Per la serie “ogni giorno ha la sua pena”, si pone il problema se i senatori dissidenti del M5S che hanno votato la sfiducia al governo Draghi possono costituire un gruppo autonomo al Senato sfruttando il simbolo dell’Italia dei Valori (do you remember?).
Tale simbolo, infatti, si è presentato alle ultime elezioni politiche (con altri quattro: Alternativa Popolare, Centristi per l’Europa, Unione per il Trentino-Democrazia Solidale e L’Italia è Popolare) all’interno del contrassegno elettorale di Civica Popolare Lorenzin, ottenendo un eletto (il senatore Casini nel collegio uninominale di Bologna).
Sembrerebbe dunque che ci troviamo dinanzi ad un caso analogo a quello che ha consentito sempre al Senato la costituzione in corso di legislatura del gruppo parlamentare PSI-Italia Viva, grazie all’utilizzo del simbolo del Partito socialista da parte del sen. Nencini, eletto nel collegio uninominale di Arezzo con il simbolo Italia Insieme Europa che oltre il PSI comprendeva Verdi e Area civica.
Anche in questo caso, dunque, saremmo di fronte ad una forza politica presentatasi alle elezioni congiuntamente con altre sotto il medesimo contrassegno che può costituire “un solo Gruppo che rappresenta complessivamente tutti i medesimi partiti o movimenti politici” (art. 14.4 reg. Senato, secondo periodo).
Qui però cominciano i problemi:
In primo luogo si potrebbe ipotizzare che per formare un tale gruppo sia sufficiente l’essersi presentati alle elezioni con un proprio simbolo, anche senza conseguire eletti. Infatti secondo il secondo periodo dell’art. 14 reg. Senato, “ove più partiti o movimenti politici abbiano presentato alle elezioni congiuntamente liste di candidati con il medesimo contrassegno, con riferimento a tali liste, può essere costituito un solo Gruppo, che rappresenta complessivamente tutti i medesimi partiti o movimenti politici”, senza far cenno alla necessaria adesione di senatori eletti in tali partiti o movimenti.
Tale interpretazione però mi pare contrasti radicalmente con il precedente primo periodo del medesimo articolo secondo cui “ciascun Gruppo dev’essere composto da almeno dieci Senatori e deve rappresentare un partito o movimento politico, anche risultante dall’aggregazione di più partiti o movimenti politici, che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno, conseguendo l’elezione di senatori” (corsivi miei). Ergo, mi pare evidente che ciascun gruppo deve corrispondere a forze politiche che abbiano ottenuto eletti, inclusi quelli costituiti da partiti presentatisi congiuntamente con lo stesso contrassegno cui fa riferimento il secondo periodo, il cui significato (rispetto al primo) consisterebbe nel consentire ad essi la formazione di un unico gruppi. Detto diversamente: utilizzato il simbolo dell’Italia dei Valori (come quello del PSI), i simboli degli altri partiti non potrebbero essere utilizzati per formare altri gruppi.
Secondo problema. L’elezione di Casini a chi può imputarsi: solo a Civica Popolare Lorenzin (cioè all’alleanza) oppure ad uno dei partiti che lo compongono? In effetti il problema non è così facilmente risolvibile. I candidati dei collegi uninominali, infatti, non hanno un proprio contrassegno elettorale, che li identifichi. In altri termini: cos’è che dimostra che Nencini è del Psi o Casini di Civica popolare se non ci sono contrassegni elettorali per i candidati nei collegi uninominali? Elettoralmente nulla. Vale l’appartenenza politica, per cui ad esempio Nencini è considerato del PSI perché ne era ed è storico esponente. Ma se questo è il criterio cosa impedisce che un candidato si dichiari eletto per uno qualunque dei simboli delle liste collegate? Ragion per cui, volendo, Casini si potrebbe dichiarare non dico eletto in Italia dei Valori, ma suo attuale esponente, e formare con altri 9 senatori il gruppo parlamentare corrispondente.
Terzo ed ultimo problema. Al pari dell’adesione di Nencini per il gruppo PSI-Italia Viva, anche quella di Casini all’ipotetico gruppo Italia dei Valori (o, volendo, Civica Popolare), sarebbe assolutamente decisiva. È lui che avrebbe per così dire, le “chiavi di casa” del gruppo che esisterebbe finché potrà contare sulla sua adesione. Certo sarebbe uno scenario sorprendente. Per quanto le nemesi storiche siano perfide, personalmente non riesco ad immaginare Casini con gli ex M5S (o se volete questi ultimi con Casini).
In ogni caso, ed è la considerazione più amara, è evidente che se i nostri eroi dovessero trovare chissà quale stratagemma per consentire ai senatori espulsi dal M5S di riuscire a formare un proprio gruppo parlamentare, sotto mentite vesti, a pagarne il prezzo sarebbe la riforma regolamentare del Senato la quale, nata per sancire la corrispondenza tra liste elettorali e gruppi parlamentari, subirebbe l’ultimo, e forse definitivo, sbrego.
E se il problema fossero i cavilli delle sigle elettorali inseriti nel regolamento del Senato? Queste restrizioni, in contrasto con il testo e con lo spirito dell’art. 67, principio base della democrazia rappresentativa, sono di dubbia costituzionalità. Sono (come le liste bloccate) elementi di partitocrazia o di “partitocratura” (Def. = il potere di fatto di associazioni private non vincolate dai principi democratici governa attraverso l’assemblea “sovrana” tutte le istituzioni). Definito (solo) numericamente il gruppo, i parlamentari devono rimanere liberi di organizzarsi attraverso scissioni e nuove aggregazioni. Già la condizione della condivisione di obiettivi politici similari (presente altrove) è discutibile: non dovrebbero essere i singoli rappresentanti a decidere di volta in volta se i loro interessi combaciano?