di Salvatore Curreri
Nel parere sui requisiti per costituire componenti politiche nel gruppo misto, approvato dalla Giunta per il regolamento del Senato lo scorso 11 maggio e ottimamente qui commentato da Gabriele Maestri, c’è un profilo che è rimasto in ombra: si può introdurre per via interpretativa quella che è di fatto una modifica del regolamento del Senato?
Già si potrebbe discutere circa l’opportunità d’introdurre su un tema così politicamente delicato una simile modifica che potrebbe condizionare le necessarie riforme regolamentari conseguenti alla riduzione del numero dei senatori. Difatti, è più che probabile che tale riduzione renderà più difficile il raggiungimento del numero minimo necessario per costituire un gruppo parlamentare, con la conseguenza che non saranno pochi i senatori che dovranno confluire nel gruppo misto, ingrossandone le fila e rendendo così più difficoltosa l’organizzazione e la gestione di un gruppo per sua natura politicamente eterogeneo.
Ma il punto, prima ancora dell’opportunità, riguarda la legittimità di tale decisione.
I termini del problema, del resto, erano assolutamente chiari alla Presidente, la quale, nella seduta del 2 dicembre 2020 della Giunta per il regolamento, fu nettamente dell’avviso che la questione interpretativa relativa alle componenti politiche del gruppo misto non poteva “ritenersi di mera interpretazione in quanto, con riferimento alla disciplina delle componenti politiche del Gruppo Misto, il Regolamento del Senato presenta una vera e propria vacatio, tanto più se raffrontato con l’analitica disciplina prevista dal Regolamento della Camera dei deputati”.
E già, perché, quando nell’autunno del 1997 si pose il problema della gestione del gruppo misto, a causa del numero elevato dei suoi componenti, la Camera dei deputati, guidata dal Presidente Violante, non approvò mica un parere interpretativo ma una vera e propria modifica dell’art. 14, comma 5, del proprio regolamento diretta a stabilire i requisiti (numerici o politici) per costituire le componenti politiche del misto.
Componenti politiche che invece non sono disciplinate dal regolamento del Senato, il quale fa loro fugace riferimento a proposito delle interpellanze con procedimento abbreviato (art. 156-bis.1). Per questo motivo esse si sono costituite informalmente su decisione anche di un singolo senatore, senza con ciò conferirgli particolari diritti.
Tutto ciò lasciava quindi supporre che la Giunta per il regolamento, nell’intervenire sul tema, approvasse una proposta integrativa del dettato regolamentare anziché optare per la soluzione, certo più agevole ma incostituzionale, del parere interpretativo.
Incostituzionale perché, secondo l’art. 64, comma 1, Cost., “ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti”. Per la Costituzione, dunque, deve essere l’Assemblea, e non un singolo suo organo, ad approvare le modifiche regolamentari con una maggioranza – quella dei componenti – peraltro più elevata rispetto a quella richiesta per concedere o revocare la fiducia al Governo (art. 94 Cost.), a dimostrazione di quanto per i costituenti fossero importanti le “regole del gioco parlamentare” e di quanto fosse importante che su di esse si realizzasse una larga convergenza politica.
Invece siamo di fronte ad un parere apparentemente interpretativo ma che, come riconosciuto dalla Presidente, sostanzialmente innovativo e che, per questo, costituisce l’ennesimo cattivo precedente.
Si potrebbe obiettare che comunque in Giunta per il regolamento tutte le forze politiche sono state d’accordo nell’approvare per cui l’approvazione da parte dell’Aula sarebbe stata una complicazione inutile, che solo custodi delle forme, come sono i giuristi, possono rilevare. Ma anche stavolta la forma è sostanza. In Giunta per il regolamento, infatti, non sono rappresentate le componenti politiche del gruppo misto che sono le dirette destinatarie di tale modifica. Inoltre: siamo sicuri che le posizioni espresse dagli esponenti dei singoli gruppi parlamentari fossero così condivise al loro interno e comunque in misura tale da consentire l’approvazione della riforma a maggioranza assoluta? Siamo sicuri che lo stesso avvio della procedura di modifica, che ha i suoi tempi, non avrebbe potuto cambiare la posizione dei gruppi e il voto (che può essere a scrutinio segreto) dei singoli senatori? Posizione peraltro, già mutata nel corso di una discussione che ha tenuto impegnata la Giunta per il regolamento per ben quattro sedute (2 dicembre 2020, 27 gennaio, 17 marzo e 11 maggio 2021). Come non ricordare a tal proposito che è dal 15 ottobre dell’anno scorso che vige il “breve rinvio” disposto dal Presidente della Camera circa la quarta votazione che avrebbe dovuto approvare senza troppi problemi la riforma costituzionale che diminuisce da 25 a 18 anni l’età richiesta per votare al Senato?
A favore dell’intervento interpretativo si potrebbe ancora obiettare che, come detto, l’art. 156-bis.1 del regolamento del Senato fa già riferimento alle componenti politiche per cui si tratterebbe di un parere “già potenzialmente contenuto nel testo in vigore” (sen. Grassi, Giunta per il regolamento, seduta del 2 dicembre 2020). Ora, senza voler approfondire in questa sede cosa significhi interpretare una disposizione e quali siano i suoi limiti, per dimostrare quanto sia fragile tale tesi basterà qui ricordare che quando s’interpreta una disposizione “non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore” (art. 12.1 disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile). Se nel regolamento si fa semplice menzione delle componenti politiche del misto, basta questo per definirne in via interpretativa i requisiti? Oppure – come si ritiene – l’interpretazione deve mantenersi sempre nell’ambito del significato ricavabile dal testo normativo per cui, se esso è così indefinito da prestarsi ad indefinite soluzioni, la scelta di uno di esso trasforma inevitabilmente l’interprete in legislatore? Detto in altri termini, voler profittare dell’episodico riferimento dell’art. 156-bis.1 alle componenti politiche del misto per disciplinarle tramite parere interpretativo sarebbe come far passare dalla cruna dell’ago un cammello.
In ogni caso, la immotivata conversione che ha portato la Presidente, e con essa l’intera Giunta, a ritenere esperibile la soluzione interpretativa all’inizio seccamente e motivatamente scartata, dimostra ancora una volta il peso che nella vicenda ha avuto l’esigenza tutta politica di risolvere un problema resosi pressante dalle sempre più numerose e continue richieste – avanzate soprattutto dopo la nascita del governo Draghi – di costituire componenti politiche nonché l’atteggiamento compiacente della Presidente di fronte a tali richieste (come nel caso della componente politica IDEA e Cambiamo, autorizzata il 5 agosto nonostante IDEA non si fosse presentata con un simbolo proprio alle ultime elezioni).
Quel che temiamo, in forza di tale parere, è la proliferazione delle componenti politiche del misto grazie all’uso da parte di senatori eletti per altri partiti di simboli elettorali di forze politiche presentatesi alle elezioni senza ottenere eletti ed autorizzato da soggetti extraparlamentari.
Per intanto, prendiamo atto di questo ennesimo cattivo precedente.
Che al primo comma dell’art. 64 della Costituzione sia lieve la terra.