioni e programmi di bilancio che, come detto, rendono impossibile avere contezza se si tratti di operazioni contabili per dare copertura ad altre norme di spesa approvate con altri emendamenti o se si tratti di stanziamenti mirati, ancorché in forma tabellare. Stesso esito avrebbe avuto l’emendamento 100.Tab.11.500.5 dei Relatori, se il Senatore Borghese nella seduta della commissione bilancio del 18 dicembre non avesse rispolverato la pratica della finalizzazione a voce.
Alle norme di natura microsettoriale inserite nell’articolato nel corso dell’esame in commissione bilancio si è aggiunta una novità rappresentata da due ordini del giorno dei Relatori (rispettivamente gli ordini del giorno 926/110/5 e 926/111/5).
Questi ordini del giorno, facendo riferimento a due fondi, rispettivamente di spesa corrente e conto capitale, inseriti in articolato con finalità di riparto estremamente generiche (art 1, commi 551 e 552), individuano un lungo e dettagliatissimo elenco di misure per le quali si richiede l’accesso al finanziamento.
Il ricorso a questo strumento, al netto di ogni valutazione di merito, è di grande interesse procedurale che meriterebbe un approfondimento specifico. Non essendo possibile in questa sede mi limito a segnalarlo perché l’assenza di emendamenti parlamentari di maggioranza sembra aver imposto il ricorso, in aggiunta ai microfinanziamenti certi per legge, a microfinanziamenti promessi politicamente.
Volendo redigere un bilancio di questa prima legge di bilancio senza emendamenti da parte della maggioranza, si può affermare che l’unica novità rispetto al passato è il numero più limitato di commi dell’articolo unico della prima sezione, che si ferma a 561, a fronte di una media oscillante solitamente intorno ai novecento. Per il resto, come ho avuto modo di illustrare, non si registrano novità né per quanto attiene i tempi di esame, né per la qualità normativa delle disposizioni introdotte nel corso dell’iter parlamentare.
Rispetto a quest’ultimo profilo ritengo che non sia stata utilizzata un’opportunità che avrebbe fornito la motivazione per un eventuale consolidamento del precedente.