Confesso: non avrei commentato i fatti degli Stati Uniti, se non avessi messo per iscritto già in anticipo ciò che penso, approfittando del fatto che questo sito non censura il pensiero sotto la discutibile forma del referaggio. Poiché è troppo facile esprimere delle considerazioni nella fase finale di una vicenda sconvolgente che sembrerebbe una salita sul carro dei vincitori, come faranno (e stanno facendo) in molti.
Confesso: non riesco a comprendere come la democrazia degli Stati Uniti, di cui (e mi pento) sono stato per 50 anni un estimatore, abbia potuto sopportare l’atteggiamento politico (e secondo me criminale) di un presidente sconfitto dal voto dei cittadini americani che ha continuato a gettare fango sul sistema democratico e sull’esito indiscutibile (anche per unanime determinazione delle autorità giudiziarie improbabilmente interpellate) del voto.
Andando per gradi e per notizie quotidiane, già la telefonata al segretario di Stato della Georgia, nella quale gli chiedeva di “trovare” circa dodicimila voti, in quello Stato, che consentissero di ribaltare il risultato (non ho capito come) costituisce un caso di grave reato che avrebbe dovuto e dovrebbe costituire una ipotesi per la messa in stato d’accusa per impeachment.
Anche perché, pensavo, il Donald è ancora Presidente in carica. E ipotizzavo che ciò sarebbe dovuto bastare. Macchè.
Pensavo che se uno Stato di diritto non è in grado di rimettere a posto il problema, non resta che l’appello al cielo di Locke, che dovrebbe indurre le istituzioni della sicurezza dello Stato a provvedere. Poiché non ritenevo che un re (?) Lear (come pure è stato definito, scomodando Shakespeare) potesse continuare follemente, in modo ossessivo, paranoico, a spargere dubbi e fango su un risultato elettorale che lo ha visto ampiamente sconfitto.
Ma c’è l’intimidazione al vicepresidente Pence affinchè sostenesse le di lui posizioni all’interno del Congresso: in realtà un tentativo di chiamata in correità sul voto per posta e sul voto tout court. Per fortuna è prevalsa una pur debole fedeltà alla Costituzione rispetto alla fedeltà personale. Ma occorrerebbe uno scatto in più, come tutti sanno e come dirò. Anche qui: attentato alla Costituzione. Ma fino a quel momento, pur con personali giudizi su chi, con potere smisurato dimostrava di essere fuori di testa e pericolosamente sovversivo nell’attacco alla Costituzione, si pensava ai patetici (così definiti) repubblicani “deboli”, considerando che non tutti i repubblicani, per l’appunto, sono ….mpisti.
Per chiarire, il mio personale diritto di resistenza mi impedisce di nominare il soggetto e tutto ciò che a lui si riferisce.
Ma poi, per così dire, c’è stata la svolta storica (?): l’incitazione pubblica, certificata, alla “rivolta” contro Capitol Hill e, definitivamente, contro le Istituzioni democratiche. Devastazioni, violazione di simboli e di persone, morti e feriti dentro la casa della democrazia americana. Trionfo dell’estremismo; guardia nazionale che (per comune convincimento storico) sarebbe titolare del diritto di resistenza a difesa della Costituzione, intervenuta con ritardo. Intervento dell’esercito, anche qui con qualche colpevole ritardo. Chi sono i responsabili, quando era da qualche giorno noto il pericolo? Quanta responsabilità hanno i c.d. social media, prima della chiusura, della rimozione, un po’ ipocrita, dell’ultimo giorno?
Ma, in definitiva, basta questa sintesi a dimostrare la necessità dell’impeachment? Anche per impedire che tra quattro anni possiamo essere costretti a ridiscutere degli stessi argomenti, con quasi naturale dimenticanza?
Ma c’è, come a tutti noto, il venticinquesimo emendamento della Costituzione che prevede la destituzione, da parte del Vicepresidente, con una procedura che coinvolge il Congresso, nel caso di incapacità fisica o psichica del presidente. Non accadrà; ma sarebbe un atto di riscatto della democrazia americana e di qualche politico silenzioso e connivente.
Ho la certezza che, ancora una volta, ci sarà la prevalenza della politica sul Diritto, nonostante un chiaro tentativo avanzato di golpe.
Caro Luigi, è capitato alle volte che la democrazia in America si trovasse sull’orlo del baratro. Se qualcuno non lo conosce già e si vuole divertire, può leggere quello che racconta Bruce Ackerman in The Failure of the Founding Fathers (2005) a proposito delle elezioni del 1800 e della vicenda dell’ambiguo ruolo giocato da Jefferson, vicepresidente dell’ex presidente Adams e come tale incaricato di verificare i voti delle elezioni che lo stavano portando alla carica di presidente. Un singolare caso di conflitto di interessi, sotto la minaccia di un assalto popolare al Capitol Hill (non ancora finito di costruire) e con una contestazione dei voti espressi dalla Georgia (!), contestabili per vizi formali (solo?), tranquillamente “sanati” da Jefferson, che così si poté proclamare vincitore. Da allora la Costituzione è stata emendata in qualche punto (non c’è più la norma che prevedeva che la carica di vicepresidente spettasse a chi arrivava secondo alle elezioni presidenziali), ma i baratri sono rimasti sempre aperti… RB
Caro Roberto, siamo perfettamente d’accordo su ciò che tu suggerisci in forza della storia degli Stati Uniti. Si tratta, in qualche modo, di un déjà vu. Pertanto, è una linea involontariamente comune. Tuttavia, siccome ci riferiamo agli Stati Uniti, punto di riferimento delle democrazie occidentali, non possiamo che paragonare questi eventi ad altri che avrebbero potuto investire Stati, per esempio dell’America latina o, peggio, dell’Asia, e che avrebbero potuto causare l’urlo del mondo intero su note situazioni abbracciate dai media occidentali. Però, è importante che, da studiosi come noi siamo, sia per la storia come da te indicato già avvenuta, sia per le emozioni da costituzionalisti che stiamo vivendo, si comprenda che si tratta di una crisi epocale e, forse, criminale, in cui la politica prevale sul diritto. Come del resto è prevalsa quanto meno nella storia moderna degli Stati costituzionali. LV