di Giovanni Di Cosimo
A un anno dall’inizio della pandemia, la Corte costituzionale assegna la gestione dell’emergenza esclusivamente al legislatore statale. Tutto il ragionamento ruota attorno alla materia esclusiva “profilassi internazionale” che, dice la Corte, comprende ogni misura per contrastare la pandemia o per prevenirla, e include la prevenzione o il contrasto delle malattie pandemiche, fino al punto di assorbire ogni profilo della disciplina.
Per giungere a un simile risultato, la sent. 37/2021 è costretta a riconfigurare completamente questa materia, che finora aveva un’estensione circoscritta (riguardava soltanto l’attività di controllo alle frontiere rispetto a malattie infettive e diffusive, con l’eccezione di alcune misure sovranazionali di profilassi, come i vaccini obbligatori), allargandone a dismisura i confini. Le conseguenze non sono affatto trascurabili. Vediamone in breve le tre principali.
La prima: alle materie concorrenti che hanno un rapporto diretto con le emergenze sanitarie, come tutela della salute e protezione civile, non restano che le briciole. La tutela della salute, in particolare, può incidere solo in termini indiretti e marginali, e comunque è recessiva rispetto all’interesse prevalente di profilassi internazionale, al quale va ricondotta la disciplina della materia. La Corte non rileva nemmeno l’esistenza di una sovrapposizione fra materie, e quindi non ripropone quei concetti che ha forgiato per situazioni di questo tipo: non parla di intrecci, non accenna a una competenza prevalente, e nemmeno usa la categoria dell’attrazione in sussidiarietà.
La seconda: anche gli atti di gestione debbono essere statali. Tutto quello che le regioni possono fare è restringere rispetto alle misure statali; possono intervenire fra un dpcm e l’altro se la situazione si aggrava.
La terza: scompare dalla scena quel principio di leale collaborazione che, bene o male, ha contribuito a governare in questo anno di pandemia le complesse relazioni fra Governo e regioni. E non sorprende: il principio opera se in campo si fronteggiano due legislatori, sia pure con compiti diversi come nel caso della potestà concorrente, e se vi sono ipotesi di attrazione in sussidiarietà. La sentenza si limita a un cenno del tutto ornamentale al principio, un riferimento che non cambia la sostanza del monopolio attribuito al legislatore statale.
Tutto questo fa capire come la sentenza proponga un modello di gestione alternativo al modello collaborativo fin qui molto faticosamente sperimentato nel dialogo fra Governo e Conferenza dei presidenti. Vedremo se il nuovo modello funzionerà meglio, se per esempio consentirà di ridurre il contenzioso, o se, al contrario, provocando una evidente frustrazione sul versante regionale, non esaspererà i motivi di contrapposizione.