Nell’esprimere il mio favore per l’attuale compagine governativa, sorretta da un’ampia maggioranza parlamentare, farò riferimento non al suo indirizzo politico (che peraltro apprezzo), bensì al significato costituzionale della formazione di questo governo. Per motivare questo favor debbo assumere una premessa di fondo. Detto in termini quanto mai schematici, ci sono due divergenti modelli di governo – pur con varianti e con possibilità di configurazione di un terzo modello – circa la composizione partitica. Esiste il modello maggioritario, che si sostanzia nella composizione del governo da parte di uno schieramento di maggioranza con un forte schieramento di opposizione, che contesta l’indirizzo governativo e può scalzare, in occasione di successive elezioni, la maggioranza in carica. Con detto modello si possono registrare una omogeneità e una coesione della maggioranza governativa, con minori ostacoli all’interno di quest’ultima, circa la realizzazione dell’indirizzo politico, ma con maggiore conflittualità all’esterno e con più forte resistenza ad accettare misure di governo da parte dei cittadini, o, meglio, dell’elettorato.
In termini antitetici, sussiste il modello consensuale, denotato dalla presenza di una quanto mai ampia maggioranza di governo, con l’assenza, o comunque una ben scarsa consistenza, di un’opposizione. Con tale modello sussiste un ampio schieramento di maggioranza, peraltro percorso da una possibile, anzi probabile, conflittualità interna (data la forte eterogeneità dei partiti, che la compongono) con maggior difficoltà a svolgere un indirizzo politico organico e lineare.
Su quale modello sia preferibile ferve una persistente discussione fra giuristi, politologi e politici. Non è questa la sede per riprendere il dibattito sull’argomento e mi limito a rilevare che l’opinione nettamente prevalente nel sistema partitico in Italia è a favore del modello maggioritario. Ne sono prova le ripetute affermazioni di esponenti dei partiti dell’attuale coalizione governativa, i quali dichiarano la transitorietà di quest’ultima in attesa delle future elezioni politiche, che dovranno dar vita ad un’alternativa fra centro-destra e centro-sinistra nei ruoli di governo e di opposizione, e la formazione di alleanze di governo aventi maggior omogeneità politica.
Fatta questa premessa, va detto che il modello maggioritario, espressione della “democrazia conflittuale”, non deve però sostanziarsi in una radicale, quanto mai divisiva, conflittualità. Affinché possa funzionare bene la “democrazia conflittuale” deve essere poco… conflittuale. I requisiti necessari per un’armonia fra modello maggioritario di governo e coesione sociale e politica, necessaria per un efficiente regime democratico, sono (almeno) due.
Anzitutto la polemica e lo scontro fra partiti ed uomini politici (nonché loro seguaci) non deve mai superare i limiti del rispetto reciproco. Questa può sembrare un’osservazione banale, scontata, ma, se analizziamo la realtà, spesso vengono superati i confini del rispetto altrui. Vediamo quante manifestazioni scomposte, quanti insulti, si riscontrano nei media. Vero è che manifestazioni scomposte, aggressioni verbali (e talvolta anche fisiche), si sono verificate pure in passato (e non solo nelle piazze, ma perfino nelle aule parlamentari). Ma ciò avveniva in occasione di forti conflitti, talvolta indotti dal timore di adozione di misure liberticide da parte di maggioranze governative di segno opposto, con un forte riscaldamento degli animi. Comunque si trattava anche allora di manifestazioni che violavano i canoni della convivenza pacifica e rispettosa degli altri politici, canoni che debbono valere sempre. Inoltre, e ciò non è meno preoccupante, se non m’inganno, ci sono state varie sentenze di giudici, che hanno ritenuto penalmente lecito il ricorso ad un linguaggio insultante ed offensivo nei confronti di avversari politici, in quanto tale linguaggio sarebbe divenuto abituale ed accettabile.
In secondo luogo, è necessario che la contrapposizione di orientamenti circa l’adozione di soluzioni di governo non sia radicalizzata. Per intenderci, se c’è una contrapposizione di visioni ideologiche, come si è verificato nei decenni passati, essa non deve assumere una connotazione manichea, la quale consiste, per chiarire, non nel rifiuto motivato dell’ideologia altrui, bensì nella criminalizzazione della medesima. Se sussiste una contrapposizione ideologica, è opportuno che la maggioranza non abbia un atteggiamento di pregiudiziale, indiscriminato, rigetto delle proposte della minoranza, ma sia disposta ad accogliere anche istanze dell’opposizione, se queste ultime non siano talmente contrastanti con l’orientamento della maggioranza da provocare, se accolte, l’impossibilità di realizzare quest’ultimo. In altre parole, una collaborazione di maggioranza e minoranza, pur senza impedire l’esercizio del potere decisionale della prima, è utile alla democrazia, ma, aggiungo, anche alla maggioranza stessa, poiché meno contrastate sono le soluzioni adottate dalla stessa, più facilmente queste ultime possono radicarsi nell’opinione pubblica ed essere accettate poi anche da molti che non le hanno condivise al momento dell’approvazione.
A quanto detto circa la necessità di momenti di incontro e cooperazione, pur nella distinzione dei ruoli, fra maggioranza ed opposizione, anche nel modello di governo maggioritario, va aggiunto, a mio parere, che l’eventuale formazione di una grande coalizione che comprenda la maggior parte delle (e più consistenti) forze politiche, pur se costituisca una deroga al modello in oggetto, può essere opportuna e non va considerata una tragedia. Infatti, si possono verificare – e si sono storicamente verificate – circostanze gravi e sfortunate, i cui effetti non possono essere adeguatamente contrastati da coalizioni di governo aventi una risicata maggioranza in Parlamento (e magari aventi un consenso minoritario nel Paese). Per intenderci, in siffatte circostanze i governi debbono adottare misure impopolari ed imporre sacrifici ai cittadini, rischiando reazioni di protesta molto forti ed una ribellione di parti della società. Se a questi fattori sfavorevoli si aggiunga un’opposizione, mirante a delegittimare ulteriormente la maggioranza di governo, possono sorgere gravi rischi di ingovernabilità, con difficoltà a far fronte agli eventi avversi e con rischio per la tenuta delle istituzioni democratiche. L’unico modo per superare tali situazioni di grave crisi è costituito, sotto il profilo politico-costituzionale, dalla formazione di coalizioni di governo di quanto mai ampia maggioranza, con riduzione al minimo della conflittualità nel sistema partitico e con una collaborazione che favorisca l’accettazione delle misure dolorose e dei sacrifici necessari per il ritorno alla normalità.
Un esempio classico di tali ipotesi è costituito dallo stato di guerra e dalla formazione di governi di unità nazionale. Ma questa, pur in un quadro di eccezionalità, non può essere l’unica ipotesi tassativamente prevista. Una studiosa francese, che ha scritto un ponderoso libro sullo “stato di necessità in democrazia” – si sottolinea “in democrazia” – ha messo in rilievo che non solo eventi di natura militare (oltre i conflitti bellici fra stati, o i tentativi di eversione mediante il ricorso all’uso delle armi), ma anche gravi crisi di natura economico-sociale possono costituire situazioni di emergenza, di necessità, le quali possono giustificare deroghe al normale funzionamento delle istituzioni costituzionali. Ora, se in queste ipotesi sono ammesse variazioni (sia pur transitorie) degli assetti costituzionali, a fortiori situazioni critiche non di carattere militare potranno ben giustificare una composizione di compagini di governi in deroga al modello maggioritario (senza altri mutamenti di natura costituzionale). Al che vorrei aggiungere che la formazione di coalizioni governative di larga maggioranza possono ben giustificarsi anche a livello regionale, comunale, ecc., allorché solo coalizioni di questa natura siano ritenute in grado di far fronte a situazioni difficili e non fronteggiabili da maggioranze risicate: per esemplificare, chi scrive, pur se dotato di scarse informazioni e quindi incompetente, sospetta che nessuna maggioranza di governo comunale, fortemente contestata da una forte opposizione, possa risolvere i problemi della città di Roma.
Da quanto detto si possono trarre alcune deduzioni.
a) L’Italia ha gravi problemi, di ordine sanitario ed economico, da fronteggiare e la cui soluzione esige una quanto mai ampia maggioranza di governo nonché la cooperazione fra le forze politiche e bene ha fatto Mattarella – a parere di chi scrive, grande presidente della Repubblica – a sollecitare la formazione del governo Draghi.
b) I partiti, che, meritevolmente, hanno accettato questa soluzione politico-costituzionale, debbono essere conseguenti e mirare a realizzare il programma governativo, con il supporto politico di essi e dei loro elettori e rifuggire dalla deplorevole tentazione di mettere in difficoltà l’azione e la solidità del governo Draghi, con la speranza (probabilmente, illusione) di trarre profitto elettorale da un’incoerente duplicità di ruoli, di governo e di opposizione.
c) È stata, ed è fuorviante, l’invocazione di elezioni politiche, che arrecherebbero gravi danni allo Stato ed alla società. Le elezioni politiche sono certo necessarie come fattore costitutivo della democrazia, ma non possono essere invocate elezioni anticipate (il discorso non vale per quelle ordinarie) per interessi elettoralistici ed a danno degli interessi della comunità nazionale. L’esperienza – v. la Repubblica di Weimar e la quarta Repubblica francese – insegna che troppe elezioni anticipate e una breve durata delle coalizioni governative possono divenire un fattore di grave crisi della democrazia.