L’appello all’unità e le risposte sbagliate

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di Roberto Bin

In tutti i discorsi e i messaggi di Mattarella in questi giorni il tema centrale è stato l’appello all’unità morale degli Italiani. E’ la “sostanziale unità morale… il vero cemento che ha fatto nascere e ha tenuto insieme la Repubblica”: ma è anche quel cemento “che ci fa riconoscere, ancora oggi, legati da un comune destino” (Intervento del 1° giugno ai Giardini del Quirinale). E’ il “patrimonio morale presente nel nostro Paese, spesso sommerso” (Discorso di Codogno del 2 giugno), che si è manifestato nei tantissimi esempi di solidarietà e di sacrificio personale, che hanno commosso tutti e anche persuaso la stragrande parte della popolazione della necessità di mantenere un comportamento responsabile, rispettoso delle regole che venivano emanate e modificate di continuo. Una prova di senso civico di cui noi stessi – italiani sempre scettici su noi stessi e le nostre qualità – siamo rimasti sorpresi, piacevolmente sorpresi, talvolta persino commossi.

Ora Mattarella è preoccupato che questo clima stia cambiando radicalmente, e ne ha ben motivo. Lo stupore della prima e della seconda fase – stupore nello scoprire che, malgrado tutto, l’Italia aveva un governo che riusciva a far fronte ad un evento senza precedenti, che nessuno sapeva come fronteggiare; e che abbia avuto la determinazione di scegliere la via da seguire, aprendo la strada a tutti gli altri Stati – ormai è cosa del passato: le scelte del governo vengono accolte con sempre maggiore scetticismo, se non con avversione; le istituzioni locali stanno dando un cattivo esempio, si ritrovano in mano personaggi in cerca di autore e di amministratori che protestano ad alta voce per nascondere la pessima prestazione delle amministrazioni che guidano; le forze di opposizione strillano denunciando errori, prospettando catastrofi e reclamando a gran voce un ruolo, il diritto di essere ascoltati. Del resto, la situazione sociale è molto pesante, parti consistenti della società, quelle che già erano economicamente più deboli, sprofondano in una condizione economica senza prospettive: che si lamentino è giusto. Ma anche chi è alla guida degli imprenditori strepita, denunciando l’inefficienza della pubblica amministrazione (dimenticando che le strozzature più gravi le ha rivelate il sistema bancario, la cui burocrazia ha mostrato grande efficienza solo nel negare l’accesso al credito pur garantito dallo Stato), e stigmatizzando lo spreco di danaro, attinto dal debito pubblico, per “finanziamenti a pioggia”, mentre dovrebbero essere destinati al rilancio della produzione industriale. Tutti sono pronti a cavalcare il malcontento, a fomentarlo, a protestare di non essere ascoltati e coinvolti nelle decisioni. Salvo poi rivelare il vuoto quasi assoluto quando si cerchi di capire quali sarebbero le proposte inascoltate o i programmi disattesi.

Ha ragione il Presidente Mattarella, purtroppo, ad essere preoccupato. Il disagio sociale prende fuoco negli Stati Uniti, e se non lo fa anche in Italia è perché a governarci non è Trump o qualche suo emulo casareccio. Bello sarebbe che il governo decidesse dopo aver ascoltato e discusso le proposte che vengono dalle opposizioni o dagli imprenditori. Ma quali sono? Qualcuno ha sentito una proposta dell’opposizione che non fosse il solito “più soldi”, “meno burocrazia”, “basta tasse”, o qualche sciocchezza sulla regolarizzazione degli stranieri? Facile denunciare l’improduttività dei “finanziamenti a pioggia”: ma si rende conto chi la sostiene questa denuncia che quella “pioggia” ha distribuito un po’ di risorse a chi era ne era rimasto totalmente privo? Sono stati distribuite a tutti coloro che ne hanno fatto richiesta, cercando di eliminare filtri e istruttorie burocratiche (con la conseguenza che spesso sono andate anche ai soliti furbetti che, attico di lusso in città e casa in montagna, hanno scoperto di “averne diritto”, e neppure si vergognano a dirlo!). Si poteva fare di meglio, certo, ma cosa?

Ha ragione il Presidente Mattarella ad auspicare più unità. Ma questo significa chiedere ai leader politici e ai rappresentanti delle “istituzioni civili” una certa sobrietà di linguaggio, molta moderazione nel lanciare denunce e agitare le piazze con slogan gridati e privi di significato. E molta capacità di proposta. Allora sì che possono pretendere di essere ascoltati.

E’ il rinnovato spirito della Costituente? Certo, quello è stato un grande esempio, irripetibile: e, aggiungerei, per fortuna, perché non vorremmo ritrovarci tra le macerie in cui la Costituente si trovò ad operare. Oggi qualcuno ha rispolverato l’idea, che ritorna periodicamente sul tavolo, di istituire una “nuova Costituente”. Lo sostiene da tempo Giorgetti, vi ha accennato il sindaco Sala, e l’ha rilanciata anche un collega, Francesco Clementi, in un’intervista su Il dubbio, ripresa stamattina con vivo apprezzamento e incondizionata adesione da Mario Sechi, nella trasmissione Radio 3 Prima pagina. E’ un’idea priva di senso, però: irrealizzabile non solo per la questione dei tempi (come riconosce Clementi) ma per motivi molto più “strutturali”. Se l’Assemblea costituente deve essere eletta dal popolo (e non costituita da “nominati”, come sembra vagheggiare Sala), avremmo un organo composto da qualche centinaio di persone candidate dai diversi partiti (con un sistema proporzionale puro e senza alcuno sbarramento, perché se no non sarebbe garantita la necessaria rappresentatività), che si riunisce “in spirito di fratellanza” per discutere le nuove regole del potere, mentre nel frattempo maggioranza e opposizione continuano  a darsi aspra battaglia ogni giorno su ogni cosa. E con quale autorità i “saggi” della Costituente potrebbero imporre le loro scelte alle forze politiche “vere”? Come potrebbero manifestare “unità” mentre la politica “vera” si scanna? Qualcuno si ricorda della triste sorte della Commissione Bicamerale presieduta da D’Alema

E poi ci sarebbe un’altra osservazione da fare: che le istituzioni dell’unità ci sono già, sono le Camere. Le Camere, che si riuniscono quando vogliono e possono programmare con molto respiro le loro attività, devono diventare il luogo del dibattito sulle riforme da introdurre in Italia, riforme urgentissime come tutti sanno e dicono e riforme soprattutto legislative, non costituzionali. Le Camere devono essere restaurate nel loro ruolo, purtroppo svilito dalle prassi abusive degli ultimi anni: e questo richiederebbe al più di modificare il regolamento interno delle Camere stesse, con una semplice delibera a maggioranza assoluta. Il Presidente Mattarella potrebbe dare una mano a rimetterle al loro posto: sia con la persuasione esercitabile con i messaggi formali indirizzati al Parlamento, sia con una stretta di pugno nei confronti di procedure legislative che ne sviliscono il ruolo. Il Presidente della Repubblica in sede di promulgazione delle leggi (e di emanazione dei decreti-legge) e la Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzione promosso da parlamentari defraudati delle loro funzioni hanno la possibilità di porre un fermo a prassi istituzionali che hanno fortemente degradato le istituzioni parlamentari, talvolta smaccatamente violando le regole che esse stesse si sono scelte. Di fronte a giocatori in campo che si offendono e si picchiano, l’arbitro deve decidersi a tirare fuori un cartellino rosso ogni tanto. La moral suasion con certa gente non funziona.  

 

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1 commento su “L’appello all’unità e le risposte sbagliate”

  1. Stimato Roberto Bin, vi seguo ormai da molto tempo; ricevo spiegazioni precise e interessanti spunti di riflessione. Non intervengo quasi mai, ma questa volta mi sento di doverlo fare per volgere le cose in spirito positivo, ottimista e costruttivo, nonostante condivida il senso generale della sua critica gli atteggiamenti degli antagonisti verso il «potere» istituito. Non condivido però gli esempi che lei porta. Provo a riprenderne alcuni. 1) La democrazia non è un sistema scolpito nella pietra, è invece un sistema flessibile e adattativo ai cambiamenti i quali non richiedono sangue e tragedie per essere attuati, ma semplicemente confronto e decisioni concordate. In sintesi, da 800 anni la democrazia è progressiva cessione del potere dal vertice verso i cittadini. 2) Il concetto di «unità morale» non è affatto chiaro nè è comprensibile ai più. È un’astrazione usata come fondamento per costruirvi sopra un edificio altrettanto astratto lontano dalla pratica. Non è una critica a Mattarella che sta facendo il suo lavoro; ma qui stiamo dialogando con mente aperta e sguardo al presente e al futuro. L’Art. 3 dice che siamo tutti diversi ed uniti solamente dalla legge alla quale tutti vogliamo sottostare. Scritto male e interpretato peggio, è però una sintesi meravigliosa della natura dell’uomo. La «legge», oggi possiamo dirlo grazie alla conquistata libertà di pensiero, è quasi sinonimo di tutti i tipi di accordi fra esseri umani, siano essi fra due soli individui o fra aggregati piccoli, grandi e grandissimi. Qualcuno sostiene che le governace sono multilivello; a me sembra perfino riduttivo e che gli accordi fra gruppi di persone sono trasversali e, per così dire, in 3D. La Costituzione dello Stato è solo uno di questi accordi, l’umanità vive oggi in una rete infinita di accordi. Esaltare troppo la dominanza della Costituzione dello Stato, potrebbe condurre più a problemi che a soluzioni di vita pacifica. Mi rendo conto di essere, in questa sede, praticamente blasfemo; vi chiedo però di accogliere un’idea giusto il tempo per ragionarci su un momento e poi di rigettarla, ma solo a ragion veduta. 3) Le istituzioni locali stanno dando cattivo esempio … forse non performano bene come lo Stato fa con l’Alitalia, ma credo che le istituzioni locali stiano imparando a prendere decisioni importanti, anzi cruciali, per la qualità della vita dei propri cittadini. Mi spingerei a dire che mentre i Comuni sono da molto tempo ben funzionanti, le regioni devono ancora fare molta strada. Ma perchè criticare «i bambini che crescono»? Stanno imparando. Inoltre alcune regioni si sono dimostrate più capaci di altre, e più capaci anche dello Stato stesso. Questo possiamo vederlo solo perchè la progressiva cessione del potere si sta realizzando e con ciò gli aggregati intermedi stanno imparando a governarsi da adulti. Non credo sia molto saggio mantenere l’unità di pensiero e di azione tipica delle dittature; e molto meglio avere molte opinioni e specialmente molta pratica nell’esercizio delle decisioni. Solo la pratica del decidere ha impatti positivi sui rapporti fra persone che sono diverse fra loro e che desiderano però stare insieme secondo gli accordi che loro stessi determinano. — Mi fermo qui. Secondo la prospettiva che propongo, si possono leggere i suoi commenti in chiave di esercizio della libertà valutandone gli aspetti di maturata crescita e di strada ancora da fare. Insomma positivamente come quando si guardano i giovani che crescono, che sperimentano e che costruiscono un mondo migliore di quello che noi anziani abbiamo consegnato loro. Incoraggiamoli. Evitiamo che lo Stato sia il problema (pregiudiziale conservazione del potere) e che sia invece parte di migliori soluzioni e di migliore qualità della vita.

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