La ricerca di un appartamento in affitto nel cuore di Roma da parte di Sergio Mattarella, le continue domande all’indirizzo di Draghi su una sua ipotetica salita al Colle hanno riacceso i riflettori sulla corsa presidenziale;
ciò malgrado la richiesta di “moratoria” sul Quirinale, lanciata dal Segretario del Partito Democratico Enrico Letta, agli albori della campagna elettorale per le amministrative 2021.
Il fatto che il Presidente Mattarella abbia dovuto più volte negare un suo interessamento ad una rielezione (anche pro tempore come è stato per Napolitano nel 2013, o interamente come fu per Ciampi quando gli venne offerta la rielezione nel 2006) e che Draghi abbia dovuto accantonare il suo consueto “aplomb” all’ennesima domanda rivoltagli dai cronisti, lascia presagire una sorta di pensiero fisso dei partiti. L’impressione che si vuole esternare con questo breve scritto è che, in realtà, il pensiero non sia tanto legato alle persone in sé quanto piuttosto ad un possibile “idealtipo” che questi rappresenterebbero.
Ricostruiamo brevemente il quadro politico-istituzionale. La XVIII Legislatura è nata sotto il “segno” della necessaria collaborazione: sia per l’affermazione di un sistema tripolare che ha potuto consegnare due formule di governo di coalizione con la medesima guida politica ma con maggioranze di colore politico differente; sia per lo scoppio della pandemia da COVID-19, che ha costretto le forze in campo a cercare una sinergia e compattezza in Parlamento e nei vari livelli di governo territoriale per affrontare l’emergenza “comune”. Mattarella, ad esempio, ha assunto un ruolo chiave in tutti i passaggi cruciali proponendosi, da un lato, come interprete della fragilità degli schemi parlamentari, e, sotto un altro aspetto, come primo momento di impulso politico-istituzionale per la ripartenza (emblematico, sul punto, il suo discorso alla Nazione di fine 2020, dove si è fatto carico di dettare per gli organi di indirizzo le due linee guida per la ripresa, ossia campagna vaccinale e PNRR). I partiti che oggi sostengono l’esecutivo “palatino”, nato sui presupposti indicati proprio dall’appena citato discorso, sembra che abbiano colto i segnali presidenziali su come, per necessità condivise legate al perdurare della pandemia e della gestione dei fondi europei, sia ancora necessario proseguire con un’azione di governo in piena collaborazione. Tutto ciò persisterebbe almeno fino alla scadenza naturale del 2023, quando si arriverà al raggiungimento degli obiettivi di medio termine del PNRR (tenendo conto del cronoprogramma bifasico dei lavori per i due trienni ’21-’23 e ’24-’26). Eccezion fatta per il caso in cui si dovesse procedere a scioglimento anticipato su compatta richiesta dei partiti dopo l’elezione del Capo dello Stato, la convivenza e la cooperazione sembrerebbero, attualmente, configurarsi come condizioni necessarie e, probabilmente, obbligate per la ripresa definitiva del Paese.
Ora, viste le varie “stagioni” politiche che sono intercorse nell’attuale Legislatura, diamo uno sguardo ai “papabili” Presidenti, cominciando dallo stesso Mattarella, la cui eredità potrebbe sintetizzarsi in tre punti essenziali:
- Stile di conduzione presidenziale improntato ai canoni della sobrietà, senza eccessi e del garbo istituzionale. Questione che in un certo senso sembrerebbe connaturata nella carica istituzionale di chi svolge dei compiti di rappresentanza, di coesione e di moral suasion come il Capo dello Stato nell’ordinamento costituzionale italiano, ma che Mattarella ha saputo interpretare, trovando un consenso quasi unanime tra le forze politiche;
- Prassi presidenziale improntata ai canoni della cultura politica “morotea”. Faccio riferimento, in generale, all’utilizzo dei poteri di intermediazione e di mediazione politica, come regola aurea della conduzione degli affari istituzionali, che ha sospinto gli attori politici alla ricerca della leale collaborazione tra loro e verso il Quirinale nei momenti di maggiore stallo (lo si nota sia sul piano della moral suasion e sia per i suoi interventi “in via riservata” per il tramite degli Uffici quirinalizi nell’attività legislativa di Parlamento e Governo, come nei casi dei Decreti Sicurezza e del Decreto semplificazioni);
- La “variante mattarelliana”: favorire sì la mediazione, ma gestendo e dettando, talvolta, i tempi e i margini d’azione dei dialoghi tra le parti, come una sorta di “metronomo costituzionale”, tirando in pochi, ma altamente significativi, casi le redini del gioco con decisioni di un certo peso politico (v. ad esempio il veto a Paolo Savona durante la formazione del Governo Conte I, l’incarico a Cottarelli, l’incarico a Draghi o il lapidario comunicato in risposta alla decisione della BCE di non tagliare i tassi di interesse sul debito pubblico italiano allo scoppio della pandemia).
Anche Mario Draghi sin dal suo incarico di Presidente della BCE e poi durante il suo mandato da Presidente del Consiglio avrebbe instillato nei partiti le stesse impressioni avutesi con Mattarella. Atteggiamento molto sobrio e garbato, vigilanza e analisi attenta sulle evoluzioni politico-istituzionali e una particolare propensione alla sua regola aurea del “whatever it takes”, nel caso in cui gli snodi siano di una complessità tale da richiedere un intervento risolutore ma fortemente deciso.
Un altro nome che circola da molto tempo è quello dell’attuale Ministra della Giustizia ed ex Presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia. Quest’ultima ricalcherebbe i tratti evidenziati visti i suoi anni da Giudice costituzionale, che l’hanno vista come garante dell’ordinamento, non divisiva politicamente, ma altresì capace di farsi promotrice di varie iniziative a favore di un “ammodernamento” del funzionamento della Corte, sia all’interno della Corte (ad es. il dialogo, a tratti molto serrato, con la Corte di Giustizia UE), sia nell’immagine e nelle relazioni esterne della stessa Consulta. Un importante stress test, per quanto riguarda la sue capacità di mediazione e di decisione politica, è per lei arrivato durante il dibattito sulla riforma della prescrizione nel processo penale, che l’ha portata a confrontarsi su un terreno storicamente e politicamente molto insidioso.
Alcuni pronostici. Draghi è particolarmente pressato dalla maggioranza di governo (ora anche dalla Meloni ma in cambio di un successivo scioglimento anticipato) e dagli organi di stampa per una sua elezione al Quirinale; ma personalmente ritengo sia difficile una sua salita al Colle. La provenienza tecnica ma gradita a tutte le forze di maggioranza e l’indiscusso prestigio internazionale della sua figura potrebbero ancorarlo a Palazzo Chigi, in quanto costituiscono per l’Unione europea e i soggetti politici nazionali le migliori garanzie politiche per la stabilità di un’azione di governo, fatta di riforme strutturali e di un processo di costanti verifiche sulla loro gestione da parte dell’Unione. Inoltre, un’eventuale elezione al Colle in quali condizioni metterebbe la maggioranza di unità di persistere scegliendo una figura “neutra” che lo possa sostituire con le medesime caratteristiche? Quale maggioranza politica potrebbe presentarsi da Draghi in consultazione garantendo una stabilità d’azione? Dubito questo Parlamento così frammentato possa portare Draghi al Quirinale per poi proporgli immediatamente un nome che possa raccogliere l’eredità di un governo di unità nazionale. Riterrei più praticabile la via del Governo Draghi fino a scadenza naturale della Legislatura (non mi stupirei, poi, se lo stesso Draghi finisse, salvo rinunce per motivazioni anagrafiche, come “spitzenkandidat”, salvo riforme sul punto, per la Commissione europea nel 2024).
Quanto a Marta Cartabia, le possibilità ritengo siano maggiori e che la sua figura possa al Quirinale “vegliare” sulla stabilità politica di chi porta avanti il processo delle riforme per il PNRR e per la fine dell’emergenza sanitaria, in attesa che per il 2023 una nuova competizione politica (si presuppone che le forze politiche abbiano, comunque, avuto la possibilità di decidere sulle varie opzioni elettorali e di confrontarsi sulla riforma dei regolamenti parlamentari in vista dell’entrata in vigore della nuova riforma costituzionale) si possa svolgere, ritenendo pacificamente esaurita l’esperienza del governo di unità nazionale.