Rifinanziamento della sanità pubblica e Mes: un caso di liaisons non così tanto dangereuses

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di Camilla Buzzacchi

La chiara e ragionevole analisi dell’esperto di policy Bruno Dente Dopo il corona virus. Che fare del sistema sanitario? Ovvero le possibili conseguenze strutturali dell’epidemia, apparsa su Welforum in questi giorni offre spunti veramente interessanti per una riflessione sul valore costituzionale più in gioco in questa tragedia globale – il diritto alla tutela della salute. La sua salvaguardia pone questioni complesse agli studiosi di politiche pubbliche e, di conseguenza, a quelli di diritto costituzionale che, muovendosi tra disposizioni quali gli artt. 32, 81, 97, 117 e 119 Cost., sono chiamati ad individuare le corrette soluzioni giuridiche di finanziamento e di organizzazione affinché la risposta amministrativa sia adeguata e l’effettività del diritto sia assicurata.

Può essere utile riepilogare i nodi che sono emersi in questo passaggio, per effetto del quale il sistema sanitario è apparso – nelle analisi di coloro che in fondo lo ritengono adeguatamente impostato – afflitto da criticità e bisognoso di correzioni e miglioramenti; e destinato – nelle analisi di coloro che propugnano invece il superamento dell’assetto istituzionale vigente – ad un più drastico ripensamento, che potrebbe necessitare addirittura di una revisione costituzionale che riporti allo Stato la competenza. Esponenti di tutte le forze politiche che sostengono l’attuale governo – PD, IV e M5S – hanno presentato proposte in tale direzione.

In merito alla seconda posizione, le indicazioni che provengono dalla Corte costituzionale con le sentt. n. 169/2017 e 62/2020 sono già formulate con la necessaria autorevolezza nel senso di un sistema che è bene che continui a funzionare sulla base di due livelli di governo. Con riferimento alla prima posizione, si può invece segnalare che l’attuale emergenza ha portato in evidenza anzitutto questioni di insufficiente finanziamento: problema che era già ampiamente noto prima degli eventi che hanno creato un’eccezionale pressione sulle strutture sanitarie dei sistemi regionali, ma che ora appare nella sua drammatica evidenza.

La necessità di continuare a fronteggiare in maniera adeguata una situazione di pandemia, che potrebbe proseguire per un tempo considerevole, solleva più che mai l’interrogativo circa le risorse finanziarie: esse dovranno essere maggiori di quanto siano state negli ultimi anni di programmazione nei bilanci pubblici – dello Stato e delle Regioni – per assicurare prestazioni collegate ai livelli essenziali delle prestazioni e anche prestazioni straordinarie, funzionali alla ricerca e alla creazione di nuove strutture, che potranno concorrere ad affrontare questo imprevisto attacco alla salute della collettività. Il riferimento è alla ricerca scientifica che in tutti i laboratori delle università e di altri enti si sta facendo per studiare il vaccino, nonché cure per aggredire il virus: sperimentazioni, e successivi produzioni a livello di industria farmaceutica, che costano. Ma il riferimento è anche alle strutture che sono state allestite in via di urgenza, e a questo proposito si pensi solo ai molteplici reparti ospedalieri costruiti con modalità alternative nelle fiere di Bergamo e Milano e in altre aree di varie province lombarde. È evidente che queste attività rappresentano oneri pubblici che non erano stati preventivati, rispetto ai quali occorrerà domandarsi da dove si potranno attingere le ingenti risorse che li potranno garantire.

Ma oltre all’enorme tema delle risorse, l’altro argomento sul tavolo è quello dei modelli sanitari da premiare per assicurare modalità di cura efficaci ed adeguati alle esigenze, che non saranno solo quelle legate all’epidemia: fra l’altro quest’ultima ha colpito con particolare letalità tutti coloro che già avevano patologie in atto, e la circostanza conduce ad auspicare, anche da parte di chi non ha particolari competenze a riguardo, che il servizio sanitario sia rafforzato in maniera tale da assicurare cure più efficaci agli assistiti. La vicenda che si sta vivendo ha portato in primo piano questioni di organizzazione sanitaria, posto che ora ci si sta domandando in misura crescente se i diversi sistemi regionali siano stati tutti ugualmente capaci di rispondere brillantemente alle inaspettate necessità che si sono presentate e che hanno richiesto soluzioni che, da Regione a Regione, sono state predisposte secondo schemi organizzativi che le medesime Regioni avevano già scelto e sviluppato in regime ordinario e che, in regime straordinario, hanno probabilmente dato luogo a dinamiche e a risultati fortemente divaricati. A posteriori gli esperti potranno pronunciarsi con dati più obiettivi sulla resa di tali modelli organizzativi rispetto alla strategia di reazione all’emergenza Covid 19, ma già ora appare evidente che la centralità nuovamente assunta dagli apparati della sanità pubblica impone una riflessione, e successive scelte, circa le modalità e le strutture di intervento che occorrono per rispondere appropriatamente a quanto la Costituzione impone: tutelare la salute delle persone sulla base del principio di eguaglianza.

E allora ecco che le riflessioni di uno studioso di policy appaiono di notevole utilità. Bruno Dente suggerisce che l’epidemia può essere «l’occasione per fare qualche cosa di importante, se non altro perché avrà potenzialmente l’effetto di far aumentare le risorse economiche a disposizione della sanità in maniera molto significativa»; e che occorre usare bene le risorse, nel senso di «scegliere una strategia, definire delle priorità e mettere in campo le azioni adeguate a realizzare il progetto».

L’analisi parte dalla situazione attuale, che è quella di un sistema pensato a partire dall’approccio dominante, che viene identificato come quello centrato sul paziente e sui suoi bisogni sanitari: «dato lo sviluppo attuale delle life sciences, esso ha i suoi punti alti nella medicina specialistica e negli ospedali». Con riferimento alle necessità dell’emergenza, la riflessione dello studioso evidenzia i limiti di tale assetto, in alternativa al quale essa prospetta un differente modello, in particolare un community based approach che limiti al massimo l’ospedalizzazione. Essa raccomanda dunque una trasformazione profonda del sistema durante le fasi acute della crisi, che permetta di elaborare gli interventi di cura che occorrono nell’immediato; ma che consenta anche di valutare le scelte da compiere per un sistema di sanità pubblica che nel futuro risponda al meglio alle sfide di domanda di salute, a cui devono seguire risposte di politica pubblica che la Costituzione affida alle istituzioni dello Stato centrale e del territorio.

Il modello indicato è, con una formula tanto sintetica quanto efficace, di un’organizzazione sanitaria «più efficace e più equa attraverso la costruzione di forti reti territoriali». L’analisi di policy recepisce infatti l’apporto scientifico che sostiene la necessità di potenziare la medicina territoriale, quando invece il sistema sanitario attuale è troppo squilibrato sul lato degli ospedali: «l’attuale pandemia rappresenta una finestra di opportunità. Essa attira l’attenzione sulla necessità di sviluppare un sistema sanitario territorializzato, anche ma non solo per combattere efficacemente le future emergenze sanitarie». Si aggiunge che le due strade – di un assetto fondato sugli ospedali ed un altro a partire da strutture disseminate sul territorio – sono alternative: prepararsi a gestire le future emergenze – ma anche l’ordinaria sanità – attraverso forti reti territoriali e assistenza domiciliare richiede competenze e progettualità, che devono essere immediatamente messe in campo per segnalare un mutamento netto di politica pubblica. Tale strada viene reputata più congeniale anche per assicurare il principio cardine del disegno costituzionale – l’eguaglianza – posto che da una protezione della salute che raggiunge le persone sul territorio si otterrebbe «un miglioramento della eguaglianza attraverso la possibilità di raggiungere di più o meglio chi si trova in situazione di difficoltà grave e non ha accesso – salvo il pronto soccorso – all’assistenza di cui avrebbe bisogno».

Si mette dunque in conto che da questa scelta possano derivare vantaggi dal punto di vista sanitario e della qualità della vita dei cittadini. Ma certo, il percorso non è semplice né banale, perché implica definire «cosa si intende per sistema territoriale sanitario “ideale”: quali specialismi bisogna portare in periferia e quali mantenere accentrati nelle strutture ospedaliere». Per avviare e costruire tale processo di rafforzamento delle reti assistenziali territoriali il suggerimento proposto è di partire dal livello più vicino ai cittadini, e dunque «i Comuni, il mondo del privato sociale, il terzo settore (le fondazioni di comunità), i soggetti privati (dal welfare aziendale alle strutture sanitarie e sociosanitarie)» che al meglio possono riconoscere i bisogni e predisporre le soluzioni.

In assenza di competenze di organizzazione sanitaria necessarie ad avallare questa opzione, non si ha la presunzione di stigmatizzare un paradigma di sanità – si potrebbe dire quello lombardo – e di enfatizzare la riuscita di altri – quello veneto, toscano ed emiliano – che sembrano avere dimostrato migliori capacità nel ridimensionare il contagio. Tuttavia si può aggiungere che un modello che investe su presidi di assistenza territoriale sembra tra l’altro idoneo a riconfermare la scelta per la regionalizzazione del servizio: non si riesce neanche a immaginare un sistema basato su una rete di entità pubbliche e private collegate in un ambito geografico, che non venga affidato ad un governo regionale. Tra l’altro le tecnologie sembrano rendere possibili con sempre più effettività meccanismi di cura a distanza – la c.d. telemedicina – che da un lato sono indubbiamente funzionali all’obiettivo, ma che al tempo stesso non possono prescindere da assetti organizzativi circoscritti, che fanno riferimento a territori dove non deve comunque perdersi quell’elemento di personalizzazione, che è tipico delle prestazioni e dei servizi sociali.

Ma rimane l’altro nodo ingombrante per transitare allo scenario prospettato: quello delle risorse.

E qui viene francamente da chiedersi perché il presente dibattito sulla struttura sanitaria ideale non venga declinato con l’altro, quello che ora sta svolgendosi con particolare veemenza in merito alle risorse con le quali finanzieremo la ripresa delle attività del Paese. Tra i canali di alimentazione di tali risorse potrebbe esserci anche il tanto temuto e (da molti) deprecato Meccanismo europeo di stabilità (Mes), che potrebbe fornire significativa (forse fino a 40 miliardi…) liquidità per spese unicamente in materia sanitaria. Come ha ricordato il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, «il Mes non è più il fondo salva stati del passato, bensì un fondo salva salute il cui utilizzo prevede come unico vincolo il fatto che le sue risorse siano usate per contrastare il virus. Non vi sono condizionalità aggiuntive»: una volta verificata la fondatezza del nuovo meccanismo, esso si pone come una delle preziose e necessarie vie di afflusso di capitali – si tratterebbe di denaro prestato dagli investitori dei mercati finanziari, come quello di ipotetici titoli emessi a livello sovranazionale garantiti dal bilancio europeo, di cui si auspica il varo – che avrebbe il vantaggio di avere una destinazione vincolata, quella sanitaria. Sul tema si rimanda a tutte le considerazioni e le riserve espresse in questo forum con riguardo ai rischi delle condizionalità che potrebbero essere connessi a questa linea di finanziamento, e tuttavia pare di poter ritenere che i due temi di una revisione dell’intervento pubblico sanitario e della richiesta di assistenza finanziaria al Mes debbano essere posti in collegamento e valutati nella loro fattibilità. Come osserva ancora Bruno Dente, «se il nostro governo riuscisse ad uscire da un dibattito assurdo sul Mes, la possibilità di finanziare a basso costo investimenti sanitari enormi sarebbe dietro l’angolo»: con il vantaggio ulteriore di indirizzare l’impiego delle nuove disponibilità a finalità rigorosamente sanitarie, evitando dunque il rischio di dirottarle, secondo costumi tipicamente nazionali, verso altri utilizzi. Pare impossibile che non si veda l’opportunità di rigenerare la sanità pubblica con tale strumento, rifuggendo da incrostazioni ideologiche che, una volta accertata la nuova formulazione delle modalità di concessione dei finanziamenti, appaiono in larga misura superate.

Per concludere, risulta singolare la diffusa indifferenza – nel dibattitto a tutti i livelli – per la specifica funzionalità del Mes in versione rivista: in un Paese duramente colpito dall’epidemia, nel quale la risposta sanitaria c’è stata, con sforzi soprattutto umani, per i quali le parole di apprezzamento non bastano, ma nel quale la politica sanitaria si è dimostrata da rimeditare, non si comprende la noncuranza che istituzioni e studiosi dimostrano per una modalità di rigenerazione dell’apparato preposto alla tutela della salute, che diversamente forse non potremmo realizzare. Con un atteggiamento di ingiustificata e incomprensibile autosufficienza si discorre in tante sedi di un’inversione di rotta della tendenza di tagli alla sanità pubblica, senza interrogarsi sulle fonti con le quali ripristineremo le risorse. Si spera che tale incapacità di impostare le scelte pubbliche non sia dovuta alla miopia di ritenere che il diritto alla salute possa essere di nuovo posto in secondo piano – non diversamente da quanto si fa da sempre, e ora più che mai, per il diritto all’istruzione – una volta che la battaglia alla nuova ed ennesima influenza di questo secolo sarà superata: la prima grande lezione che ci deve impartire questo passaggio epocale è il recupero della centralità dei diritti sociali, e dei costi che essi richiedono perché le prestazioni pubbliche possano soddisfare i correlati bisogni. Perché, come ci ha ricordato il giudice delle leggi, «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» (Corte costituzionale n. 275/20616).

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