Le risposte agli interessanti spunti problematici evidenziati da Edoardo Chiti non possono che portare ad altri quesiti, a nodi ancor più complessi e a ulteriori problemi. Le sfide che attendono il diritto amministrativo sono quindi ancora aperte e la strada da percorrere tutt’altro che semplice. Tuttavia, è necessario e utile provare a ragionare su questi problemi, per individuare percorsi futuri. Tutti i temi toccati dall’autore (punto di vista; autorità; limiti ai poteri privati; complessità del diritto amministrativo e questioni ecologiche) e il loro sviluppo futuro possono essere letti e interpretati secondo una particolare visione del diritto amministrativo, che qui si vuole richiamare e sostenere: quella del diritto amministrativo cosiddetto “sociale”.
1. Il diritto amministrativo e le sue anime. Come è stato ricordato da Sabino Cassese alcuni anni fa, il potere pubblico si è storicamente sviluppato su tre anime: una autoritaria, una liberale, una sociale. In questo breve commento, si vuole insistere su quest’ultima, provando a suggerire che in questa precisa fase storica il diritto amministrativo “sociale” dovrebbe prendere il sopravvento, fornendo gli strumenti giuridici affinché i poteri pubblici, attraverso un intervento – maggiore e migliore – nella società, divengano creatori di benessere diffuso e di equità.
Con riferimento alle tre componenti del diritto amministrativo appena richiamate, si nota, ancora con Cassese, che originariamente il diritto amministrativo serve al potere pubblico come “macchina dell’obbedienza”, per dare attuazione alla struttura di governo con la massima efficacia. In questo primo polo, prevale il diritto amministrativo speciale, derogatorio, unilaterale, privilegiato, perché esso deve imporsi alla collettività. Si tratta di quella componente autoritaria che, come è stato correttamente osservato da Edoardo Chiti, inevitabilmente riguadagnerà spazio in nome della sicurezza, divenuta prioritaria per via dell’emergenza del Covid-19. Con allegati una serie di rischi da non sottovalutare.
Un secondo polo, che abbiamo visto svilupparsi esponenzialmente e su scala mondiale negli ultimi trent’anni, opera “ex parte civis” e detta i limiti del potere pubblico, ispirando la giustizia amministrativa, obbligando l’amministrazione a rispettare il principio di trasparenza e a motivare le sue decisioni. Il pubblico arretra, lasciando spazio ai privati e alla concorrenza tra essi. Si tratta della componente liberale del diritto amministrativo. Essa, proprio in questi decenni di maggiore affermazione, ha mostrato alcuni limiti, esponendosi a numerose e penetranti critiche, perché in troppe circostanze i maggiori margini di manovra e le maggiori libertà concesse ai poteri privati non sono stati in grado di produrre il benessere diffuso promesso; e troppo spesso vi sono stati costi sociali particolarmente elevati che la collettività ha dovuto pagare (l’inquinamento, su tutti).
Infine, il terzo polo, usando uno strumentario simile a quello del diritto amministrativo dell’autorità, mira a permettere alla società di realizzare i suoi fini collettivi, prevalendo nei confronti di singoli privati. In questo caso la supremazia amministrativa è al servizio di interessi collettivi, non degli interessi di un re, di una casta, di una classe, di un regime, di una “élite”. È la componente storica socialista che fa sentire il suo peso e che scambia la limitazione di alcune libertà economiche con una maggiore equità e con una diffusione maggiore del benessere collettivo.
Alcuni nodi critici che la pandemia del Covid-19 ha fatto esplodere sono legati proprio al malfunzionamento della componente liberale e alla mancanza di un’efficace componente sociale all’interno dei poteri pubblici: il virus si trasmette agli umani (per via di una zoonosi, ossia una malattia animale che infetta anche le persone) a causa di controlli troppo permissivi e poco efficienti su operatori privati; i sistemi sanitari di molte nazioni sono entrati in crisi perché privi di fondi e risorse, che gli Stati hanno tagliato, per ridurre la spesa pubblica; una delle cause della maggiore diffusione in alcune zone sembra (la questione non è certa, ancorché probabile) essere dovuta all’inquinamento e alla perdita di biodiversità, dovute a una scarsa attenzione (e regolazione) da parte dei poteri pubblici nei confronti delle attività economiche più inquinanti; numerosi altri focolai potrebbero esplodere nel breve o medio periodo a causa di settori produttivi troppo poco regolati e sottoposti a limiti e restrizioni per favorirne lo sviluppo (su tutti quello dell’agricoltura industriale e degli allevamenti intensivi).
Di qui, a fronte di questi e altri insuccessi del modello liberale, si profila uno sviluppo della componente autoritaria – non a caso rispecchiata, a livello politico, dalla crescita di movimenti nazionalisti e sovranisti –, di quell’amministrazione come autorità che rischia di non limitarsi alla stretta necessità di garantire sicurezza, favorendo un ritorno al passato.
Per tali ragioni, si invoca invece una risposta diversa, alternativa a quella autoritaria e bilanciata – ma anche contrapposta in alcuni casi – a quella liberale, fondata sul rafforzamento dell’amministrazione pubblica come cura di interessi e beni sociali che più di altri necessitano di un intervento pubblico, anche a discapito di altri, concorrenti. Un diritto amministrativo, quindi, che non è solo limite ai poteri pubblici a favore delle libertà private, ma anche e soprattutto limite ai poteri privati a favore di interessi, aspettative e necessità collettive e generalmente diffuse.
2. Tutela degli interessi cosiddetti sociali e democraticità. Gli interessi sociali, a dispetto della loro natura generale, appaiono – e sono perciò definiti – deboli o sotto-protetti perché bisognosi di una tutela pubblica maggiormente incisiva rispetto alle libertà economiche. Il godimento di beni giuridici quali un ambiente sano, un’elevata tutela della salute, condizioni dignitose di lavoro, ecc. ha bisogno di norme e strutture amministrative con poteri regolatori incisivi ed efficaci, che impongano restrizioni e divieti, che svolgano attività ispettive e di controllo, che irroghino sanzioni, che mettano in pratica incentivi, che redistribuiscano la ricchezza. Si tratta quindi di diritti e interessi che non possono essere lasciati alle negoziazioni tra privati, che il mercato non riesce a sviluppare – o anche solo a proteggere – tramite i propri meccanismi di funzionamento, ma che necessitano di interventi regolatori di natura pubblicistica.
Tuttavia, perché l’amministrazione pubblica possa limitare le nostre libertà per aumentare il nostro benessere, essa deve necessariamente essere democratica, deve cioè riuscire a fare propri i voleri collettivi, a dare voce alle “forze plurali” che si muovono nella società – per usare un’espressione usata da Paolo Grossi – a tradurre la pluralità di valori, interessi e opinioni che compongono la Geselleschaft, non solo a livello nazionale, ma mondiale. Su questo punto, ovviamente, la questione è ancora aperta e problematica perché la nostra democrazia si rivela ancora immatura, insufficiente o condizionata da fenomeni di perversione come il populismo. Ed è ancor più complesso assicurare un sistema di governance democratico in una dimensione estesa e complessa come quella mondiale.
3. La complessità del diritto amministrativo e la global governance. In tema di complessità dell’attuale diritto amministrativo, cui fa riferimento Chiti, si deve notare che i limiti e le lacune che ancora caratterizzano la regolazione ultra-nazionale in numerosi settori dimostrano la presenza di un deficit democratico che si riferisce sia alla costituzione del potere del corpo politico deliberante, sia alle tecniche di governo. A riguardo, occorre precisare che benché la disciplina extra-nazionale incrementi alcune garanzie in ambito domestico e la componente liberale e garantistica dei poteri pubblici abbia raggiunto uno stadio avanzato proprio in tale ambito, lo stesso non può dirsi per la componente strettamente democratica e rappresentativa degli interessi generali, diminuita da una catena di comando complessa e frammentata, dall’assenza di pluralismo e dalla scarsità di strumenti e garanzie di trasparenza e accountability. La regolazione pubblica attuale è ancora alla ricerca di un equilibrio tra garanzie procedurali e rappresentatività, tra poteri neutri e poteri politici, tra le esigenze di libertà e quelle di giustizia ed equità.
Questa è una delle sfide principali del diritto amministrativo del futuro e anche della sua scienza: individuare gli strumenti giuridici più adatti per far funzionare con efficienza ed efficacia, ma mantenendo garanzie procedurali, rappresentatività degli interessi e perseguimento dei fini collettivi, una regolazione pubblica intrusiva e con molti poteri. E del resto l’una è determinante per l’altra: senza le garanzie di democraticità e rappresentatività non si può avere una regolazione pubblica che sia, al tempo stesso, dotata di poteri estesi ed incisivi e votata alla cura degli interessi sociali e più deboli.
4. Il Green New Deal e il diritto amministrativo sociale. Un discorso analogo va fatto per ciò che concerne l’ambiente e il cosiddetto Green New Deal, richiamati nell’ultimo “nodo” da Edoardo Chiti: le politiche pubbliche in tale ambito devono pervenire a un cambio di paradigma in cui la tutela dell’ambiente deve essere in grado di porre nuovi e ulteriori sacrifici alle libertà economiche in nome di una maggiore tutela della salute umana, vegetale e animale. Anche in questo caso, nondimeno, le misure che ne scaturiranno dovranno però essere il risultato di un consenso diffuso ed esteso su scala mondiale.
Di qui, emergono ulteriori problemi di democraticità e di rappresentatività di tali scelte, che vanno a incrementare le sfide per i policy-maker, per gli studiosi e per i cittadini che si dovranno confrontarsi con questi temi nel breve o medio periodo.
5. Il diritto amministrativo “sociale” e il costituzionalismo globale. L’affermazione e lo sviluppo di un “nuovo” diritto amministrativo sociale passano sempre attraverso gli strumenti, i meccanismi e le strutture dello stesso diritto amministrativo e del diritto pubblico.
In questo senso, un percorso possibile – al fine di superare l’impasse che riguarda al tempo stesso equità e democraticità – si fonda sui principi, sulle garanzie procedurali e sugli istituti fondamentali del diritto amministrativo, condivisi dagli Stati e dalle organizzazioni internazionali e modellati e adattati alle esigenze della modernità e ai nuovi contesti ultra-statali. Come già avviene – non senza problemi, a dire il vero – in ambito europeo.
Tali principi, garanzie e istituti, consentendo una critica e una dialettica rispetto al diritto positivamente determinato, possono – in tale momento storico – essere gli agenti e i fautori di un «costituzionalismo senza Stato»: un nuovo costituzionalismo di rilevanza globale in grado di comporre le ragioni universali con quelle locali e organizzare, limitare e giustificare in modo adeguato l’esercizio di poteri pubblici al di là dei confini statali, sacrificando alcuni interessi a vantaggio di altri, che oggi appaiono quanto mai prioritari. Un costituzionalismo, quindi, che ponga al centro un benessere equilibrato fondato sulla solidarietà, sulla redistribuzione della ricchezza, sul rispetto dei diritti umani e su una visione ecologica dominante e che quindi preveda un contributo importante e determinante da parte del pubblico, nei confronti dei privati.