In settimana il direttore finanziario dell’ESM (il Meccanismo europeo di stabilità), l’olandese Kalin Anev Janse, ha illustrato come funzionerebbe la nuova linea di credito destinata alla copertura dei costi sanitari diretti e indiretti causati da Covid-19 (Pandemic crisis support credit line).
Sui prestiti da rimborsare in sette anni, il tasso di interesse effettivo, al netto di tutte le componenti di costo, sarebbe addirittura negativo (cioè, comporterebbe un guadagno, anziché un costo, per il sottoscrittore).
Non si tratta certo di una sorpresa. Era infatti chiaro fin dall’inizio che, attraverso il filtro di un’istituzione partecipata dai 19 Paesi membri dell’euro area, quale è il Meccanismo europeo di stabilità, gli Stati con i più bassi rating di solvibilità avrebbero potuto finanziarsi a tassi migliori di quelli scontati sul mercato.
Era cioè già chiaro che un Paese come l’Italia, il cui rating medio oggi (BBB per S&P, Baa3 per Moody’s e BBB- per Fitch) impone di raccogliere fondi a tassi superiori a quelli dei Paesi più virtuosi, avrebbe beneficiato di una condivisione del debito, ancorché indiretta, attraverso il filtro di un’istituzione come il Mes.
I fondi da mettere a disposizione degli Stati verrebbero infatti raccolti direttamente dal Mes sul mercato, scontando tassi che, grazie al rating AAA/Aa1 di cui gode questa istituzione, oscillerebbero fra -0.21% (per bond di finanziamento a 7 anni) e -0.05% (per bond a dieci anni). In ogni caso, in terreno negativo e, quindi, guadagnandoci.
Tassi che l’Italia oggi si sognerebbe.
E’ questo elevato grado di solvibilità dell’ente (che sintetizza la solvibilità di tutti i Paesi dell’area euro messi assieme) che consentirebbe poi di riflettere i bassi costi di raccolta sui prestiti da erogare ai Paesi membri. E’ solo tramite il Mes, insomma, che su un prestito da rimborsare in sette anni l’Italia potrebbe scontare anch’essa un tasso negativo (-0,07%), ottenendo così un guadagno netto (nel senso che riceverebbe più di ciò che dovrebbe restituire).
Anche sul prestito da rimborsare in 10 anni l’Italia sconterebbe comunque un tasso inferiore (0,08%) di quello che sconta sul mercato.
Nella tabella che segue (estratta dal report uscito in settimana sul sito dell’Esm) il tasso che praticherebbe il Mes su un bond a 7 anni (-0,07% appunto) suddivide i Paesi dell’euro area in due gruppi: quelli che ci guadagnerebbero, collocati alla sinistra, e quelli che di perderebbero, collocati sulla destra.
Tabella 2: chi ci guadagna di più?
Come si vede, l’Italia è il terzo Paese che ci guadagnerebbe di più. Piaccia o meno, questa tabella è una rappresentazione di solidarietà. L’ultimo Btp decennale, collocato in asta il 3 giugno per 14 miliardi con una cedola lorda dell’1,65%, ha assestato il suo rendimento finale all’1,707%. Un collocamento che ha fatto cantare vittoria a molti che ci hanno visto un segno di ritrovata fiducia per il nostro Paese.
In realtà, in tempo di crollo di rendimenti, la sottoscrizione ha più il sapore di una manovra speculativa, resa oggi un po’ meno rischiosa dalla copertura che sta assicurando la Bce con il Pandemic emergency purchase programme.
Se quei 14 miliardi raccolti dall’Italia sul mercato al tasso dell’1,707% fossero stati richiesti al Mes, su base annua l’Italia avrebbe scontato un tasso dell’ 0,08%, risparmiando l’1,627%. In soldoni, un minor tasso dell’1,627% su base annua per dieci anni, con ammortamento del capitale di 14 miliardi a quota costante, si sarebbe tradotto in un risparmio di oltre 1 miliardo e 200 milioni di euro.
Riguardata dal lato dei contribuenti (che, di regola, finanziano il ripianamento del debito attraverso nuove tasse o una riduzione della spesa pubblica) non dovrebbe esserci discussione.
Riguardata dal lato della politica, naturalmente, è un’altra cosa.
Nel mercato del denaro è più importante il valore bruto del costo finanziario o il rapporto di coazione esistente tra debitore e creditore?
La risposta a questa domanda spiega perchè i calcoli sopra hanno un’importanza del tutto relativa.
Tradotto in termini comprensibili a tutti: “mi servono 500 euro per il telefonino nuovo…..
1) me li da papà con un taeg del 9%
2) me li da lo strozzino con un taeg del 7%”
Da chi andrò?
Questo articolo mi suggerisce di andare dallo strozzino.
Io penso che andrò comunque da papà.
Quello che il commentatore precedente chiama – in linea con il mainstream politico, giornalistico e dottrinale (euro-scettico o falso europeista, diffuso anche da questo forum) – “strozzino”, io lo chiamerei “rispetto responsabile degli impegni pregressi”. L’Italia – giusto o sbagliato – ha voluto partecipare alla moneta unica, né ha almeno a parole (e trattati firmati) accettato le condizioni, fra cui quella di una convergenza delle politiche economiche e fiscali. Da vent’anni la politica finanziaria è, con poche eccezioni (ricordo il governo Prodi/Padoa Schioppa e il governo Monti di unità nazionale), alla deriva, erratica, inconstistente, divergente da quella dei partner europei, sicuramente inefficiente, sostanzialmente populista. L’assurdo è che l’opinione dà la colpa della pessima performance (comparativa) del paese all’austerità imposta dall’UE. La diffusione di questa controverità, astutatmente alimentata dai governanti, ha fatto scendere il paese agli ultimi posti dell’eurobarometer in termini di soddisfazione con l’UE. Venendo alla convenienza di utilizzare i fondi (prestiti) messi a disposizione del MES, sono d’accordo con l’autore dell’articolo: sono decisamente più convenienti di un debito nazionale autonomo; ma sono anche effettivamente, e contrariamente ai prestiti e ai trasferimenti del Recovery fund, senza condizioni (a parte la destinazione al settore sanitario intesa in modo elastico). Non c’è quindi alcuna ragione di preferire un indebitamento pubblico autonomo che implica costi sensibilmente più onerosi. Anche se un futuro governo dovesse decidere di abbandonare l’eurosistema (tale era il programma pochi anni fa di alcuni partiti che ora raggruppano oltre il 60% dei parlamentari) e di rifondare un sistema monetario nazionale, poco cambierebbe: il debito pregresso (sia quello verso il MES sia quello verso il mercato, poco importa se i sottoscrittori sono residenti o no) sarebbe in ogni caso in euro e quindi molto più oneroso per uno stato con una moneta nazionale fortemente svalutata. Conclusione: in 20 anni, l’Italia è riuscita a trasformare l’oportunità in trappola. L’autore dell’articolo menziona il vero problema (che il MES e il Recovery non risolveranno, ma potrebbero contribuire a risolvere con politiche nazionale congrue): il rating disastroso dello stato italiano sovrano, riflesso delle politiche aberranti degli ultimi 20 anni, dell’incapacità istituzionale di assicurare un governo responsabile e coerente e della mancanza di un discorso pubblico veritiero.