Nelle calde e movimentate giornate di fine luglio è uscita alla chetichella un’importante decisione della Corte costituzionale, la sent. 164/2021. Nasce da un ricorso della regione Veneto contro un atto del Ministero che dichiara «di notevole interesse pubblico» l’area alpina del Comelico: la regione protesta contro un atto vincolante, che pone limiti e prescrizioni alla “valorizzazione” del territorio senza coinvolgere nelle dovute forme la regione stessa e i comuni compresi. Questioni complicate, che qui poco interesserebbero. E’ invece molto interessante l’argomento impiegato dalla sentenza (scritta da Augusto Barbera) per tagliare di netto il groviglio di competenze e procedure.
Il principio è la “logica incrementale delle tutele”, conforme al carattere primario del bene ambientale (art. 9 Cost.). Il corrolario è che lo Stato può esercitare le sua competenza senza alcun condizionamento legato a fattori temporali o contingenti, ovvero alla sfera di competenza regionale.
Tale logica, dal lato della Regione, “opera sul piano procedimentale per addizione, e mai per sottrazione, nel senso che la competenza regionale può essere spesa al solo fine di arricchire il catalogo dei beni paesaggistici, in virtù della conoscenza che ne abbia l’autorità più vicina al territorio ove essi sorgono, e non già di alleggerirlo in forza di considerazioni confliggenti con quelle assunte dallo Stato, o comunque mosse dalla volontà di affermare la prevalenza di interessi opposti, facenti capo all’autonomia regionale, come accade nel settore del governo del territorio”.
I punti fermi attorno cui ruota il ragionamento sono la “prevalenza assiomatica della tutela dell’ambiente sugli interessi urbanistico-edilizi” e quindi che la tutela dell’ambiente precede sempre lo sfruttamento urbanistico del territorio; a cui si aggiunga che la conservazione del paesaggio non si limita a rilevare il valore paesaggistico di un bene, ma si accompagna “a prescrizioni intese a regolamentarne l’uso, fino alla possibilità di vietarlo del tutto”. La dichiarazione di interesse ambientale “non si sovrappone alla disciplina urbanistica ed edilizia di competenza regionale e locale, ma piuttosto specifica se e in quale misura quest’ultima possa esercitarsi, in forma compatibile con la vocazione alla conservazione del pregio paesaggistico propria dell’immobile o dell’area vincolata”. Il che non significa affatto che la regione non possa “aggiungere” vincoli e limiti allo sfruttamento del territorio: “secondo la logica incrementale delle tutele” lo Stato può esercitare la sua competenza di tutelare l’ambiente “senza alcun condizionamento legato a fattori temporali o contingenti, ovvero alla sfera di competenza regionale”; quello che la regione può fare è aggiungere, non derogare ai limiti e alle prescrizioni fissati dallo Stato.
Come la Corte mostra con puntigliosa attenzione, tutto ciò era già contenuto nella sua giurisprudenza antecedente. Nulla di nuovo dunque? A parte la questione “tecnica” di quali siano gli atti con cui lo Stato può vincolare le scelte legislative e amministrative della regione, è importate che la Corte abbia ribadito un principio di tutela “incrementale” dell’ambiente, tale per cui la tutela può essere soltanto incrementata e non diminuita in nome di altri interessi. Ma è un principio credibile? Purtroppo non tanto: ogni volta che la Corte lo ha ribadito per confermare la competenza dello Stato a fissare gli standard di protezione, riconoscendo alla regione la possibilità teorica di migliorarli, si è subito smentita negando alla regione la possibilità pratica di alzare l’asticella della protezione se altri interessi entrano in gioco: il che avviene sempre, come è ovvio. Anche in questo caso la smentita viene solo tre giorni dopo, con la sent. 177/2021 (scritta da Emanuela Navarretta). Viene dichiarata illegittima la legge della Toscana che avrebbe voluto inspessire la protezione ambientale limitando la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra. In questo caso, dice la Corte (ripetendo un argomento impiegato già nella “storica” sent. 307/2003) la legge dello Stato fissa un principio che segna il “punto di equilibrio” tra più interessi concorrenti. L’ambiente cessa di essere l’interesse prevalente, perché è necessario tener conto anche dell’interesse alla diffusione delle energie rinnovabili.
L’ambiente sarà anche oggetto di una tutela “incrementale”, ma la regione non può incrementare un bel niente! E’ vero che delle regioni non ci si può troppo fidare, rivelandosi troppo spesso più vicine agli interessi dei cacciatori, dei costruttori e dei “valorizzatori” del territorio che a quelli degli interessi ambientali e del paesaggio. Ma è vero anche che quando provano ad assumerne la tutela e a “incrementarla”, il blocco è immediato.