Le proteste nelle piazze italiane e di tutta Europa sono considerate espressione di un prematuro desiderio di ritornare alla frivolezza della vita di tutti i giorni. Un desiderio che però ignora le minacce per la salute della collettività, e i doveri di solidarietà verso di questa, e perciò viene additato da più parti come egoistico. Tuttavia, sarebbe riduttivo limitarsi ad interpretare queste proteste solamente con questa chiave di lettura.
Guardando agli eventi attraverso un’altra lente, e sforzandosi di vedere le manifestazioni di piazza come una rivendicazione di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti – il diritto alla privacy, il diritto all’integrità fisica, che richiede il consenso del paziente per ogni trattamento sanitario, la libertà di circolazione – queste manifestazioni assumono la forma di un avviso ai governanti che questi diritti non potranno essere compressi illimitatamente. Un avviso che è particolarmente opportuno in un momento storico in cui i governi, per rispondere alla domanda sociale di sicurezza, hanno fatto uno straordinario uso dei propri poteri coercitivi, impensabile prima del marzo 2020. In questa diversa ottica dunque le proteste non appaiono semplicemente legittime, ma anche necessarie. I diritti fondamentali dell’individuo sono infatti il primo e più importante limite del potere statale e un’eccessiva inerzia del corpo sociale di fronte alla pesante compressione dei suoi diritti costituzionali rischia di mettere in dubbio la loro stessa esistenza. Perché tutti i diritti, se non rivendicati, decadono, si svuotano del loro contenuto.
L’obiezione dell’egoismo di chi rivendica il proprio diritto a non vaccinarsi e di non essere discriminato in ragione di questa decisione è certamente valida, ma fino a un certo punto. Tutti i diritti fondamentali tradizionali sono per loro natura egoistici. Garantiscono una sfera di immunità individuale di fronte all’intervento dello stato o – addirittura – garantiscono a ciascuno di noi il diritto a pretendere dallo Stato qualcosa, la salute innanzitutto. Il fatto che la decisione di non vaccinarsi possa mettere in pericolo la comunità è un elemento a cui deve essere attribuita la massima rilevanza ma che non deve a priori chiudere a qualunque dibattito sulla necessità, idoneità e proporzionalità del Green pass. Soprattutto attualmente, con le dosi di vaccino insufficienti a garantire il diritto di tutti a vaccinarsi, una situazione sanitaria che pare tutto sommato sotto controllo, e le evidenze scientifiche sull’effettiva contagiosità dei vaccinati che non possono definirsi consolidate – visto che secondo Anthony Fauci anche le persone che hanno completato il ciclo vaccinale sono in grado trasmettere la malattia.
Con l’avvento della pandemia le democrazie contemporanee sono entrate in un territorio inesplorato, e la cittadinanza dovrà contribuire a ridisegnare i confini del potere statale. E, se è vero, come risulta da un sondaggio commissionato dall’Economist, che circa un quinto della popolazione inglese accetterebbe di buon grado un coprifuoco notturno indipendentemente da qualunque rischio sanitario, si impone una più rispettosa considerazione persino delle più intransigenti posizioni di quanti vedono nel Green pass un’intollerabile limitazione dei propri diritti fondamentali.
Condannare senz’appello e invocare la segregazione di quanti rifiutano l’inoculazione del vaccino tradisce invece un egoismo di diversa natura, quello di un supposto diritto a non essere contagiati, del primum vivere. Al contrario, si deve rilegittimare e dare spazio alle posizioni critiche rispetto a una misura che rischia di costituire un obbligo vaccinale indiretto, perché attraverso un dibattito sulle concrete limitazioni che possano e debbano discendere dalla scelta di non vaccinarsi, si possa raggiungere il giusto equilibrio tra la tutela del prominente interesse collettivo e gli egoistici, ma fondamentali, diritti individuali. Infatti, anche chi si vaccina è un bandito, domandarne l’esclusione da ogni forma di vita sociale equivale a chiedere di gettare via la chiave.
L’agognato ritorno alla normalità, sociale e democratica, non passa solamente dal raggiungimento dell’immunità di gregge, ma anche da una piena riconferma dei diritti fondamentali dell’individuo.
* Research Fellow on Constitutional Democracy – Universitat de Barcelona
Non concordo in quanto l’analisi si contraddice nel punto in cui si fa riferimento alla proporzionalità delle misure coercitive senza considerare la stessa proporzionalità (in ambito medico) sulla maggior capacità dei non vaccinati di contagiare il prossimo.
Mi limito ad un paio di osservazioni di logica giuridica. Non esiste libertà senza sicurezza (fisica e giuridica e forse pure economica). Non esiste libertà senza regole (evitare una vita nasty, brutish and short). Regole sono restrizioni. Per combattere la propagazione e le mutazioni del virus esiste un solo metodo, la vaccinazione. La vaccinazione è una protezione personale e collettiva solo relativa: l’efficienza varia in percentuale senza mai raggiungere il 100%; inoltre le persone vaccinate possono trasmettere il virus (in minor misura) e ammalarsi di nuovo. Il GP è quindi per forza una misura relativa. È tuttavia preferibile a cioè meno restrittivo di un obbligo di vaccinazione. Quindi è appropriato, utile e non eccessivo nel senso che il GP permette di evitare restrizioni più severe come da un lato nuovi lock-down o dall’altro un obbligo di vaccinarsi. Accettando poche tesi è pure necessario: vaccino UNICO strumento benché relativo, impossibile evitare restrizioni più drastiche senza GP. Bravo Macron che l’ha capito e detto per primo.