Si può leggere la crisi di governo alla luce delle anomalie istituzionali che segnano il quadro. Non si tratta necessariamente di violazioni di regole, ma più banalmente di sgrammaticature istituzionali, di forzature e condotte poco coerenti con ragioni di opportunità istituzionale o con le logiche del governo parlamentare, che nel loro complesso concorrono a spiegare lo spettacolo al quale siamo costretti ad assistere.
Cominciamo dal Presidente del Consiglio dimissionario che è stato cooptato a Palazzo Chigi nel 2018 senza aver avuto precedenti esperienze politiche e istituzionali. Nella gestione della pandemia egli ha perseverato con l’utilizzo di un atto individuale (il famigerato dpcm), marginalizzando così il Parlamento, ed ha messo al centro un organismo (il cts) non previsto dalle norme sulla protezione civile. Inoltre, ha tentato di impostare una gestione accentrata dei fondi del piano Next Generation EU.
Passiamo ai partiti: quello di maggioranza relativa non ha ancora, dopo molto tempo, un capo. Il partito che ha aperto la crisi non si è presentato alle ultime elezioni, ma nei suoi gruppi sono confluiti parlamentari eletti nelle liste di altri partiti, secondo l’antica logica trasformistica, che spiega anche la recente formazione di un gruppo parlamentare di sostegno al Presidente del consiglio dimissionario.
Ci sono poi i leader: quello del partito che ha aperto la crisi, che tempo addietro ne guidava un altro della coalizione, in questi giorni è volato all’estero per effettuare una compiacente intervista al principe ereditario di uno stato autoritario. Quello del maggior partito di opposizione ha invocato i pieni poteri mesi or sono, quando era ministro degli Interni. Quelli di altri due partiti non siedono in Parlamento, uno di essi a seguito di condanna per frode fiscale. Quest’ultimo è stato indicato come prossimo candidato alla Presidenza della Repubblica dal leader dei pieni poteri. Per non dire di quel ministro del Governo uscente, che quando era capo del partito di maggioranza relativa ha chiesto la messa in stato di accusa dell’attuale Presidente della Repubblica.
Finiamo con la truppa: le recenti vicende hanno rivelato al Paese l’esistenza di personaggi politici a dir poco improbabili, ennesimo segno del malfunzionamento dei processi di selezione della classe parlamentare che tocca tutti i partiti, ma in particolare quello di maggioranza relativa che ha sperimentato soluzioni fallimentari. E il problema della modestia del personale politico riguarda anche parte significativa dei ministri uscenti.
Più in generale, al di là della crisi di governo, tutte queste anomalie affaticano non poco il sistema istituzionale, che invece in questa delicata fase della vita nazionale dovrebbe funzionare al massimo.
Non la vedo come il finto Condorcet. Non vedo anomalie istituzionali, ma solo mediocrità umana. L’attuale crisi e la sua ormai probabile soluzione illustrano la forza delle istituzioni, la solidità della C. più bella al mondo, anche se non perfetta. Dopo un lungo declino della vita politica e il fallimento dei attori attualmente in carica, è il PdR che prende in mano la situazione, dà le carte e gioca quella più autorevole davanti alla quale tutti gli attori politici ordinari “passano”. Le istituzioni sono valide. Ma non lo sono i protagonisti politici. Il PdC catapultato per caso in una posizione per la quale non bastava un cattedratico con un CV gonfiato e ivi mantenuto per un secondo errore tattico di coloro che con il loro rifiuto di trattare con i vincitori avevano provocato la formazione della prima coalizione post-elettorale e quindi indirettamente la nomina di “un capo del governo non capo del governo”, un fantoccio incapace di svolgere il compito definito all’art. 95, 1 C. Conte non è stato un dittatore accentratore, ma un inetto in due ruoli molto diversi, appoggiato da due maggioranze successive molto eterogenee. Renzi, la schegge impazzita per brama di autoaffermazione e rivincita, ha reso un grande servizio al paese e al suo ex-partito, liberandoli loro malgrado (‘Conte o elezioni ‘ recitava il PD, a giudicare dai sondaggi il paese gradiva il PdC) da una persona fuori posto. I partiti -più forti, inespugnabili, che mai, ma poco convncenti- sono i grandi perdenti di quello che sta succedendo, anche se dopo le prossime elezioni ci saranno ancora o di nuovo, con pesi diversi e forse con uomini diversi, se la fututa legge elettorale lo permette, se no rimangono come sono. Inutile distinguere come fa il finto Condorcet fra partiti e leader, perché le liste bloccate garantiscono il poteri di pochi uomini sulle associazioni più importanti del paese. Le truppe sono nominate dai capi, quindi contano poco. Bisognerebbe però aggiungere i commentatori, dagli esperti cattedratici a i giornalisti, che facendo l’opinione pubblica e assistendo gli attori politici sono responsabili quanto loro. Nei monenti difficili e incerti la C. sta rivelando tutta la forza: davanti all’incapacità del Parlamento (partiti, leader, truppe) di risolvere i propri dissensi attraverso una soluzione condivisa da una maggioranza coesa, il PdR entra in campo, nomina un uomo autorevole che proporrà dei ministri autorevoli davanti ai quali leader, partiti e truppe possono solo decidere se approvare, astenersi o votare contro; possono pure prendere l’iniziativa e fare proposte, votarle a maggioranza, ma fin quando non oseranno utilizzare l’art. 94 per sfiduciare il nuovo PdC sarà lui a dirigere l’azione del governo e fissare i termini nuovi del discorso pubblico, alzando l’asticella qualitativa per tutti gli attori politci. Due anni di discorso veritiero, competente e coraggioso basteranno per riformare la politica italiana, quella degli uomini, delle proposte, dei dibattiti?