Ad apertura della seduta dello scorso 22 luglio, il Presidente della Camera Fico, dopo aver comunicato lo scioglimento delle Camere deciso il giorno prima dal Presidente della Repubblica, ha puntualizzato le modalità e limiti all’esercizio delle principali funzioni parlamentari in periodo di prorogatio. A tal proposito, inter alia, in materia di regolamenti interni, ferma restando “la possibilità di convocazione della Giunta per il Regolamento relativamente alle questioni di interpretazione regolamentare di cui la Presidenza ritenga di investirla”, ha precisato che “possono essere convocate riunioni anche per l’esame di eventuali proposte di modifica al Regolamento, da sottoporre all’Assemblea” a condizione però che “si verifichi l’unanimità dei consensi dei gruppi”.
Diciamo subito che pare assolutamente legittimo che le camere sciolte conservino intatto il potere di modificare i propri regolamenti, trattandosi di una materia che rientrando – almeno formalmente – nei c.d. interna corporis esula dal rapporto di fiducia, tant’è che quando la Camera discute di tali modifiche i banchi del Governo rimangono vuoti. Piuttosto, il divieto di occuparsi di modifiche regolamentari in periodo di prorogatio non dipende dalla materia ma dalla natura eminentemente politica di scelte dirette a stabilire le regole del gioco valevoli (per un principio ormai tacitamente acquisito di continuità dei regolamenti) anche per le successive Assemblee e che, pertanto, non si prestano ad essere codificate da parte di Camere che hanno cessato il loro mandato. Questo è il motivo per cui per prassi costante (tranne un precedente di cui tra poco diremo), in periodo di prorogatio la Giunta per il regolamento della Camera non si è mai riunita, né per esprimere pareri su questioni interpretative, né per proporre modifiche regolamentari.
Ciò nondimeno, spero a nessuno sfugga l’assoluta eccezionalità della situazione in cui ci troviamo, per l’evidente considerazione che la riduzione del numero dei parlamentari rende assolutamente necessario quantomeno l’adeguamento proporzionale delle norme regolamentari che fanno riferimento a quorum numerici fissi, tra le quali quello per costituire un gruppo parlamentare o una componente politica del gruppo misto, nonché la revisione del numero e delle competenze delle commissioni parlamentari, anche per riflesso dell’analoga revisione discussa dal Senato.
Parimenti, spero nessuno possa negare come si siano purtroppo avverati i timori circa il fatto che l’applicazione regolamentare della suddetta riduzione non sarebbe stato affatto impegno di poco momento di cui non valeva occuparsi sin dal momento dell’approvazione della modifica costituzionale. Quando chi scrive si permise di evidenziare tale criticità in sede di audizione presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato si sentì rispondere con malcelata sufficienza che questo “però è un argomento che può essere «facilmente» (basta averne la volontà) ricalibrato sulla base di alcune modifiche da apportare ai Regolamenti di Camera e Senato, che nulla hanno a che vedere con la riforma costituzionale in questo momento oggetto di discussione. Starà poi ai parlamentari che verranno, che si troveranno ad avere un numero inferiore, decidere, mediante le modifiche regolamentari, come meglio articolare i lavori” (on. Macina (M5S), seduta del 26 marzo 2019, corsivo mio).
Così mentre, come nella trascorsa legislatura, il Senato – sulla cui strutturazione e organizzazione dei lavori la riforma è destinata ad incidere maggiormente – è riuscito ad affrontare tempestivamente ed alacremente il tema (la Giunta per il regolamento ha concluso lo scorso 30 maggio l’esame della proposta di modifica del regolamento, presentata il 29 giugno (doc. II, n. 12) all’Assemblea, che l’ha discussa nelle sedute del 7, 12 e 27 luglio), la Camera è clamorosamente ferma al palo. L’ultima riunione della Giunta per il regolamento risale al 27 aprile 2022 e nulla lascia presagire che il tema sarà calendarizzato nelle prossime sedute, anche per i contrasti – secondo le cronache parlamentari – insorti su talune riforme, come le c.d. norme anti-transfughismo.
Tutto ciò però non vale assolutamente a giustificare una inerzia che oggi mette pericolosamente a repentaglio il funzionamento della Camera nella prossima legislatura. In questo contesto, subordinare la discussione in Aula al consenso unanime dei gruppi è decisione criticabile e improvvida, dove ancora una volta il supino ossequio ai precedenti fa aggio sulla percezione dell’urgenza politica del momento.
Tale decisione, infatti, ha dalla sua l’unico precedente verificatosi durante il periodo di scioglimento della IX legislatura, quando il 4 maggio 1987 la Giunta per il regolamento si riunì allo scopo di procedere alla modificazione del primo comma dell’art. 22 concernente il numero e le competenze delle commissioni permanenti. In quell’occasione la proposta del Comitato ristretto fu approvata all’unanimità (ma poi non discussa in Aula).
Si tratta quindi di un isolato precedente, maturato in un contesto e per ragioni assolutamente diversi dalle attuali che impongono invece al Presidente di porre in essere quanto necessario per mettere in sicurezza i lavori della Camera nella prossima legislatura in nome del suo dovere di assicurarne il buon funzionamento, anche in prospettiva diacronica.
Tra l’altro il requisito dell’unanimità – si badi: dei gruppi (componenti politiche del misto incluse?) e non dell’intera assemblea – oltreché, com’è ovvio consegnare a ciascuna forza politica un formidabile potere di veto, foriero di nessuno accordo, non trova riscontro nell’art. 64.1 Cost. che vuole le modifiche regolamentari essere approvate a maggioranza assoluta. Una maggioranza certo superiore a quella semplice richiesta per il conferimento della fiducia, come si conviene per l’approvazione delle regole del gioco parlamentare, ma certo inferiore a tale unanimismo.
Ed è paradossale – mi si consenta – come per un improvviso soprassalto si richieda in periodo di prorogatio l’unanimità dei gruppi quando durante il normale funzionamento delle assemblee si consentono alla maggioranza pro tempore strappi regolamentari senza eccepire alcunché.
Tra il troppo (unanimità) ed il poco (maggioranza semplice) si pone quella maggioranza assoluta che saggiamente la Costituzione richiede per l’approvazione di modifiche regolamentari, oggi assolutamente necessarie per garantire l’operatività delle prossime camere.