Se si guarda alla formazione del Governo Meloni, il primo Esecutivo che si insedia nella XIX Legislatura, a distanza di meno di un mese dalla data delle elezioni anticipate, non si può che riscontrare una perfetta aderenza ai contenuti, alle prassi e alle logiche sottese alle disposizioni costituzionali vigenti… ben più che in altre recenti circostanze (risparmio tutti i “passaggi” che hanno preceduto e seguito le dimissioni del II Governo Conte e la nascita del Governo Draghi sino alla rielezione del neocostituito “fronte governista” del Presidente Mattarella). La stessa accettazione senza alcuna prudenziale riserva dell’incarico ricevuto dal Presidente Mattarella, dalla leader del partito di maggioranza relativa, la quale ha così potuto formalizzare la composizione dell’Esecutivo a distanza di qualche ora da quell’evento, è la prova evidente dell’esistenza di una maggioranza parlamentare almeno inizialmente solida in entrambi i rami del Parlamento della quale doverosamente il Capo dello Stato ha preso atto, come espressamente da lui stesso ricordato, una volta resa nota la lista dei ministri.
Tutti gli osservatori hanno peraltro constatato l’assenza di sorprese rispetto alla scelta dei ministri (salvo “il brivido” dello scambio di un paio di incarichi ministeriali risoltosi con una precisazione della stessa Presidenza del Consiglio) che sono stati sicuramente oggetto di una valutazione della Presidente Meloni – cui spetta la proposta di nomina – indiscusso “capo” del suo partito con riguardo, come è ovvio e come sempre accaduto, alle aspirazioni in questo caso delle altre due forze politiche della coalizione di maggioranza. Aspirazioni che saranno state in qualche caso sicuramente disattese anche alla luce degli attuali rapporti di forza tra i partiti di governo: le forze politiche minori, come è noto, raggiungono poco più della metà dei consensi ottenuti da Fratelli d’Italia e sembrano in irreversibile tramonto per ragioni non solo anagrafiche dei rispettivi leader, pertanto indotti a considerare questo dato oggettivo ineludibile e in altre circostanze richiamato a loro vantaggio. Non mi soffermerei dunque troppo su questioni collegate ad esternazioni problematiche sul conflitto bellico in atto (non ne discuto il merito, semmai il clamore mediatico che ne è inevitabilmente conseguito) che pure hanno indotto la stessa Meloni – alla vigilia del conferimento del suo incarico – a precisare i confini entro i quali avrebbe inteso posizionare il Governo in fieri, e neppure su altre questioni di contorno (e talvolta, mi è sembrato di folklore, trattandosi della prima volta che si verificava l’attribuzione della guida del Governo italiano ad una donna: penso all’ossessione voyeuristica sull’abbigliamento e sulle calzature e altro ancora) quanto piuttosto sulla “riemersione” di una effettiva leadership politica nell’ordinamento italiano. Una leadership in grado, al momento, di consentire la partenza di un governo di coalizione (noto da questo punto di vista che se si valuta la ”forza politica” direttamente riconducibile al Presidente del Consiglio in carica l’ultimo precedente comparabile risale al Governo Renzi nella XVII Legislatura), nel quale nessuno dei partner sembra in grado di “lucrare” troppo sulla indispensabilità dei rispettivi voti parlamentari che pure servono per “fare maggioranza”. Il che lascia davvero sullo sfondo le forze di opposizione tanto più che quelle che, secondo una lettura non so se più malevola o realistica, erano e sono disponibili a “dare una mano” se servisse, se non a rimpiazzare, a integrare qualche defezione (degli insoddisfatti nella ripartizione delle cariche) nella coalizione risultata premiata dal voto politico.
Ci sarà tempo per vedere quel che accadrà e per valutare l’indirizzo politico di un governo espressione di una coalizione fortemente ancorata a destra negli equilibri politico-parlamentari e, dunque, con tante peculiarità originarie (e tuttavia il centro destra prima a trazione berlusconiana e dal 2018, leghista ha governato da solo o insieme ad altri il Paese, salvo qualche interruzione dal 1994), la cui evoluzione tuttavia, a giudicare agli ampi sorrisi del Presidente Draghi nell’accogliere la Presidente entrante, non parrebbe presagire significativi e bruschi cambi di rotta sul piano degli indirizzi europei e internazionali. Vedremo se erano solo sorrisi di circostanza!
In ogni caso giudico positivamente che si possa valutare la capacità di governare (e naturalmente quella di chi è relegato ad una posizione, comunque non da sottovalutare, di opposizione parlamentare), secondo lo schema classico del governo parlamentare lasciandosi alle spalle la stagione del “governare tutti insieme” con una guida tecnica certo autorevole e accreditata per altre via ma non quella del consenso politico-elettorale: l’unico che conta nelle democrazie occidentali. Questa positiva considerazione non deve, a mio avviso, essere assorbita da altre preoccupazioni sulle scelte politiche che potranno essere imputabili al Governo in carica e per le quali il dettato costituzionale sarà, ancora una volta, in grado eventualmente da fungere da argine invalicabile.
Egregio Professore, mi permetto di osservare che il consenso politico elettorale del potenziale costituendo Governo somma all’incirca un quarto dei voti dell’intero corpo elettorale, il cvi uso m’appare peraltro non conforme al dettato dell’art.48C. producendo di fatto maggioranze Parlamentari sbilanciate rispetto ai voti personalmente, ugualmente e validamente espressi nelle urne.
Quanto poi alla consuetudine di anteporre gli effetti dell’art.93C. a quelli ben più cogenti del successivo ritengo che sia procedimento piuttosto rischioso essendo il secondo semplice preambolo del terzo nell’insieme tutto del titolo.
Santarcangelo di Romagna 26 ottobre 2022, enzo Bargellini.