I quotidiani del giorno in cui si scrive, 26 maggio 2020, danno conto di convulsi confronti all’interno dell’Esecutivo in merito all’emanando bando della Protezione civile per reclutare 60mila assistenti civici, che dovrebbero accompagnare la Fase 2 dell’emergenza Covid 19.
Pare che anche il Ministro degli Interni sia intervenuto, segnalando al Premier Conte una serie di criticità, fra cui la vigilanza su eventuali abusi, il vaglio sulla fedina penale dei volontari, la formazione di questi ultimi. La paura di fondo è che eventuali funzioni di controllo generino equivoci, anche perché il bando è stato annunciato contestualmente all’adozione di misure anti-movida, ispirate alla necessità di gestire al meglio le difficoltà di molti comuni nella fase delle riaperture dei locali.
Il Ministro degli Affari regionali, che ha sostenuto il provvedimento d’intesa col Presidente dell’Anci, replica che una questione di pubblica sicurezza non c’è mai stata, che sin dal 29 aprile il progetto era stato annunciato in conferenza Stato-Regioni, anche se ammette che gli assistenti civici avrebbero dovuto svolgere un ruolo attivo nel controllo sul cd. “distanziamento sociale”.
Alla fine pare che il compromesso sia stato trovato, grazie all’opera di mediazione del Presidente Conte: inquadramento del ruolo degli assistenti civici nel volontariato (previo coinvolgimento dei rappresentanti del terzo settore), e limitazione delle funzioni all’aiuto ad anziani, pulizia e decoro dei parchi, distribuzione delle mascherine nelle località di vacanza.
Se questa sarà effettivamente la conclusione della vicenda, nessuna criticità presenterà il bando e l’episodio potrà essere derubricato a ulteriore esempio delle difficoltà della maggioranza di trasmettere messaggi coerenti nella gestione della crisi pandemica.
Deve far riflettere, però, l’ennesima evocazione da parte di taluni membri dell’opposizione (invero poco credibili, viste le passate prese di posizione di costoro in tema di immigrazione e sicurezza) che accusano il Governo di utilizzare la pandemia come occasione per esercitare una vigilanza coercitiva sull’insieme dei comportamenti sociali.
Mi sembrano accuse fuori fuoco, anche vista la provenienza, e tuttavia involontariamente evidenziano un nervo scoperto. Ritengo che la parabola delle “ronde”, istituite con legge e con successivo decreto ministeriale una decina di anni or sono, sia istruttiva.
La legge n. 94/2009 aveva, infatti, suscitato una serie di questioni. In generale si era lamentata una grave sottrazione del monopolio legittimo statale della forza e il rischio di politicizzazione delle ronde, con vulnus dell’art. 18 Cost. Il successivo d.m. 8 agosto 2009 aveva fugato varie criticità chiarendo, ad esempio, che le associazioni dovessero svolgere attività senza fine di lucro, che non fossero espressione di partiti o movimenti politici, sindacali, di tifoserie, prevendendo una serie di requisiti personali quali: non essere aderenti a determinate associazioni, non essere o essere stati sottoposti a misure di prevenzione o denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, per delitti non colposi.
Beninteso, non tutto si è chiarito. Vero è che la disciplina in esame impone che debba trattarsi di associazioni di cittadini non armati, che svolgono attività di mera osservazione e segnalazione, tuttavia, taluni hanno osservato che in merito ai compiti dei suddetti cittadini la legge n. 94/2009 faccia riferimento al fine della segnalazione, sennonché il fine, evidentemente, non è un potere.
In ogni caso i paletti posti dal d.m. 8 agosto 2009 hanno avuto una conseguenza pratica: l’ineffettività della normativa. In base ai dati diffusi dal Ministero dell’interno, tale disciplina, anche per la difficoltà di attuazione, ha portato ad un bassissimo numero di richieste di iscrizione negli elenchi istituiti presso le Prefetture.
La parabola delle “ronde” dimostra che il controllo sociale è un tema delicatissimo, che suscita una bagarre politica molto accesa anche quando, come nel caso in esame, viene anche solo lontanamente evocato.
Pare dunque corretto che la questione sia stata – come sembra – ricondotta entro i binari della sola assistenza ai più bisognosi. Un provvedimento, per di più un mero bando senza copertura normativa, volto al controllo del cittadino, specie nell’ambito delle attività cd. anti-movida, avrebbe prestato il fianco alle medesime (se non maggiori) criticità cui si esposta la disciplina in tema di “ronde”, almeno prima del d.m. 8 agosto 2009.
Si comprende anche, in questo senso, perché il Ministro degli Interni abbia osservato come l’attività di osservazione e controllo avrebbe semmai necessitato della formalizzazione entro un apposito elenco tenuto e revisionato dal Prefetto, evocando proprio la disciplina in tema di “ronde” (dove è sentito anche il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica).
Peraltro, i sindaci hanno già forti poteri in materia di “mala movida”, specie dopo la legge n. 48/2017 (cd. Legge Minniti).
Inoltre, non è detto che sarebbe stato sufficiente un mero passaggio dalla Conferenza Stato-Regioni, poiché in questo delicato settore il coinvolgimento delle Regioni deve essere più marcato. Si ricordi che la Corte costituzionale, con sentenza n. 226/2010, ha ritenuto che la segnalazione di situazioni riguardanti il “disagio sociale”, rientrando nel concetto di sicurezza sociale, materia residuale delle Regioni, vada espunta dalla normativa statale: infatti il monitoraggio delle situazioni critiche rappresenta la necessaria premessa conoscitiva degli interventi volti al superamento del disagio sociale, quindi spetta al legislatore regionale stabilire condizioni e modalità di impiego da parte dei comuni dei privati volontari.
L’utilizzo dei cittadini volontari con funzione di segnalazione e controllo, infine, lungi dall’essere espressione di politiche di promozione del welfare della comunità, avrebbe confermato un’altra radicata tendenza dei nostri tempi: la logica securitario-protettiva di cui il bando (nella versione poi superata) sarebbe stato emanazione si sarebbe di fatto sovrapposta all’implementazione di concreti ed efficaci strumenti di welfare, così duramente messi alla prova dall’emergenza epidemiologica.