di Marco Dani e Agustín José Menéndez
Nella riunione del 8 maggio 2020, l’Eurogruppo ha dato il via libera al Pandemic Crisis Support (PCS), la linea di credito del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) dedicata all’erogazione di prestiti per le spese sanitarie connesse all’epidemia Covid-19 sostenute dagli stati membri appartenenti all’Eurozona. Spetterà ora al Board of Governors del MES dare seguito a questa dichiarazione politica per rendere disponibile la linea di credito ad inizio giugno.
La decisione dell’Eurogruppo segue a settimane di dibattito convulso in merito all’effettiva possibilità di sviluppare all’interno del quadro normativo tuttora vigente una linea di credito a condizionalità leggera. La lettura incrociata del Trattato MES e del regolamento 472/2013 induce infatti a ritenere che le condizioni inizialmente stabilite possano rapidamente evolvere nella direzione di una condizionalità ben più incisiva attraverso un percorso limpidamente scandito dal regolamento 472/2013. Se, attraverso qualche sforzo interpretativo, si può ritenere che il vincolo di destinazione alle spese sanitarie soddisfi il requisito della “condizionalità rigorosa” richiesta dal Trattato MES (artt. 3 e 12, oltre che art. 136(3) TFUE), ben più difficile è sfuggire alla disciplina delle linee di credito precauzionali. Questa stabilisce che, una volta attinte le risorse, lo stato membro sia soggetto a sorveglianza rafforzata da parte della Commissione e della Banca Centrale Europea (BCE) (artt. 2(3) e 3 del regolamento 472/2013). La sorveglianza rafforzata prevede missioni di verifica periodiche da parte delle stesse istituzioni e, se il quadro economico e finanziario dello stato in questione dovesse deteriorarsi, il Consiglio potrebbe raccomandare l’adozione di un programma di aggiustamento macroeconomico (art. 3(7)). Insomma, non serve essere troppo prevenuti per capire che, in un contesto complessivo di difficoltà finanziarie come quello che si sta gradualmente delineando, non appena le regole fiscali europee saranno riattivate il margine di manovra degli stati diverrà estremamente ridotto, cosicché per essi sarà estremamente difficile non finire sotto un programma di aggiustamento macroeconomico.
La fondatezza di questa ricostruzione è emersa pienamente alla vigilia dell’incontro dell’Eurogruppo, quando i Commissari Gentiloni e Dombrovskis hanno sentito il bisogno di precisare le modalità di applicazione del regolamento 472/2013 in relazione al PCS. I Commissari hanno affermato che la nuova linea di credito si svilupperà interamente all’interno del quadro normativo vigente. Tuttavia, in via eccezionale e temporanea, la Commissione si impegna a non applicare o, alternativamente, a dare una interpretazione benevola a tutte le norme più insidiose del regolamento in questione. Ci sarà quindi sorveglianza rafforzata, ma solamente al fine di verificare il rispetto del vincolo di destinazione alle spese sanitarie dirette e indirette (concetto quest’ultimo che con tutta probabilità darà luogo a significative divergenze interpretative). Non vi saranno però missioni ispettive delle istituzioni, né vi saranno raccomandazioni del Consiglio ex art. 3(7). Esclusa è anche la possibilità di trasformare il memorandum of understanding iniziale in un programma di aggiustamento macroeconomico, così come esclusa è la possibilità di richiedere misure correttive durante la sorveglianza successiva al programma.
Tutto risolto quindi? Non proprio. Se infatti nella sostanza la lettera dei Commissari si muove nella direzione giusta (o, almeno, nella direzione auspicata dai fautori del PCS), non altrettanto si può dire per le forme da essi scelte. Probabilmente è il caso di ribadirlo, ma né la lettera dei Commissari né le conclusioni dell’Eurogruppo sono fonti del diritto dotate di valore vincolante. Siamo infatti di fronte ad impegni di natura squisitamente politica che sarebbe preferibile convertire in un atto normativo di identico contenuto. Invece di percorrere quella che tuttora appare come la via maestra, la Commissione e l’Eurogruppo hanno preferito invece procedere lungo la più incerta strada del soft-law. Si badi, per le istituzioni europee (e non solo) il ricorso a questi strumenti è tutt’altro che una novità. Il celeberrimo programma Outright Monetary Transactions (OMT) della BCE è contenuto in un comunicato stampa. La sospensione (in realtà, l’allentamento) della disciplina degli aiuti di stato è contenuta in una comunicazione. Insomma, per le istituzioni europee è piuttosto normale procedere con strumenti di natura giuridicamente non vincolante che, in fin dei conti, hanno la funzione di precisare in che modo si eserciteranno i poteri discrezionali ad esse formalmente attribuiti. Tutto questo regge fino a che gli impegni sono mantenuti dall’istituzione in questione e fino a che tutte le altre istituzioni (europee e non) si ritengono soddisfatte da questo modus procedendi. Detto in altre parole, la forza del soft-law dipende da un hard institutional commitment.
Nel caso del PCS il ricorso al soft-law suscita almeno due ordini di preoccupazioni. La prima riguarda il fatto che i controinteressati all’erogazione di un prestito MES non sono solo le istituzioni europee che si sono subito congratulate per il risultato conseguito dall’Eurogruppo, ma anche attori che potrebbero non vedere di buon occhio un’assistenza finanziaria a condizioni così vantaggiose. Stiamo pensando in particolare al Bundestag, che in base alla legislazione di attuazione del Trattato MES nell’ordinamento costituzionale tedesco, è chiamato all’approvazione di ogni singolo esborso del MES. Inoltre, non è difficile immaginare, a maggior ragione dopo il successo recentemente conseguito nel caso Weiss, che l’eventuale approvazione del Bundestag potrebbe essere impugnata di fronte al Tribunale costituzionale federale tedesco dagli stessi ricorrenti che da anni sono impegnati in una lotta senza quartiere a difesa di una lettura rigorista dei trattati europei. A quel punto, siamo sicuri che la sterilizzazione del regolamento 472/2013 per via di soft-law reggerebbe al vaglio occhiuto dei giudici costituzionali tedeschi? La questione è tutt’altro che teorica ed è facile immaginare che il PCS potrebbe deflagrare miseramente qualora lo si interpretasse anche come condizione abilitante all’accesso al programma OMT.
La seconda preoccupazione riguarda la dimensione temporale del finanziamento in discussione. L’Eurogruppo ha fissato ad un massimo di dieci anni la scadenza massima dei prestiti erogati dal PCS. Per i tempi della politica, dieci anni sono un’eternità e, in una situazione volatile come quella attuale, non è azzardato prevedere che gli orientamenti delle istituzioni europee e degli altri governi nazionali possano nel frattempo mutare. Se questo dovesse accadere, siamo sicuri che un impegno politico che oggi ci appare sostenuto da un consenso granitico resisterebbe alla prova del tempo e dei nuovi equilibri politici? Il compromesso raggiunto dall’Eurogruppo è in larga parte il prodotto delle forti emozioni suscitate dalla crisi Covid-19 e dall’impatto fortemente asimmetrico di quest’ultima. Non pare per nulla scontato, tuttavia, che l’accordo raggiunto sia destinato a reggere superata la fase acuta della crisi, quando un ben più massiccio intervento dell’Unione si renderà per molti stati indispensabile.
Insomma, affidarsi alla tenuta del soft-law significa rinunciare alla sicurezza giuridica e, in fin dei conti, rimanere in balia dell’altrui benevolenza. Per questo si può dire che con i loro impegni politici la Commissione e l’Eurogruppo siano giunti solo a metà del guado. Per fugare i dubbi residui meglio sarebbe uscire dalle ambiguità del soft-law ed imboccare la via maestra, ovvero trasporre in un regolamento i contenuti della lettera dei Commissari. Non sembra una strada accidentata, poiché per sospendere ad hoc il regolamento 472/2013 è sufficiente adottare un regolamento fondato sulla sua stessa base giuridica (l’art. 121(6) TFUE), che prevede il ricorso alla procedura legislativa ordinaria (approvazione di Parlamento europeo e del Consiglio a maggioranza qualificata). É una strada già percorsa tantissime volte nella storia dell’integrazione europea, assolutamente spedita se c’è (come sembra) largo consenso nel Consiglio. L’iniziativa legislativa è prerogativa della Commissione (art. 17(2) TUE) e il Parlamento europeo la può sollecitare (art. 225 TFUE): Gentiloni e Sassoli, cosa aspettate?
Solo uno spunto. Il prestito del MES sotto forma di PCS, 36 miliardi da restituire in 10, comporterebbe una rata annuale di poco più di 3,6 miliardi , considerando interessi bassissimi (almeno di 400 milioni di euro più bassi rispetto all’emissione di debito statale). 3,6 miliardi sono poco più del bilancio annuale del Comune di Firenze. Per cui è estremamente probabile che lo Stato non abbia difficoltà alcuna a rimborsare la rata annuale. Se non forse in grado il problema sarebbe molto più esteso e dirompente del PCS. Ripagando con facilità, è ulteriormente molto improbabile che il MES imponga un piano di aggiustamenti a uno Stato che regolarmente rimborsa le rate del prestito. Per cui, se da un lato pare scorretto ritenere il prestito formalmente libero da ogni condizione e quindi logico chiedere una modifica del regolamento, dall’altro lato sembra un po’ forzato prefigurare, nella dimensione pratica ragionevolmente prevedibile, che l’Italia resti rimessa alla benevolenza altrui.
Un altro spunto. Bisogna tener conto del fatto che qualsiasi entità di prestito sotto forma di PCS sarebbe un debito per l’intero importo ma il debitore incasserebbe una cifra decurtata dal costo una tantum 0,25% calcolato sull’intero importo, all’atto della erogazione. L’aggravio di questo 0,25% è in rapporto con la durata del prestito. Meno durasse il prestito e più risulterebbe pesante l’aggravio.