E’ passato giusto un anno da quando, nell’imminenza delle elezioni calabresi e in alcune città, pubblicammo un’aperta denuncia dello stato di passività delle istituzioni parlamentari in relazione a un tema di primissimo rilievo in ogni sistema democratico: come consentire la partecipazione al voto dei cittadini “non residenti”.
Qualcosa sembrava però muoversi allora. Accanto ad alcuni disegni di legge – prima fra tutti la proposta Madia (del 28 marzo 2019, c. 1714) – che galleggiavano immoti negli stagni del parlamento, si era insinuata la proposta del presidente della I.a Commissione del Senato, Brescia, che raccoglieva alcuni spunti proposti da chi scrive in questo giornale. Ma tutto si bloccava per uno stop “informale” intimato dal Viminale attraverso il sottosegretario Scalfarotto (un comportamento istituzionale a mio avviso censurabile: vedi Votazioni a distanza: chi deve andarsene?). Come sempre in Italia, davanti ad un problema urgente e relativamente semplice da risolvere, si rilancia puntando alla soluzione ideale di un problema di ben maggiore rilevanza e complessità: l’introduzione del voto elettronico. Siccome quest’ultimo è un problema davvero difficile, l’entusiasmo si spegne presto e lo stagno può tornare a chiudersi nella sua immobilità.
Però il problema c’è ed è urgente: altre votazioni ci attendono questa primavera, tra cui le elezioni nella Regione Sicilia e in un migliaio di comuni, anche grandi. Ancora una volta molti “fuorisede” dovranno rinunciare al voto.
Che il problema sia serio lo ha intuito Federico D’Incà, Ministro per i Rapporti con il Parlamento, che nel dicembre scorso ha istituito una Commissione di studio sul fenomeno dell’astensionismo elettorale, presieduta da Franco Bassanini. La Commissione dovrebbe occuparsi delle cause del preoccupante diffondersi dell’astensionismo elettorale e della “soluzione dei problemi di voto per i cittadini che si trovino distanti dalla residenza” che dell’astensionismo è una della cause accertate. C’è un’altra novità. Il fenomeno dei fuorisede ha finalmente una dimensione statistica accertata, dati che sono resi pubblici anche grazie al lavoro di uno dei giovani attivisti del movimento per il voto fuorisede, Stefano La Barbera. C’è un interessante documento di lavoro (Il valore dei dati aperti sui cittadini in mobilità) che offre informazioni importanti che riguardano oltre tre milioni di cittadini italiani che vivono fuori dal Comune e dalla Regione di residenza. I fuorisede ci sono ovunque: ma che l’Italia sia l’unico dei paesi europei che non abbia ancora affrontato un problema che altrove è stato da tempo risolto è semplicemente una vergogna.