La nascita del governo Draghi, sostenuto da una amplissima maggioranza parlamentare e avversato (al momento) verosimilmente dalla sola Fratelli d’Italia, pone – o forse sarebbe meglio dire ripropone – tra gli altri un serio problema politico-parlamentare: quale saranno gli effetti del nuovo scenario politico-parlamentare, caratterizzato da una così marcata prevalenza numerica della maggioranza sull’opposizione, sulla composizione e sulla presidenza di quegli organi collegiali (camerali e parlamentari) che a tali nozioni fanno espresso riferimento? Detto diversamente: spettano a Fratelli d’Italia i componenti e le presidenze che sono riservati all’opposizione?
Pochi ma strategici sono, infatti, quegli organi di controllo e di garanzia che – per legge, regolamenti parlamentari o prassi consolidatesi sulla base di convenzioni tra le forze politiche – sono composti paritariamente da parlamentari della maggioranza e dell’opposizione e/o presieduti da un esponente di quest’ultima, adeguandosi in tal modo alla logica maggioritaria delle precedenti leggi elettorali.
Riguardo alla composizione sono due: il Comitato per la legislazione della Camera dei deputati “composto di dieci deputati, scelti dal Presidente della Camera in modo da garantire la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni” (art. 16-bis R.C.) ed il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (CO.PA.SIR.) “composto da cinque deputati e cinque senatori, nominati entro venti giorni dall’inizio di ogni legislatura dai Presidenti dei due rami del Parlamento in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, garantendo comunque la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni e tenendo conto della specificità dei compiti del Comitato” (art. 30.1 l. 124/2007).
Riguardo, invece, alle presidenze, spettano all’opposizione quelle dei seguenti organi: a) il suddetto CO.PA.SIR., il cui Presidente (dal 9 ottobre 2019 il deputato Volpi della Lega-Salvini Premier) per legge “è eletto tra i componenti appartenenti ai gruppi di opposizione [con] la maggioranza assoluta dei componenti” (art. 30.3, secondo periodo, l. 124/2007 che ha recepito una convenzione vigente fin dalla XI legislatura: sen. Pecchioli del PDS); b) la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, il cui Presidente (il sen. Gasparri di Forza Italia) per disposizione regolamentare è eletto tra i membri “appartenenti ai Gruppi di opposizione” (art. 19.1 reg. Sen. secondo la modifica approvata il 20 dicembre 2017 che ha codificato una convenzione tra le forze politiche risalente sin dalla XIII legislatura).
Non per disposizione normativa ma per prassi spettano all’opposizione fin dalla XIII legislatura le presidenze: c) della Giunta delle elezioni (ricoperta dal deputato Giachetti di Italia Viva) e d) della Giunta per le autorizzazioni (ricoperta dal deputato Delmastro Delle Vedove, di Fratelli d’Italia) della Camera dei deputati; e) della Commissione parlamentare di indirizzo e di vigilanza sul sistema radiotelevisivo (ricoperta dal senatore Barachini di Forza Italia). Da notare che in quest’ultimo caso la prassi è andata al di là di quanto previsto dalla normativa vigente la quale, nel prevedere che il Presidente di tale Commissione è eletto “per scrutinio segreto e a maggioranza di tre quinti dei componenti” (art. 5.1 del Regolamento della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi del 13 novembre 1975), assegna alle opposizioni, tutt’al più, un potere di veto su chi deve ricoprire tale carica ma non la sua titolarità.
Un discorso a parte va fatto per il Comitato per la legislazione della Camera che, in ragione della sua natura di organo tecnico e non politico, “è presieduto, a turno, da uno dei suoi componenti, per la durata di sei mesi ciascuno” (art. 16-bis.2 reg. Camera), elevati a dieci, con parere della Giunta per il regolamento del 16 ottobre 2001, in via sperimentale e da allora rimasti tali (a conferma di quanto nel nostro paese non ci sia niente di più definitivo del provvisorio). Anche qui per convenzione tale rotazione prevede l’alternanza tra maggioranza ed opposizione, per cui all’attuale presidente, il deputato Ceccanti del Partito democratico, succeduto alla deputata Tomasi della Lega- Salvini premier, seguirà il deputato Butti di Fratelli d’Italia.
Chiarito il quadro normativo e convenzionale, per rispondere alla domanda iniziale credo sia opportuno tenere distinti i due profili delle presidenze e della composizione di tali organi camerali e parlamentari.
Riguardo alle presidenze della Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato e del CO.PA.SIR. (che dovrebbe toccare all’attuale Vice Presidente Urso) non credo ci possano essere dubbi sul fatto che esse spettano di diritto ad esponenti di Fratelli d’Italia, quale verosimilmente unico gruppo d’opposizione.
A favore di tale conclusione depone innanzi tutto la chiara lettera e ratio della disposizione che, nell’ottica di una moderna traduzione ed applicazione del principio della separazione dei poteri, attribuisce all’opposizione le presidenze degli organi di controllo sull’operato della maggioranza e di garanzia del corretto funzionamento dell’attività parlamentare. In tal senso depone anche l’unico precedente che si può richiamare al riguardo. Per quanto assolutamente eccezionale, l’attuale situazione politico-parlamentare non è infatti nuova. Anche dopo la nascita del governo Monti (16 novembre 2011) vi fu infatti un solo Gruppo di opposizione – la Lega Nord che, in forza dell’essere stata la sola forza politica ad aver votato contro la fiducia al Governo, reclamava una maggiore rappresentanza negli organismi parlamentari. Per questo motivo, al corrispondente gruppo parlamentare della Camera dei deputati fu deciso di accordare un segretario aggiuntivo nell’Ufficio di Presidenza a fronte degli altri 19 (!) componenti – Presidente escluso – tutti appartenenti alla maggioranza di governo (v. Giunta per il regolamento, seduta del 7 dicembre 2011). In quell’occasione si pose anche il problema, analogo all’attuale, se alla Lega dovesse spettare anche la presidenza del CO.PA.SIR. Ebbene, in quell’occasione l’allora suo Presidente, l’on. D’Alema (il quale peraltro era subentrato all’on. Rutelli che aveva apprezzabilmente avvertito il dovere morale di dimettersi dalla carica dopo aver abbandonato il Partito democratico, pur rimanendo egli all’opposizione) fu l’unico tra i presidenti (ex) d’opposizione che, alla luce del nuovo scenario politico, decise “per correttezza” di rimettere il proprio mandato ai Presidenti delle due Camere. L’essere poi rimasto in carica, per decisione unanime dei gruppi parlamentari, non toglie nulla alla doverosità giuridica ed etica delle sue dimissioni.
Contro tale conclusione non varrebbe opporre l’argomento secondo cui l’appartenenza all’opposizione del Presidente sarebbe requisito richiesto solo all’atto della costituzione dell’organo, per cui, in mancanza di una espressa clausola di decadenza (come quella prevista dall’art. 27.3-bis reg. Senato per i membri del Senato in caso di abbandono del gruppo), ai fini della sua permanenza in carica sarebbero irrilevanti l’eventuale cambiamento di orientamento politico (dall’opposizione alla maggioranza) suo o del suo gruppo. Pare evidente, infatti, che in tal modo si eluderebbe la ratio della disposizione che – vale la pena ribadire – è quella di sottrarre la presidenza di tali organi di garanzia e di controllo a chi, appartenendo alla maggioranza, potrebbe avere l’interesse (magari anche episodico) a non farli funzionare in modo pieno e corretto. Il precedente D’Alema – cui si potrebbe aggiunge nell’attuale legislatura quello del deputato Giachetti, nominato Presidente della Giunta delle elezioni della Camera perché appartenente allora ad un gruppo d’opposizione (il Partito democratico) e rimasto tale nonostante poi passato ad un gruppo di maggioranza (Italia viva) – dimostrano solo la possibilità che i gruppi parlamentari d’opposizione, pur potendolo, possano non rivendicare per loro tali cariche quando ad esempio hanno avuto di apprezzare la correttezza e l’imparzialità del Presidente. La disponibilità della disposizione normativa da parte delle forze politiche che ne sono beneficiarie, in nome dell’autonomia delle camere, non toglie nulla alla sua precettività qualora esse volessero azionarla
Né, per quanto ovvio, si può pretendere che dai nuovi rapporti di forza tra maggioranza ed opposizioni discenda l’obbligo di ridiscutere le presidenze e la composizione di tutte le commissioni parlamentari non solo perché per regolamento vanno rinnovate dopo due anni (artt. 20.5 reg. Camera e 21.7 reg. Senato) ma per la ancor più decisiva ragione che esse devono rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari e non la loro collocazione politica rispetto al Governo (artt. 72.3 e 82.2 Cost.).
Piuttosto si potrebbe riproporre il problema – già attentamente analizzato in questa sede – di quale sia il requisito decisivo per qualificare come d’opposizione un gruppo parlamentare. Va innanzi tutto scartata la rilevanza delle votazioni sulle proposte del Governo, per quanto politicamente qualificanti per la sua politica generale, perché ai nostri fini non decisive ai sensi dell’art. 94.4 Cost. secondo cui “il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni”, vengono in evidenza ovviamente le votazioni fiduciarie (mozioni di fiducia e di sfiducia nonché questioni di fiducia). D’opposizione è certo chi in simili occasioni voti contro il governo. Ma se si astiene (indipendentemente se dal o nel voto)?
L’astensione non è un voto a favore ma nemmeno è un voto contrario; piuttosto essa esprime “la volontà di non partecipare alla votazione” (Corte cost. 78/1984, 4° c.d.), come dimostra peraltro da ultimo la revisione regolamentare del 2017 con cui il Senato, allineandosi alla Camera, ha stabilito che gli astenuti sono considerati presenti ai fini del computo del numero legale ma non votanti ai fini del calcolo della maggioranza deliberativa (art. 107.1 reg. Senato). Ciò trova conferma nella prassi consolidata che consente ad un gruppo parlamentare di calendarizzare le sue proposte in quota d’opposizione solo se ha votato contro la fiducia al Governo. Da questo punto di vista, quindi, il gruppo che si astiene in una votazione di fiducia non potrebbe essere considerato d’opposizione.
Utilizziamo il condizionale perché contro tale conclusione vi sono due precedenti.
Nella scorsa legislatura il sen. Stucchi fu eletto (il 6 giugno 2013) Presidente del CO.PA.SIR. nonostante il proprio partito (la Lega Nord) si fosse astenuto sulla mozione di fiducia al governo Letta sia alla Camera il 29 aprile 2013 che il giorno dopo al Senato. Tale elezione, contestata dal MoVimento 5 Stelle che invece aveva votato contro, fu frutto di diverse forzature, ben analizzate nel contributo citato, tra le quali anche il fatto che la stampa considerasse la Lega all’opposizione senza quindi tenere conto delle posizioni formali assunte nelle aule parlamentari (un interessante caso di prevalenza della realtà percepita su quella effettiva). Ad ogni modo, tale forzatura fu in certo senso subito sanata quando il 21 giugno – appena 15 giorni dopo l’elezione – la stessa Lega Nord votò contro sulla prima questione di fiducia posta dal governo.
Anche nell’attuale legislatura si è posto un problema simile. Tutte le presidenze riservate all’opposizione sono state attribuite a suoi esponenti (rispetto all’attuale situazione, riportata sopra, va precisato che il CO.PA.SIR. fu presieduto inizialmente dal deputato Guerini del Partito democratico che ha opportunamente lasciato l’incarico dopo l’appoggio del suo gruppo al governo Conte II), tranne quella della Giunta per le autorizzazioni attribuita come detto dal 18 luglio 2018 al deputato Delmastro Delle Vedove di Fratelli d’Italia nonostante il corrispondente gruppo parlamentare si fosse inizialmente astenuto sul voto di fiducia al governo Conte I. Anche in questo caso, però, tale forzatura procedurale si è dopo non molto tempo sanata a seguito della mutata posizione di Fratelli d’Italia nei confronti del Governo, come testimoniano i diversi voti contro sulle questioni di fiducia da esso poste (v. ad esempio la dichiarazione del deputato Acquaroli nella seduta del 13 dicembre 2018 sulla conversione in legge del d.l. 119/2018 recante disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria).
L’ambiguità e l’eccezionalità di tali due precedenti mi pare inducano a ribadire la regola per cui un gruppo politico vada considerato d’opposizione solo se ha votato contro la fiducia al Governo. Se questo verosimilmente accadrà, Fratelli d’Italia avrà diritto a rivendicare per sé la presidenza di tali due organi ed a scegliere il suo esponente che dovrà ricoprirla.
Precisazione non oziosa se è vero che proprio su tale scelta si sono registrate le maggiori tensioni con la maggioranza, la quale talora si è arrogata il diritto di scegliere l’esponente dell’opposizione da eleggere Presidente, talora previo consenso di questi. Si pensi al caso Villari, eletto il 13 novembre 2008 Presidente della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi quale esponente del Partito democratico (allora all’opposizione) nonostante la contrarietà di quest’ultimo. Il che come si ricorderà portò alla paralisi di quell’organo, con conseguente revoca da parte dei Presidenti delle Camere del Presidente e dei suoi residui membri della Commissione il cui conflitto di attribuzioni, in nome del loro diritto di rimanere comunque in carica, fu dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 222/2009.
Se non si vogliono riproporre simili scenari, la maggioranza farebbe bene a non profittare della sua forza numerica per imporre il nominativo dei futuri Presidenti all’opposizione, giacché spetta a quest’ultima designarli, previe sempre opportune precedenti intese. Diversamente, saremmo di fronte ad un sostanziale aggiramento della ratio garantista della disposizione che attribuisce la presidenza di tali organi collegiali all’opposizione. A poco infatti ciò varrebbe se poi la stessa opposizione non potesse sceglierne i titolari.
La seconda questione riguarda quegli organi – come detto all’inizio il Comitato per la legislazione alla Camera ed il CO.PA.SIR – che per legge o regolamento parlamentare devono essere composti paritariamente tra maggioranza ed opposizione. La conseguenza del nuovo scenario politico dovrebbe dunque essere duplice: da un lato la sovra-rappresentazione al loro interno del gruppo di Fratelli d’Italia che, come unica opposizione, con appena 33 deputati (pari al 5,23% del totale) e 19 senatori (5,91%) avrebbe diritto al 50% dei seggi di tali organi, dall’altro, rovesciando i termini del problema, la sotto-rappresentazione e financo l’assenza di tutti i gruppi della ampia maggioranza parlamentare che sostiene il governo Draghi. È evidente, infatti, che i cinque seggi spettanti alla maggioranza potrebbero rilevarsi insufficienti.
Posto dal punto di vista della maggioranza il problema è chiaramente irrisolvibile, come confermano i precedenti. Chiamata a pronunciarsi sulla composizione del CO.PA.SIR., la Giunta per il regolamento della Camera, pur dichiarandosi incompetente a pronunciarsi su un organo bicamerale previsto per legge e non dai regolamenti parlamentari, volle comunque per cortesia istituzionale nei confronti del gruppo richiedente (l’Udc) precisare che tutte le forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione, non hanno diritto ad essere rappresentati in tale organo (v. seduta del 21 maggio 2008). Tale problema, del resto, si è posto in maniera particolarmente esigente nella XVII legislatura quando, a seguito del passaggio del senatore Esposito da Forza Italia al Nuovo centro destra, la prima restò senza rappresentanti nel CO.PA.SIR. per ben due anni. A nulla, allora, valsero le due apposite riunioni congiunte della Conferenza dei capigruppo di Camera e Senato convocate per trovare un accordo per cui alla fine fu necessario approvare un’apposita disposizione legislativa per ampliare di due unità la composizione di tale organo solo per la XVII legislatura (v. art. 20 l. 145/2016 recante “Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali”).
Piuttosto, è dal lato dell’opposizione, anziché della maggioranza, che il problema va risolto. È evidente, infatti, che la sovra-rappresentazione della prima è causa della sotto-rappresentazione della seconda. Una situazione che pare esito imprevisto e irragionevole di disposizioni che, nel prevedere una rappresentanza paritaria tra maggioranza ed opposizione, evidentemente presupponevano rapporti di forza non così clamorosamente squilibrati a favore della prima ed a danno della seconda. Del resto, forse non è inutile ricordare che la citata legge n. 124/2007 sul CO.PA.SIR. fu approvata mentre era in vigore la legge elettorale n. 270/2005 che, fissando il premio di maggioranza nel 54% dei seggi (almeno alla Camera a livello nazionale), di contro riservata il restante 46% alle minoranze e, quindi, con tutta probabilità, alle opposizioni.
Sotto questo profilo, dunque, parrebbe ragionevole che Fratelli d’Italia non insistesse per mutare la composizione di tali due organi fermo restando che, a fronte di tale senso di responsabilità istituzionale, dovrebbe corrispondere da parte della maggioranza, per analogo senso di responsabilità, il dovere di accogliere le richieste che dovessero provenire da tale gruppo d’opposizione, non facendo valere la sua prevalenza numerica.
Perché a cortesia istituzionale deve corrispondere pari cortesia costituzionale.
Conviene distinguere fra categorie giuridiche e categorie politiche, nel diritto parlamentare come in quello elettorale. Contrariamente alla maggioranza parlamentare che esiste necessariamente per via del voto di fiducia, l’opposizione è un artefatto non indispensabile, a meno di considerare tale l’insieme naturalmente eterogeneo di coloro che votano contro. Esistono parlamentari e gruppi di maggioranza e di minoranza o di opposizione AL PLURALE; non esiste l’opposizione al singolare, a meno che una legge la crei per motivi (diritti) specifici, come accade nel diritto parlamentare britannico/inglese. L’unità della maggioranza risulta dal voto di fiducia e dura (con numeri potenzialmente variabili) fino alle dimissioni del governo. La fiducia può essere unanime. Anche se nello scenario attuale sembra l’inverso, l’opposizione è invece sempre plurale (salvo i casi estremi di un solo o di nessun voto contrario): le ragioni per votare contro possono essere le più contrapposte.
Tutti i testi regolamentari o legislativi citati nell’articolo parlano di opposizioni AL PLURALE; in particolare per la formazione e la presidenza del CO.PA.SIR, per formazione del Comitato per la legislazione della Camera e per la presidenza della Giunta per le elezioni e le immunità del Senato il testo distingue fra maggioranza e opposizioni o gruppi di opposizione. Bisogna distinguere fra testo legislativo adottato da entrambe le camere e regolamento camerale. Sostenere che il regolamento non può essere modificato a piacere dalla maggioranza significherebbe porlo in qualche modo al di sopra della legge ordinaria. In linea di massima, il regolamento non lega il suo autore. Un limite teoricamente immaginabile sarebbe una regola (da inserire nella Costituzione) secondo la quale un regolamento adottato all’unanimità può essere modificato solo con un voto equivalente (diciamo piuttosto da una maggioranza qualificata molto ampia dei membri, per evitare l’abuso del voto contrario) dalla stessa Camera o a maggioranza semplice nella successiva legislatura.
I problemi del passato menzionati nell’articolo sono eloquenti: la maggioranza di una camera non si sente vincolata dal proprio regolamento e insieme la maggioranza delle due camere (o piuttosto la maggioranza dei loro rappresentanti nel CO.PA.SIR) viola addirittura una normativa di legge. Condivido l’analisi citata di GL De Filio relativa all’abuso commesso nel 2013 in violazione dell’articolo 30, comma 3, della legge 124/2007 che prescrive che il presidente del CO.PA.SIR “è eletto tra i componenti appartenenti ai gruppi di opposizione”. In tale circostanza la maggioranza dei componenti dell’organo di controllo ha violato la garanzia di legge dei gruppi di opposizione di determinare loro la presidenza dell’organo di controllo, con l’attenuante che l’abuso è stato sanato ex post, ma solo in parte, con il passaggio del gruppo beneficiario dalla maggioranza (passiva/astensione) all’opposizione. I diritti degli altri gruppi che formavano la maggioranza dell’opposizione (nel parlamento e nel CO.PA.SIR), infatti, sono stati lesi definitivamente. Prima di procedere le due camere avrebbero dovuto modificare la legge del 2007.
Quanto alla presidenza futura del CO.PA.SIR è incontestabile che la normativa vigente permette al gruppo Fratelli d’Italia di rivendicare l’incarico per un loro membro dell’organo di controllo. Se la soluzione è sensata è un’altra questione. Quanto alla questione che si porrà circa la composizione del Comitato per la legislazione della Camera dei deputati “composto di dieci deputati, scelti dal Presidente della Camera in modo da garantire la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni” (art. 16-bis R.C.) e quella del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (CO.PA.SIR.) “composto da cinque deputati e cinque senatori, nominati entro venti giorni dall’inizio di ogni legislatura dai Presidenti dei due rami del Parlamento in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, garantendo comunque la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni e tenendo conto della specificità dei compiti del Comitato” (art. 30.1 L. 124/2007), si tratta di due casi molto diversi perché il primo che mette in gioco solo il regolamento della Camera, chiaro ma inadeguato, non menziona i gruppi parlamentari mentre il secondo riguarda una legge che riferendosi espressamente ai gruppi è più precisa ma non meno inadeguata. Nel primo caso la maggioranza potrebbe superare l’inadeguatezza offrendo una quota sproporzionata ma non paritaria dei membri del Comitato ai deputati di Fratelli d’Italia e ad altri deputati che hanno votato contro la fiducia, anche se non appartenessero ad un gruppo; in tal modo la Camera derogherebbe all’unanimità ad una regola forse da riscrivere. Il problema del secondo testo, una legge, è più spinoso perché prevede la rappresentazione proporzionale dei gruppi in subordine alla rappresentazione paritaria fra maggioranza e opposizioni; non essendoci probabilmente parlamentari di opposizione non appartenenti al gruppo Fratelli d’Italia ma in grado di formare un loro gruppo, la metà dei componenti del CO.PA.SIR sarà dell’unico gruppo di opposizione che avrà pure la presidenza. Se questo corrisponde alle intenzioni e alla ratio dell’art. 30.1 della L. 124/2007 rimane una questione aperta.
In altri paesi gli organi di controllo e i comitati interni del Parlamento sono di solito composti rispecchiando il peso proporzionale dei gruppi. Per ripartire i seggi fra gruppi di maggioranza e gruppi di opposizione si usa per forza (per evitare l’improvvisazione e l’arbitrio) una formula simile a quelle dei sistemi proporzionali a riparto fra liste. Considerando il potere di decisione marginale che possiedono tali organi è essenziale che il rapporto maggioranza-minoranze sia rispettato. Il numero dei componenti è di solito dispari (per facilitare il voto a maggioranza) e si evitano (o si correggono) formule che permettono l’inversione della maggioranza. Gli esperti di normativa elettorale dell’800 avevano capito questo rischio di inversione che può essere sfruttato attraverso strategie di divisione dei gruppi di minoranza (facilmente all’interno del parlamento dove i seggi da assegnare sono per forza poco numerosi, più difficilmente nelle elezioni parlamentari con riparto fra liste) e hanno perciò insistito sulla scelta di una formula (D’Hondt/Hagenbach-Bischoff) che rispettasse il vantaggio della maggioranza.