di Marco Cecili e Alberto Di Chiara
Lo scorso lunedì 8 marzo il Parlamento europeo ha revocato l’immunità parlamentare a tre eurodeputati, appartenenti a partiti indipendentisti catalani, accusati di ribellione, sedizione e malversazione per i fatti legati allo svolgimento del referendum sull’indipendenza della Catalogna del 1° ottobre 2017. La vicenda – complessa sia dal punto di vista fattuale che giuridico – si protrae sin dalle elezioni europee del 2019: l’ultima tappa aveva visto la Corte di Giustizia riconoscere la decorrenza del mandato parlamentare (e delle relative prerogative) dal momento della proclamazione dei risultati elettorali.
La revoca dell’immunità ha riguardato l’ex Presidente della Generalitat Puigdemont e gli ex assessori Comín e Ponsatí. L’ex vice-Presidente Junqueras – anch’egli eletto al Parlamento europeo – avendo affrontato il processo in patria è stato l’unico tra i leader indipendentisti eletti nel 2019 a essere stato condannato. Essendo già in stato di custodia cautelare, le autorità spagnole avevano comunicato che la condanna definitiva comportava anche l’interdizione dai pubblici uffici, con conseguente decadenza dal mandato parlamentare, di cui il Parlamento europeo si era limitato a prendere atto il 10 gennaio 2020. Muovendo da queste premesse, la Corte di Giustizia, pur avendo riconosciuto la qualità di eurodeputati agli eletti in esilio, nel caso Junqueras aveva indicato come unica strada percorribile per la Spagna proprio la richiesta di revoca dell’immunità parlamentare ex art. 9, comma 3 del Protocollo n. 7.
Tale richiesta – funzionale ad una successiva ed eventuale estradizione – è stata quindi avanzata dalle autorità spagnole per i tre eurodeputati in esilio: il Parlamento europeo ha accordato la revoca dell’immunità parlamentare, senza muovere particolari obiezioni. Va riconosciuto che nella prassi il Parlamento di Strasburgo tende ad accogliere pressoché sempre le richieste degli Stati membri. Quest’ultima considerazione, da leggere in combinato disposto con il mancato riconoscimento della qualità di eurodeputati da parte del Parlamento di Strasburgo, smentito dalla stessa Corte di Giustizia, induce una riflessione duplice: anzitutto il Parlamento europeo si dimostra piuttosto cedevole nei confronti degli Stati membri quando si tratta del controllo sui titoli di ammissione dei propri componenti; poi, anche in questo settore la giurisprudenza della Corte di Giustizia rappresenta un fattore propulsivo nell’evoluzione del diritto dell’Unione europea, trovandosi spesso a supplire la scarsa volontà politica delle istituzioni.
Puigdemont, Ponsatí e Comín hanno subito convocato una conferenza stampa. L’ex Presidente della Generalitat ha affermato che “è un caso di persecuzione politica. Organizzare un referendum non è un reato nel codice penale spagnolo”. Secondo Puigdemont, inoltre, “c’è stata chiaramente una violazione dello stato di diritto. Ed è molto grave, non solo per la nostra vicenda”. I tre continuano a rivolgersi “a chi ha la principale responsabilità, e quindi il governo spagnolo che, una volta per tutte, riconosca che c’è un problema molto grave, di tipo politico. E solo le ricette politiche sono utili per trovare una soluzione”.
Ora la richiesta di estradizione dovrà essere valutata dai giudici belgi (per Comín e Puigdemont) e scozzesi (per Ponsatí), ma non è scontato che venga concessa. Nell’estate del 2020, infatti, la giustizia belga ha già rigettato una richiesta di estradizione nei confronti ex assessore catalano Luis Puig, ritenendo che il mandato d’arresto europeo emesso dalle autorità spagnole non fosse valido per un problema di competenza. Inoltre, Puigdemont non fu estradato dalla Germania nel 2018 perché i giudici dello Schleswig-Holstein ritennero non fondata l’accusa di “ribellione” avanzata dalla Spagna per l’assenza dell’uso della forza nei fatti contestati. A seguito della decisione, che aveva ritenuto legittima solo l’accusa di malversazione, il giudice del Tribunal Supremo, Pablo Llarena, aveva deciso di ritirare il mandato di cattura internazionale nei confronti di Puigdemont. La posizione della Ponsatí appare più delicata, ma lei, intervistata dalla BBC, spera di scampare all’estradizione legando alla propria vicenda giudiziaria la questione dell’indipendenza scozzese.
È il caso di sottolineare che qualora non venisse concessa l’estradizione il processo in patria non potrebbe proseguire e, di conseguenza, i tre leader indipendentisti potrebbero non solo continuare ad essere membri del Parlamento europeo – come ad oggi sono – ma anche ricandidarsi alle future elezioni: il solo fatto di essere indagati per i reati contestati nel caso in esame non costituisce causa di ineleggibilità che, in quanto tale, deve essere esplicitamente prevista dal legislatore, come hanno ricordato sia il Tribunal Supremo che il Juzgados de lo Contencioso-administrativo proprio con riferimento al caso degli eurodeputati indipendentisti catalani. La Corte di Lussemburgo, dal canto suo, ha già precisato che il mandato parlamentare decorre dalla proclamazione dei risultati elettorali, non essendo necessario prestare il giuramento in presenza di fronte alla Juncta Electoral di Madrid.
I tre eurodeputati ora potranno presentare un ricorso alla Corte di Giustizia per contestare la revoca dell’immunità da parte del Parlamento europeo, ma con pochissime possibilità che possa essere accolto (Puigdemont ha affermato, infatti: “Ora ci affidiamo alla giustizia belga che deciderà se accettare la richiesta di estradizione mossa dalla Spagna contro di noi. Però dopo difenderemo i nostri diritti anche di fronte alla Corte di Giustizia Europea”). L’obiettivo finale è, forse, arrivare alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma anche questa strada appare in salita. Infatti, essendo naufragata l’adesione dell’Ue alla CEDU, si potrebbero contestare a Strasburgo atti delle istituzioni dell’Unione? La via più semplice sarebbe contestare gli atti giudiziari spagnoli, ma non sono stati esauriti i gradi di tutela interni (anzi il procedimento è ancora all’inizio per il divieto di giudizi penali in absensia).
Appare interessante che contemporaneamente alla decisione del Parlamento il Tribunale di vigilanza penitenziaria della Catalogna abbia revocato il regime di semilibertà concesso dalla Generalitat a sette leader politici separatisti condannati a seguito del procés. Questi – tra cui Oriol Junqueras (e leader di ERC) – potevano uscire dal carcere in orario diurno (e hanno potuto partecipare alla campagna elettorale che ha portato alla XIII legislatura del Parlament catalano), e ora hanno dovuto riprendere la via del carcere. Junqueras ha twittato “Sappiamo che la giustizia spagnola non si fermerà mai. Noi nemmeno. Continueremo a lavorare instancabilmente per la libertà, la giustizia sociale e la Repubblica Catalana. Non datevi per vinti perché noi non lo faremo”.
Venerdì 12 marzo, infine, c’è stata la seduta inaugurale del nuovo Parlament, nella quale è stata eletta Laura Borràs (JxCat, il partito di Puigdemont e Torra) e ben 5 membri della Mesa (su 7) appartengono a partiti indipendentisti. Ora nelle prossime settimane si concluderà anche l’iter per l’investidura del nuovo President della Generalitat e sarà con ogni probabilità Pere Aragonès, esponente del partito di Junqueras, che guiderà una coalizione indipendentista con JxCat e CUP (una forza anticapitalista di sinistra radicale).
La vicenda catalana è lontana dalla fine, ma appare sempre più necessaria una soluzione politica, non risultando più sufficiente una risposta giudiziaria basata sull’uso esclusivo del diritto penale.
Mi pare un gran pasticcio politico giudiziario. Si potrebbe arrivare ad una mediazione tipo regioni a statuto speciale, in Italia tanti anni, Trentino Altoadige, ecc?
Grazie della precisa informazione su un tema molto importante, ma estremamente complesso.
Chi decide dell’immunità degli euro-parlamentari? Il PE o i parlamenti nazionali per l’immunità dei loro parlamentari, il PE che ha già revocato o la CGUE che si deve ancora pronunciare? Chi deciede dell’estradizione? I giudici nazionali dello stato diverso da quello dell’europarlamentare ma dove lui si trova; e per forza secondo le proprie regole, di procedura, che in questi casi è quasi tutto. Alla fine sarà il caso a decidere della sorte degli europarlamentari catalani indipendentisti.
Ecco i testi già menzionati nell’articolo.
Regolamento del PE:
Articolo 5
Privilegi e immunità
1. I deputati beneficiano dei privilegi e delle immunità previsti dal Protocollo n. 7 sui
privilegi e sulle immunità dell’Unione europea.
2. Nell’esercizio dei suoi poteri in materia di privilegi e immunità, il Parlamento opera al fine
di mantenere la propria integrità di assemblea legislativa democratica e di garantire l’indipendenza
dei suoi membri nell’esercizio delle loro funzioni. L’immunità parlamentare non è un privilegio
personale del deputato ma una garanzia di indipendenza del Parlamento in quanto istituzione e dei
suoi membri. (…)
Protocollo n. 7 sui privilegi e le immunità dell’UE, 12-12-2004
Articolo 8
I membri del Parlamento europeo non possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle
opinioni o dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni.
Articolo 9
Per la durata delle sessioni del Parlamento europeo, i membri di esso:
a) beneficiano, sul territorio nazionale, delle immunità riconosciute ai membri del Parlamento del
loro Stato,
b) non possono, sul territorio di ogni altro Stato membro, essere detenuti né essere oggetto di
procedimenti giudiziari.
L’immunità li copre anche quando essi si recano al luogo di riunione del Parlamento europeo o ne
ritornano.
L’immunità non può essere invocata nel caso di flagrante delitto e non può inoltre pregiudicare il
diritto del Parlamento europeo di togliere l’immunità ad uno dei suoi membri.
Rimane la questione di merito, un dilemma irrisolvibile, quello fra legge dello stato (nazionale) e pretesa di autonomia di una frazione dello stato, esercitata pacificamente. Sono reati politici. Se l’incarcerazione di rappresentanti indipendentisti eletti e pacifici è sandalosa, lo è anche la perdita dell’immunità decisa dal PE su richiesta dello stato di origine e lo sarà un’eventuale estradizione.
Per i giuristi si tratta di un dilemma teorico. In assenza di una teoria dell’autodeterminazione, base della democrazia, le pretese delle autorità nazionali fondate sul diritto positivo sono gratuite quanto le pretese di indipendenza unilaterale. Servirebbe un accordo che tutte le persone di buona volontà dovrebbero cercare. Davanti a simili dilemmi i Britannici hanno trovato la soluzione: un referendum concordato i tutti i suoi dettagli fra autorità superiori (il Parlamento di Westminster) e promotori dell’indipendenza locale (i partiti indipendentisti e il Parlamento scozzese di Holirood).
Il caso degli europarlamentari catalani è un sintomo di scarsa democraticità e di incapacità politica (non c’è una soluzione, non c’è equità) e giudiziaria (riconoscere la complessità di una questioneè spesso un’ammissione di impotenza, di assenza di regola generale) in Catalonia, Spagna e Europa.