L'”Europa dei diritti”: ma di quali diritti?

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di Roberto Bin

Se uno Stato viola sistematicamente i livelli massimi di inquinamento dell’aria prescritti dalle direttive europee, ciò non si traduce in una violazione del diritto alla salute dei suoi cittadini. Questa la conclusione cui giunge la Corte di giustizia in C-61/21 del 22 dicembre 2022.

Ma, se le norme di protezione ambientale varate dall’UE non servono a proteggere il diritto alla salute dei cittadini, a che servono? La risposta sta nella storia: già negli anni ’70, ben prima di vedersi riconosciuta qualsiasi competenza in materia, la CEE di allora aveva – molto meritoriamente – sviluppato una intensa normativa pro-ambiente: lo aveva fatto sulla base del giusto principio che la concorrenza, il sommo principio del mercato (e fulcro delle competenze della Comunità europea), non poteva svolgersi a danno della salute e della sicurezza dei cittadini. Per cui ancora oggi, se invece di essere un comune cittadino a ricorrere alla Corte di giustizia a tutela del suo diritto leso dallo Stato in cui vive, lo avesse fatto un imprenditore di un altro Paese UE lamentando gli effetti distorsivi della concorrenza conseguenti al mancato rispetto dei limiti all’inquinamento atmosferico (per esempio perché consente ad un imprenditore “nazionale” di trarre vantaggio da questa infrazione), il suo diritto a qualche forma di risarcimento non verrebbe affatto negato dalla Corte di giustizia.

Giustamente l‘Avvocato generale Kokott, nella sue conclusioni, muove dal pieno riconoscimento del diritto dei cittadini al rispetto della normativa ambientale dell’UE: giunge a proporre il rigetto della domanda di risarcimento, non perché non vi sia un diritto alla salute di cui chiedere la protezione contro il mancato rispetto delle direttive ambientali UE, ma perché non è provato in concreto il danno alla salute come conseguenza di questa violazione. Se avesse seguito il suggerimento di Kokott, la Corte di giustizia avrebbe raggiunto una conclusione ben diversa: non certo quella di riconoscere la violazione del diritto alla salute del cittadino e condannare la Francia a risarcirlo, ma quella di trasferire ai giudici francesi l’onere di accertare i presupposti del danno causato nello specifico al ricorrente. Riconoscere che la normativa europea in materia di protezione ambientale è in linea di massima rivolta a garantire i diritti dei cittadini, e che questi sono perciò abilitati a rivendicare il rispetto di essa ricorrendo alla Corte per denunciare le inadempienze del loro Stato di appartenenza, non sarebbe stato un risultato da poco: anche per l’immagine agiografica della Corte di giustizia come “corte dei diritti” – e non come “corte del mercato e delle sue libertà”, come troppo spesso ancora si dimostra.

 

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