Dalla discussione sull’art. 88 (che vieta al Presidente della Repubblica du sciogliere le Camere negli ultimi 6 mesi del mandato) in Assemblea Costituente si desume che l’obiettivo è stato di evitare un possibile abuso di potere da parte del Presidente della Repubblica. Si propose di limitarlo sia sotto il profilo temporale che con alcune condizioni predeterminate. Prevalse il punto di vista della Commissione secondo la quale non si poteva ipotecare l’avvenire col rischio di non prevedere condizioni rilevanti.
Per l’on. Laconi, che lo propose, non a caso noto professore di diritto penale, il secondo comma avrebbe dovuto evitare che il Presidente della Repubblica, in prossimità della scadenza del suo mandato, sciogliesse la Camere e, approfittando anche della proroga dei suoi poteri ai sensi dell’art. 85, cercasse di influire sulle nuove per essere rieletto.
L’art. 88 va inquadrato nel tempo. Per le esperienze appena vissute si era contrari alla concentrazione di poteri in un solo organo. La previsione dello scioglimento di una sola Camera può essere collocata nella stessa prospettiva. Per consentire un passaggio meno traumatico in caso di cambiamento di maggioranza, per il Senato era stata prevista una durata di sei anni con la possibilità per le due Camere di venirsi a trovare in diverse condizioni di efficienza (anche se, poi, per evitare elezioni legislative troppo frequenti, il Senato fu sciolto ad ogni scadenza della Camera dei Deputati fino a quando, nel 1963, la durata del Senato fu portata a cinque anni).
Durante la discussione si parlò non solo del possibile “abuso” da parte del Presidente della Repubblica, ma anche della opportunità, di non attribuire un tale “strapotere” ad un organo al quale la Costituzione attribuiva poteri operativi limitati. Escluso che si trattasse di “prerogativa”, ci fu anche la proposta di rendere quasi automatico lo scioglimento, quando si fossero verificate certe condizioni, neutralizzando la posizione del Presidente della Repubblica.
Alla fine fu adottato il testo del progetto con due emendamenti: “o anche una sola di esse”, nel primo comma, ed il secondo comma.
Che non ci sia domandato se il c.d. semestre bianco avesse potuto provocare problemi ad opera delle Camere, si spiega con le condizioni del momento, La struttura associativa dei partiti comportava la collegialità. Malgrado il metodo democratico fosse richiesto per la determinazione della politica nazionale e non per la l’organizzazione interna, l’orientamento politico sarebbe emerso dal dibattito, condizionando, almeno in parte, la posizione delle personalità prevalenti.
Oggi si continua a discutere a proposito delle ragioni del cambiamento della struttura dei partiti. Su di un punto dovrebbe esserci consenso: senza i nuovi strumenti di comunicazione il cambiamento non ci sarebbe stato o sarebbe stato molto più lento. I nuovi strumenti, di cui ciascuno può disporre, operano quasi alla velocità della luce e consentono di intervenire su ogni argomento quando si vuole, senza bisogno di intermediari. E’ stato così eliminato, o fortemente ridotto, il condizionamento provocato dalla discussione in presenza. Questo ha comportato che ai segretari del partito sono subentrati i leader. Oggi il partito, più che associazione, è una specie di ambiente informatico, impersonato non più da un segretario, figura tipica di un’associazione, ma da un leader, al quale si può aderire e dissociarsi senza le difficoltà di un tempo per la possibilità di attingere autonomamente e rapidamente alle informazioni che si ritengono rilevanti.
Quando il semestre bianco è vicino alla scadenza della legislatura la situazione può complicarsi. Se le Camere non possono essere più sciolte, può sorgere l’interesse a creare conflitti, anche nell’ambito della maggioranza, per influire sull’elettorato e il nuovo Presidente della Repubblica potrebbe avere qualche difficoltà personale a sciogliere le Camere che lo hanno nominato. Il disordine parlamentare potrebbe durare più di sei mesi, con i danni prevedibili se fossero necessari interventi legislativi urgenti.
Se ne può vedere un segno in quanto è successo in questi ultimi giorni, quando Il Presidente del Consiglio incaricato, sollecitando la maggioranza all’unità stabile, ha voluto rafforzare anche la posizione del Presidente della Repubblica, che la rappresenta.
Sarebbe, dunque, stato utile che, se non da parte dell’Assemblea Costituente, successivamente l’art. 88, da monofronte quale è, fosse stato reso bifronte.
Confesso di non aver compreso la chiusa: sul “rendere bifronte l’art.88”. Una fronte verso il PdR e un’altra verso il Parlamento (o verso il PdC)?
E quali sanzioni ipotizza per renderle la norma effettiva?
Grazie