Secondo la Corte EDU – richiamata nella sentenza della Corte costituzionale n. 234 del 2020 – nel giudizio di proporzionalità ha rilievo anche il trattamento di favore che il sistema previdenziale riserva ad una determinata platea di beneficiari: i vantaggi “maturati dai pensionati soggetti al sistema retributivo…, vantaggi al cospetto dei quali la decurtazione prevista dall’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 manifesta una funzione di riequilibrio, per esserne esonerate, a norma del successivo comma 263, le pensioni interamente liquidate col sistema contributivo”. Alle condizioni, riconosciute idonee con la sentenza della stessa Corte n. 173 del 2016, a giustificare un prelievo di solidarietà, “potrebbe essere aggiunta oggi un’emergenza sanitaria di vaste dimensioni, che, incidendo pesantemente sul quadro macroeconomico, abbatte i flussi contributivi e accentua gli squilibri sistemici”.
Sembra che il nuovo prelievo sia stato ritenuto applicabile anche a chi ha subito il precedente. “Restando operativo per tutto l’anno 2021… il contributo di solidarietà impone ai titolari di assegni di elevato importo un ulteriore sacrificio… gravoso anche in regione del succedersi di ripetuti prelievi…”. “A proposito di questa reiterazione, è opportuno ribadire… che ogni intervento deve essere scrutinato nella sua singolarità e in relazione al quadro storico in cui si inserisce” (i corsivi sono aggiunti). Con quest’ultimo argomento la Corte ha voluto probabilmente evitare il contrasto con la sentenza n. 173 del 2016, con la quale sembrava aver voluto mantenere in limiti precisi e ristretti il principio che stava enunciando; adottando formalmente la stessa motivazione ha oggi ritenuto che, quando la causa è diversa, il contributo è ripetibile,
Si è detto “sembra” perché la sentenza si presta ad essere interpretata anche nel senso che l’ulteriore sacrificio sia riferito ai titolari degli assegni nel loro complesso, non ai singoli pensionati per i quali la questione resterebbe impregiudicata. La motivazione, per come è articolata, porta a seguire la prima interpretazione.
Intervenendo su una materia sensibile, quale è quella pensionistica, per modificare in senso peggiorativo un regime ultraventennale, nella sentenza n. 173 del 2016 la Corte aveva adottato una motivazione rigorosa. “ll contributo, dunque, deve operare all’interno dell’ordinamento previdenziale, come misura di solidarietà “forte”, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori – endogeni ed esogeni (il più delle volte tra loro intrecciati: crisi economica internazionale, impatto sulla economia nazionale, disoccupazione, mancata alimentazione della previdenza, riforme strutturali del sistema pensionistico) – che devono essere oggetto di attenta ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire all’intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato (sentenze n. 69 del 2014, n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 446 del 2002, ex plurimis).
L’effettività delle condizioni di crisi del sistema previdenziale consente, appunto, di salvaguardare anche il principio dell’affidamento, nella misura in cui il prelievo non risulti sganciato dalla realtà economico-sociale, di cui i pensionati stessi sono partecipi e consapevoli. Anche in un contesto siffatto, un contributo sulle pensioni costituisce, però, una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza.
Il prelievo, per essere solidale e ragionevole, e non infrangere la garanzia costituzionale dell’art. 38 Cost. (agganciata anche all’art. 36 Cost., ma non in modo indefettibile e strettamente proporzionale: sentenza n. 116 del 2010), non può, altresì, che incidere sulle “pensioni più elevate”; parametro, questo, da misurare in rapporto al “nucleo essenziale” di protezione previdenziale assicurata dalla Costituzione, ossia la “pensione minima”. Inoltre, l’incidenza sulle pensioni (ancorché) “più elevate” deve essere contenuta in limiti di sostenibilità e non superare livelli apprezzabili: le aliquote di prelievo non possono essere eccessive e devono rispettare il principio di proporzionalità, che è esso stesso criterio, in sé, di ragionevolezza della misura.
In definitiva, il contributo di solidarietà, per superare lo scrutinio “stretto” di costituzionalità, e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), deve: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum” .
Partita dal presupposto di una “grave crisi” del sistema pensionistico, la Corte aveva richiesto una “attenta ponderazione da parte del legislatore”. Il prelievo era stato giudicato ragionevole in quanto, vale la pena di ripeterlo, “una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza”. Per questo aveva concluso che andava classificato “come misura una tantum”.
La Corte ha oggi aggiunto che “ogni intervento deve essere scrutinato… in relazione al quadro storico in cui si inserisce”. Anche la sentenza n. 173 aveva ritenuto necessario che il prelievo fosse “imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema”, ma, secondo la Corte, se le difficoltà hanno cause diverse, un nuovo prelievo è consentito. Il criterio non sembra che si accordi con l’una tantum. Stando al nuovo principio, ogni volta che le cause fossero diverse non ci sarebbero ostacoli a nuovi prelievi. L’una tantum sarebbe, dunque, connesso alla causa delle difficoltà: ogni causa potrebbe giustificare un solo intervento. La ragione del nuovo orientamento è evidente ma dovrebbe esserlo anche la sua pericolosità.
La legge ha escluso le pensioni liquidate con criterio integralmente contributivo: non vanno toccate perché gli interessati se le sono pagate. Colpite sono quelle miste, fino ad una certa data liquidate col criterio retributivo. Come la Corte ha rilevato, i titolari ne hanno ricavato un beneficio, pari alla differenza tra quella in godimento e quella che sarebbe stata secondo il criterio retributivo. Quest’ultima gli interessati se la sono pagata ugualmente; non si capisce, pertanto, perché l’importo corrispondente sia compreso nel calcolo e il contributo non sia limitato alla sola maggiorazione: lo avrebbe dovuto imporre il principio di uguaglianza. Anche se la questione non risulta sollevata, la Corte avrebbe potuto affrontarla ugualmente perché avrebbe motivato un accoglimento parziale. La Corte talvolta ha tenuto conto di argomenti non sollevati quando incidevano sui limiti nei quali la questione poteva essere accolta.
C’è anche qualche altra perplessità.
Per gli impiegati dello Stato la pensione viene liquidata su di un massimo di quaranta anni. Per leggi, che si sono succedute nel tempo, alcune categorie hanno raggiunto anzianità superiori, talvolta fino a cinquanta anni. Nello scaglionare il contributo non se ne è tenuto conto ed il calcolo è stato uguale per tutti. Chi è andato in pensione a settantacinque anni non solo ha pagato più contributi, ma graverà di meno sul sistema pensionistico: il suo beneficio, pertanto, è inferiore. E di questo si sarebbe dovuto tenere conto in particolare in un tempo in cui si è consentito di andare in pensione con anzianità inferiore a quella ordinaria. Chi ha ricevuto benefici inferiori e quindi ha gravato di meno sul sistema pensionistico, non dovrebbe essere trattato allo stesso modo degli altri. Anche in questo caso è una questione di uguaglianza che sarebbe superata se il contributo fosse liquidato solo sulla differenza tra pensione reale e contributiva, calcolata su tutti gli anni di servizio e non solo sui quaranta.
Non era difficile prevedere che si sarebbe andati incontro a nuove contestazioni per la brevità dell’intervallo tra il primo ed il secondo prelievo. Dalla motivazione si ricava che questa eventualità non è certo sfuggita alla Corte; per questo sarebbe stato il caso che avesse affrontato anche le questioni che potevano essere provocate dalla sua sentenza, indicando i limiti, oltre quello di durata, nei quali andava applicato il nuovo principio espansivo che stava enunciando.