Vaccini: il senso economico di un brevetto

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di Piero Cecchinato

È giusto che un vaccino possa costituire oggetto di brevetto e godere del monopolio che ne deriva?

Alla base di un brevetto vi è uno scambio che interviene con l’Amministrazione statale: da una parte il titolare rende pubblica la propria invenzione (arricchendo così lo stato delle conoscenze generali) e per vent’anni paga le tasse di registrazione e mantenimento, mentre dall’altra e lo Stato concede un monopolio temporaneo e apposite forme di tutela attraverso i propri apparati (magistratura, dogane, forze di polizia, etc.).  

Il monopolio legale attribuito dalla legge consente al registrante di fare uso esclusivo del brevetto e di vietare a terzi di farne pari uso senza la propria autorizzazione. Al contempo, per quegli aspetti che non siano stati specificamente rivendicati come oggetto di tutela, lo stato della tecnica si arricchirà di nuove conoscenze liberamente fruibili. Ogni brevetto, si dice, dà e prende qualcosa: acquisisce un monopolio e offre nuovi spunti di innovazione.

Ebbene, è giusto un simile sistema quando vi sia in gioco il diritto alla salute, come nel caso dei vaccini? Dal punto di vista economico, infatti, il monopolio assicurato dal brevetto riduce in modo inefficiente la quantità disponibile di prodotto e determina un livello di prezzi piuttosto elevato. Il che può drammaticamente tradursi in perdite di vite umane. 

La risposta ad una simile domanda è tutt’altro che facile, perché se un monopolio può in astratto compromettere l’ampia diffusione di un vaccino, al contempo l’eliminazione dell’incentivo monopolistico potrebbe portare all’arresto della ricerca.

Joseph Schumpeter è ancora oggi alla base delle principali teorie sulle dinamiche dell’innovazione imprenditoriale all’interno della società. Fu tra i primi a valutare l’incidenza dell’innovazione sullo spostamento della domanda in un mercato competitivo.

Grazie alle nuove intuizioni, l’impresa innovatrice sottrae quote di mercato ai concorrenti perché in grado di soddisfare nuovi bisogni o di soddisfare meglio vecchie esigenze. Attraverso l’innovazione, l’impresa acquisisce un monopolio naturale, costringendo sul breve termine tutti gli altri a competere con politiche di riduzione di prezzo per prodotti e servizi ormai in obsolescenza.

In assenza di una tutela per il monopolio così conquistato con l’innovazione, l’impresa vedrà però, nel medio termine, assottigliarsi il vantaggio competitivo guadagnato, perché i concorrenti tenderanno ad imitarne le innovazioni. In questo modo il grado di innovazione raggiunto si livella nuovamente fra i concorrenti e il mercato si prepara alla prossima innovazione.  

In assenza di una protezione per i risultati ottenuti vi è però il rischio concreto che l’impresa innovatrice non riesca a coprire i costi della ricerca in tempo utile, prima dell’avvio di altre iniziative imitative. Con lo svantaggio, inoltre, di vedersi ingiustamente erodere margini di profitto per il fatto che i concorrenti potranno risparmiare, quantomeno, il tempo e le risorse dedicate dall’impresa innovatrice alla concezione dell’idea innovativa.

Se si tratta di un processo che reca enormi vantaggi al consumatore, che vede scendere in fretta i prezzi dei prodotti innovativi per via dell’imitazione, dall’altra c’è il rischio che l’impresa (soprattutto quelle il cui conto economico è meno capace di assorbire in tempi rapidi i costi di ricerca e sviluppo) venga scoraggiata dalla ricerca innovativa, relegandosi al ruolo di imitatrice.

Uno scenario che paradossalmente potrebbe portare all’arresto dell’innovazione e ad un mercato, e ad una società, sonnolenti e involuti, fatti di imprese senza iniziativa e in attesa di copiare.

La concessione di un monopolio temporaneo sull’innovazione è quindi ciò che caratterizza il ciclo dinamico della concorrenza: innovazione, creazione di monopoli naturali ed extraprofitti, imitazione e livellamento dei profitti con ritorno alla piena concorrenza. La sostituzione del monopolio naturale con un più sicuro monopolio legale dà stabilità a questo ciclo. In questa quadro l’essenza della concorrenza sta dunque nella possibilità per tutti di poter conseguire una posizione di monopolio temporaneo.

Una lettura opposta a quella che fa capo a Joseph Schumpeter è quella che risale all’economista inglese John Richard Hicks, premio Nobel per l’economia nel 1972 insieme a Ken Arrow “per i loro contributi pionieristici alla teoria dell’equilibrio economico generale e alla teoria del benessere”.

Nella sua “quiet life hypotesis”, Hicks assume che il monopolio tenda a ridurre la pressione verso l’efficienza. La concorrenza, al contrario, spingerebbe chi preferiva una vita noiosa e tranquilla a intraprendere nuove strade innovative (J. Hicks, The Theory of Monopoly, 1935).

In questo quadro, il monopolio risulta un freno all’innovazione, anziché un incentivo, per cui l’abolizione dei brevetti potrebbe addirittura incentivare la scoperta di nuovi vaccini (in questo senso si veda anche la recente opera di M. Boldrin e David K. Levine dal titolo Abolire la proprietà intellettuale).  

Fra gli economisti non vi sono certezze assolute. I monopoli brevettuali raccolgono ancora diverse opinioni favorevoli perché costituiscono innegabilmente un incentivo allo sviluppo di nuove idee: l’aspettativa dell’extraprofitto monopolistico è ciò che più di ogni altra cosa sprona l’imprenditore a investire e rischiare risorse in fase di ricerca.

Dall’altra parte non mancano le critiche, perché il sistema dei brevetti, a certi livelli, è diventato qualcosa di accessibile solo alle imprese più grandi, strutturate e dotate di adeguati capitali da dedicare al deposito, all’estensione e alla protezione giudiziale dei brevetti in giro per il mondo.

Inoltre, siccome la concessione ha l’effetto di garantire un’entrata allo Stato, c’è sempre il rischio che una concessione a maglie troppo larghe crei monopoli anche dove ciò non sarebbe giustificato.

Una prima soluzione per i vaccini e i medicinali più importanti potrebbe essere la riduzione degli anni di durata del brevetto, da compensare con un minor costo di deposito, estensione e difesa dei relativi brevetti.

Un’altra soluzione la si può già rinvenire negli accordi internazionali TRIPS (Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights, Convenzione sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale): una convenzione internazionale a cui aderiscono i principali Paesi sviluppatori di innovazioni. L’art. 27 della Parte II dell’Accordo prevede già che i Paesi membri possano escludere dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale nel loro territorio debba essere impedito per motivi di ordine pubblico e moralità pubblica o per proteggere la vita o la salute dell’uomo. Inoltre, l’art. 31 contempla la possibilità di prevedere licenze coattive (o obbligatorie), da concedersi a privati o allo Stato stesso. Strumenti, questi due ultimi, di cui non si è parlato in questi mesi di dibattito sui limiti delle vaccinazioni in corso contro il virus Cov-Sars-2. Strumenti, evidentemente, che creerebbero non pochi imbarazzi alla politica nel rapporto con le imprese maggiormente innovative dei propri territori.

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