Uno dei temi riemersi a seguito della crisi del Governo Draghi, e del conseguente scioglimento anticipato delle Camere , attiene ad un aspetto del tutto secondario della vita delle istituzioni, ma sempre oggetto di forte attenzione da parte dell’opinione pubblica.
Mese: Luglio 2022
Sulla ineleggibilità dei sindaci che non si dimettono in tempo
Tra le scadenze elettorali collegate al rinnovo delle Camere ve n’è una particolarmente stringente: a norma dell’articolo 7, comma 1, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, i soggetti indicati dalla disposizione citata – tra cui rientrano i sindaci dei comuni con più di ventimila abitanti – qualora intendano candidarsi alla Camera o al Senato devono presentare le dimissioni dalla carica ricoperta almeno centottanta giorni prima della data di scadenza del quinquennio di durata della Camera dei deputati, calcolato a partire dalla data della prima riunione delle nuove Camere (art. 7, comma 3).
Modifiche al regolamento parlamentare in periodo di prorogatio: occorre l’unanimità dei gruppi?
Ad apertura della seduta dello scorso 22 luglio, il Presidente della Camera Fico, dopo aver comunicato lo scioglimento delle Camere deciso il giorno prima dal Presidente della Repubblica, ha puntualizzato le modalità e limiti all’esercizio delle principali funzioni parlamentari in periodo di prorogatio. A tal proposito, inter alia, in materia di regolamenti interni, ferma restando “la possibilità di convocazione della Giunta per il Regolamento relativamente alle questioni di interpretazione regolamentare di cui la Presidenza ritenga di investirla”, ha precisato che “possono essere convocate riunioni anche per l’esame di eventuali proposte di modifica al Regolamento, da sottoporre all’Assemblea” a condizione però che “si verifichi l’unanimità dei consensi dei gruppi”.
Gli elettori “fuori sede” possono attendere
La fine anticipata della XVIII legislatura ha definitivamente chiuso ogni spiraglio per vedere finalmente approvata una riforma della legge elettorale volta a introdurre forme alternative al voto in presenza nel giorno delle elezioni.
Già diverse volte tra le pagine di questo blog si è affrontato il tema del voto ai “fuori sede”, coloro che per le più diverse ragioni vivono in un comune diverso da quello nel quale hanno la residenza anagrafica.
In questa legislatura si sono registrati significativi passi avanti, che hanno accresciuto la consapevolezza della politica su un tema così importante. Si pensi al Libro bianco sull’astensionismo elettorale elaborato dalla Commissione istituita presso il Ministero per i rapporti con il Parlamento e presieduta dal prof. Franco Bassanini. In aggiunta, la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati aveva ultimamente ripreso a esaminare le diverse proposte volte a introdurre degli strumenti per consentire l’esercizio del voto a distanza.
Il caso vuole che proprio nel giorno in cui si scrive, 25 luglio 2022, la Camera dei deputatiavrebbe iniziato a esaminare predette iniziative legislative, partendo probabilmente da un nuovo testo base, alla cui elaborazione stavano lavorando sia il Ministero per i Rapporti con il Parlamento che il Ministero dell’Interno.
Ebbene, prendiamo atto che in occasione delle elezioni del 25 settembre prossimo, studenti e lavoratori fuori sede dovranno ancora una volta sostenere enormi costi sia in termini economici, che organizzativi per far ritorno nel luogo di residenza, al fine di poter esprimere validamente il proprio suffragio per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Si tratta di ostacoli all’esercizio del voto che sarebbe compito della Repubblica rimuovere al fine garantire l’effettiva partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica del Paese (art. 3, comma 2 Cost.).
Il sistema di voto attualmente vigente, oltre ad essere anacronistico è senza dubbio paradossale. Per le prossime elezioni politiche uno studente che si raca all’estero per svolgere un Erasmus potrà votare per corrispondenza; un suo collega che, invece, dopo aver finito gli studi superiori decide di spostarsi in una città universitaria italiana, molto lontana da quella di provenienza, dovrà necessariamente far ritorno nel luogo di residenza per esercitare il proprio voto. Infatti, la legge 6 maggio 2015, n. 52 (cd. Italicum) ha introdotto, tra le altre cose, un una modifica alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, con l’inserimento di un nuovo art. 4-bis. Quest’ultimo, al primo comma, ha esteso il voto postale, già previsto per i nostri connazionali stabilmente all’estero e iscritti all’AIRE, anche agli italiani che si trovino in un altro Paese per “motivi di lavoro, di studio e di cure mediche” per un periodo di almeno tre mesi, nel quale ricade la data di svolgimento della consultazione. La modifica del 2015 crea un evidente controsenso, viziato forse da irragionevolezza, dal momento che si trattano situazioni uguali (essere elettori in mobilità) in modo diverso. Si ricordi, tra l’altro, che l’art. 48, comma 3, impone al legislatore di garantire l’effettività dell’esercizio del voto (su cui secondo alcuni si può trovare il fondamento per l’ammissibilità del voto per corrispondenza) solo agli elettori italiani residenti all’estero. Orbene, per quanto sia stato giusto estendere tale facilitazione anche a coloro che si trovino temporaneamente all’estero, sarebbe altrettanto giusto, anzi doveroso, prevedere delle agevolazioni – non solo economiche – anche per gli elettori in mobilità sul territorio nazionale.
In conclusione, se, con tutte le differenze tra gli ordinamenti, già durante le elezioni presidenziali statunitensi del 1864 venivano impiegate forme di absentee voting, l’Italia del 2022 dovrà ancora attendere. Tuttavia, il prezzo dell’attesa è molto alto. Ne va dell’effettivo esercizio di un diritto fondamentale, pietra angolare della cittadinanza democratica.
* Dottorando in Discipline giuridiche nell’Università degli Studi «Roma Tre»
Draghi, ieri oggi domani
Proprio nel luglio 2012 il Draghi del whatever it takes ammonì i mercati (cioè gli speculatori) che se non avessero cambiato registro, lui li avrebbe rimessi in riga con i potenti mezzi della BCE da lui guidata. Anche se molti lo ritennero un bluff ben congegnato, i mercati (cioè gli speculatori) preferirono non andare a vedere le carte dell’autorevole banchiere centrale.
Il caso Neubauer e la recente riforma dell’art. 9 Cost.
A marzo del 2021 la Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht) ha adottato una decisione che per diversi motivi è già entrata nella storia. In questo commento mi propongo di mettere in luce le principali novità, nonché le principali criticità, sollevate dalla decisione.
Unione europea e difesa comune
Nella prima metà del 2000 l’Unione Europea, mentre tentava di adottare una Costituzione, ha dovuto decidere sull’ammissione di Stati che avevano fatto parte dell’Urss: i due adempimenti non erano indipendenti e l’esperienza lo ha confermato.
«Giudizio universale» tra emergenza climatica e “fine” del bilanciamento costituzionale
La causa climatica italiana “Giudizio universale” inizia finalmente a costituire oggetto di approfondimento monografico da parte della dottrina. È un riscontro importante, perché la vicenda è inedita nel panorama dell’esperienza giuridica nazionale e perché l’emergenza climatica ha, ad oggi, appassionato poco o nulla l’opinione dei giuristi del nostro Paese (a differenza dell’inflazionata passione per l’emergenza Covid).
La causa climatica “Giudizio Universale” e la difesa dello Stato
Il giorno 21 giugno scorso, ha avuto luogo l’udienza istruttoria, presso il Tribunale civile di Roma, della causa “Giudizio Universale”, il primo contenzioso climatico italiano.