Il dibattito italiano sulle risorse comuni per far fronte alla recessione causata dall’epidemia è profondamente viziato. Questo riguarda non solo le proposte ufficiali del governo, le declamazioni sui media, la polemica dell’opposizione, ma anche la maggior parte dei commenti giornalistici e di numerose analisi di esperti. Nelle prese di posizione degli economisti (eccetto per esempio l’eccellente Lavoce.info) manca un’adeguata comprensione delle implicazioni o dei presupposti istituzionali e costituzionali. Le analisi giuridiche si appiattiscono facilmente sugli aspetti puramente finanziari (costo del debito, meccanismi esistenti) o peggio sulla narrativa politica fuorviante.
Questo articolo che sostiene l’equivalenza fra eurobond e recovery fund (o bond) ne è l’ennesima conferma. E lo fa sotto il ritratto di Luigi Einaudi e citando Robert Schuman!
Contrariamente alla tesi dell’autore si tratta di due cose completamente diverse. La confusione occulta il punto cruciale che veramente conta, di cui nessuno (in questo paese) osa parlare apertamente.
Da un lato ci sono gli Eurobond rivendicati a gran voce dal governo italiano, titoli emessi dai singoli stati sotto la garanzia reciproca di tutti. La presidente della commissione li secondo me giustamente squalificati come mero slogan (vuoto). Si tratterebbe di debito comune, fungibile, emesso da tutti i paesi partecipanti alle stesse condizioni di mercato (almeno se i “terms and conditions” fossero scritte bene e che nessuno stato metta poi in dubbio la solidarietà promessa). La solidarietà sarebbe incondizionata nei limiti dell’importo emesso. Anche l’uso delle risorse raccolte da ogni stato sarebbe per definizione incondizionato: ogni governo deciderebbe secondo i suoi processi costituzionali (fra cui le regole di bilancio, eventuali impegni con paesi terzi) e con la sua maggioranza parlamentare, come spendere e investire la quota sua delle risorse raccolte insieme secondo regole comuni. Non ci sarebbero strumenti per costringere i paesi a una presunta disciplina comune oltre quelli già esistenti. I limiti di bilancio del patto di stabilità sono stati sospesi e quando erano in vigore sono stati solo mollemente rispettati dall’Italia (e da altri paesi). Le politiche fiscali italiane sono state clamorosamente divergenti rispetto al consenso europeo.
Dall’altro lato ci sono quello che anche Carlo Cottarelli ha chiamato impropriamente eurobond, ma che conviene chiamare diversamente perché si tratta di risorse non solo “raccolte insieme” sul mercato attraverso emissioni comuni, ma pure “spese insieme”. Sono queste le sue parole, in un recente videoclip disponibile online. Che cosa cambia rispetto all’ipotesi precedente degli eurobond? Prima, ora non sono più gli stati che emettono, ma un ente terzo, collettivo. Chiamiamolo per comodità Recovery fund. Che cos’è? Assomiglia al MES, che non emette, ma che ha ricevuto un capitale di dotazione dagli stati partecipanti. Assomiglia anche al bilancio dell’UE, alimentato da contributi (calcolati in un certo modo) degli stati membri, entro limiti complessivi e per materie decisi periodicamente all’unanimità, e speso secondo il metodo comunitario. È questa la seconda differenza: una procedura comune per decidere l’utilizzo. Il MES è un mini-budget, dedicato a certi scopi, dei 19 paesi dell’eurozona, una frazione di coloro che, in base ai trattati (che sono in ultima analisi accordi internazionali, particolarmente impegnativi), alimentano il bilancio dell’UE.
Gli stability bonds del 2012, un progetto ambizioso e controverso, rimasto largamente indeterminato, facevano parte di questa categoria. L’ente emittente doveva essere un’European Debt Agency, un vero e proprio Tesoro europeo, finanziato da contributi e impegni di versamenti futuri degli stati. Perché non sono stati adottati, emessi e reinvestiti? Perché era troppo complicato, anzi difficile, definirne le condizioni non di emissione, nemmeno di copertura, ma di utilizzo: “As underlined by the president of the European Council in his report Towards a Genuine Economic and Monetary Union of 26 April 2012, stability bonds can only be issued as long as a robust framework for budgetary discipline and competitiveness is in place to avoid moral hazard and foster responsibility and compliance. Progress in the pooling of decisions on budgets would be accompanied with commensurate steps towards the pooling of risks. The Committee agrees that the building blocks of this process should include integrated frameworks for the financial sector, budgetary matters and economic policy. These should be accompanied by a coherent and complementary framework of democratic legitimacy and responsibility at European level, without exacerbating austerity. The EESC proposes that the risk of moral hazard should be assessed closely by the Commission so that appropriate solutions can be found within this architecture.”
I lettori seri si renderanno conto della gravità di queste difficoltà che non devo commentare.
Le stesse difficoltà ci aspettano ora. La leggerezza di Carlo Cottarelli che non evidenzia la problematicità nascosta nelle parole “speso insieme” crea un’immensa illusione. Molto peggio di lui, Irene Tinaglia che (mi sembra sabato a Coffee Break di La7) difendendo il voto del suo partito al PE sul progetto di recovery-bond risponde alle critiche degli euroscettici (presenti in trasmissione) che insistono astutamente sulla condizionalità dello strumento, che a Strasburgo “non si è parlato di condizioni”. Questo è gravemente irresponsabile.
L’articolo commentato banalizza, su un forum di diritto costituzionale se avevo capito bene, l’intera problematica, ignora le differenze costituzionali macroscopiche fra i due strumenti e occulta il nodo della questione. Quando questo aspetto emergerà nel dibattito pubblico prossimo, la destra nazional-reazionaria antieuropea potrà esultare denunciando l’inganno. Perché o è inganno, o incoscienza colpevole, o un miscuglio dei due.
È il solito discorso: tutti i mezzi sono permessi per attingere a nuove risorse da elargire fra le clientele, mentre il modo in cui saranno utilizzate rimane una questione secondaria, tanto a rimborsarle saranno altri.
Gli altri paesi da anni discutono invece come meglio spendere senza sprechi le risorse pubbliche limitate disponibili e come attrarre verso di loro nuove risorse private a beneficio di tutta la comunità. Perché non imitarli e occuparsi di questo? Non bisogna nascondere che risorse ottenute con la garanzia degli altri stati non possono essere spese senza il monitoraggio continuo di tutti. Questo implica la rinuncia ad una quota di sovranità fiscale (in senso molto ampio, di politica economica e finanziaria). La rinuncia vale per tutti, ma incide molto diversamente in paesi divergenti e inadempienti rispetto a quelli virtuosi e convergenti.
PS. Scrive l’autore di questo contributo una premessa: “Posso solo commentare, perché i miei articoli sono censurati dalla redazione. Commento perché non posso accettare l’interpretazione del dibattito sugli eurobond promozionata da questo forum. Premetto che oltre alle mie lauree e titoli post-laurea in filosofia e in giurisprudenza ottenuti alle università di Paris IV e I mi sono diplomato in Istituzioni e finanze dell’UE. Circa trent’anni fa sono stato il responsabile giuridico di una banca attiva nell’emissione di quello che allora erano gli eurobond. Abbiamo emesso fra l’altro per numerose banche e multinazionali italiane, e per la BEI. Questo per rendere plausibile che so di che cosa sto parlando. Provo ad essere breve.” Credo che sia compito di chi gestisce un giornale on-line decidere cosa e come pubblicare sulle sue pagine. Quanto alla censura, i dati sono chiari: a nome di Henri Schmit sono stati ricevuti ben 103 commenti, tutti alquanto corposi, e tutti tempestivamente pubblicati. La fecondità della penna dell’autore è mirabile, ma è anche alquanto pesante da gestire, così come è pesante da sopportare la sua abitudine ad alzare il ditino critico su quanto scrivono gli altri. Sbagli tutti ne fanno: per esempio, Henri Schmit sbaglia ad attribuire a Luigi Einaudi – alzando il ditino censorio – la fotografia che decora il contributo di Cecchinato oggetto delle sue critiche: è una fotografia ufficiale proprio di Robert Schuman.
Roberto Bin
Questo pezzo è la trasformazione decisa dalla redazione di un mio commento sotto un altro articolo. La pubblicazione intende disarmare l’accusa di censura delle mie analisi e “opinioni”. L’accusa riguarda tuttavia un’altra materia. Sostengo infatti praticamente da solo la tesi che la legge per eleggere democraticamente un’assemblea composta da rappresentanti liberi (art. 67) deve rispettare il diritto degli elettori di sceglierli individualmente. La regola vale anche se per rispettare l’obiettivo di una rappresentanza equa la legge usa liste elettorali. La differenza fra le due materie è notevole. Le rivendicazioni strampalate del governo italiano relativa ai fantasmagorici euro-bond senza condizioni, non adeguatamente analizzate dagli esperti e tifosi nazionali, crea solo danni alla reputazione del paese, ignorante, mendicante, perdente, incapace di formulare proposte convincenti. La correzione degli errori è, infatti, assicurata dai partner europei. In materia elettorale invece, in assenza di un giudice superiore effettivo (la Corte di Strasburgo ha infatti sdoganato l’aberrazione normativa e la Commissione di Venezia non osa andare contro gli interessi dei suoi azionisti, i grandi partiti nazionali), la violazione rimane impunita. Le conseguenze sono, secondo le mie analisi “censurate” (p.es. La garanzia dei diritti elettorali fondamentali, 2017, articolo disponibile solo sulle mie pagine academia.edu), incalcolabili. La degenerazione della rappresentanza politica e la debolezza del governo democratico sono davanti agli occhi di tutti.
Chiedo venia per la confusione delle foto. Non ho mai contestato il diritto irrinunciabile della redazione di scegliere articoli e autori. Lei ha scelto di censurare il mio articolo dissenziente su un punto preciso di diritto elettorale e di pubblicare gli articoli sugli euro-bond da me criticati. Ne ho preso atto e non più proposto alcun articolo alla pubblicazione su LaCostituzione.info.
Capita a tutti sbagliare. Si corregge. È però cosa molto diversa non riconoscere di aver sbagliato. Ancora peggio cambiare idea e fingere che sia sempre la stessa. O dopo aver cambiato vendere le idee altrui per le proprie. Non riconoscere il contributo altrui alle proprie conclusioni è sempre disonesto, poco importano le ragioni.
Il primo ministro, il governo, i media e buona parte dei commentatori si trovano ora in una situazione di questo tipo con gli euro-bond. La verità importa poco, solo se tutto è rapporto di forza.
Con i miei commenti agli articoli sugli euro-bond intendevo rivelare un grave problema costituzionale: la condizionalità delle risorse europee è sinonimo di cessione di quote di sovranità, per tutti. Tale cessione non è però simmetrica per paesi più virtuosi e convergenti e per paesi divergenti.
Per onestà intellettuale ho citato una fonte che mi ha aiutato a migliorare la comprensione della problematica: Dieter Grimm, Europa ja – aber welches? 2016, e in inglese: The Constitution of the European Democracy, 2017.
Quando (secondo la stampa) la cancelliera Merkel sostiene che, per realizzare il progetto (del governo italiano) degli euro-bond, ci vorrebbe una revisione dei trattati, non intende sollevare un problema tecnico che richiede troppo tempo, ma mette in evidenza un argomento di natura COSTITUZIONALE, cioè di teoria costituzionale democratica -non di una costituzione in particolare- e di un’interpretazione corretta dei trattati europei. Le istituzioni europee sono senz’altro specifiche, cioè una costruzione originale fra realtà federale e accordi internazionali, ma in assenza di un’autentica democrazia europea (una rappresentanza politica, elezioni democratiche, un’opinione pubblica articolata, trasparente e libera, un governo responsabile davanti alla rappresentanza), è la natura internazionale che prevale, cioè il potere e la responsabilità ultima degli Stati, del Consiglio Europeo, e attraverso lui dei governi e dei parlamenti nazionali quali unici autentici rappresentanti democratici dei popoli europei. Gli articoli da me commentati si collocano al di fuori di quest’analisi costituzionale. Dottrinalmente sarebbero solo criticabili, se fossero giochetti accademici, rivendicazioni moralistiche esagerate o semplici prese di posizione nella lotta politica nazionale e europea. Politicamente sono purtroppo nefasti. Commettendo per ignoranza o per cinismo gli stessi errori interpretativi, il governo si è cacciato in una situazione poco invidiabile di cui uscirà inevitabilmente da perdente, anche se si finge soddisfatto. Il dibattito pubblico è viziato da preconcetti che deviano l’attenzione dalle vere responsabilità. E non esiste nel paese, a quanto pare, dottrina (di diritto costituzionale e europeo) alternativa. Questa lacuna è più imperdonabile degli errori di valutazione dei politici.
Gentile dottore, giusto perché perché tirato direttamente in ballo mi permetto due repliche alle sue osservazioni. Il pezzo con cui abbiamo cercato di spiegare che “degli” Eurobond esistono già (il pezzo dice “degli” nel senso di “una specie di”, “un tipo di”) non sovrappone le emissioni comuni effettuate per il tramite di enti partecipati dagli Stati membri (BEI, MES, etc.) con altre forme ipotizzabili. Il pezzo dice solo che, “a ben vedere”, delle emissioni congiunte, a tasso unitario e con la sottostante garanzia degli Stati membri costituenti esistono già da tempo e contribuirebbero oggi a fornire le risorse per superare la crisi. Del resto, oggi non esistono altri tipi di “Eurobond” e le ipotesi che si sono affacciate negli anni sono diverse e non si limitano alla forma di condivisione da lei tracciata (emissioni nazionali con garanzia sottostante di ciascuno Stato membro reciprocamente in favore di tutti gli altri e con piena libertà e discrezionalità di spesa dei fondi raccolti). Questa di una mutualizzazione assoluta e libera da interferenze rispetto all’impiego dei fondi mi pare onestamente la proposta più utopica che si possa ipotizzare oggi e forse anche la più ingiusta (al di là della necessità di cambiare alcune norme dei Trattati considerate norme cardine). Altre proposte prevedono che dei bond comuni vengano emessi da una apposita agenzia (e non dai diversi Stati membri) con una sottostante garanzia degli Stati che potrebbe limitarsi a solo parte dell’emissione, consentendo spazi per un minor premio al rischio per lo Stato considerato più sicuro (Charles Wyplosz). C’è poi l’ambiziosa proposta Delpla/von Weizsäcker, che scinderebbe le emissioni in due: blue bond mutualizzati sino ad un certo ammontare del prodotto interno di ciascuno stato e red bond nazionali per il finanziamento di altre esigenze di spesa. Non mi pare davvero ipotizzabile, in ogni caso, una forma di mutualizzazione diretta (Stati garanti reciprocamente e direttamente in caso di default di un altro Stato) se non nell’ambito di una stretta sorveglianza tesa ad avvitare fenomeni di azzardo morale. Il Libro Verde citato nel pezzo a tal proposito afferma che “Qualunque tipo di stability bond dovrebbe essere accompagnato da una sorveglianza di bilancio e da un coordinamento politico molto più rigorosi, così da evitare il rischio morale e rendere sostenibili le finanze pubbliche e sostenere la competitività e la riduzione di dannosi squilibri macroeconomici”.
L’emissione di titoli comuni intermediata istituzionalmente da veicoli dotati di appositi regolamenti anche nella fase di reimpiego delle somme raccolte (ossia la forma di “Eurobond” di cui abbiamo parlato nel pezzo a proposito di Mes, Bei, etc.) parrebbe oggi l’unica forma attuabile di “Eurobond”. Resta da vedere a cosa darà vita il Consiglio a seguito anche della risoluzione del Parlamento europeo sul c.d. Recovery Fund. Emissioni che insistano direttamente sul bilancio europeo per finanziare settori di spesa pubblica dei singoli Stati non si comporterebbero tanto diversamente dal sistema dei fondi europei di coesione. Qui abbiamo visto che il dibattito si è spostato sulle modalità di versamento dei fondi agli Stati: prestiti o erogazioni a fondo perduto. Un dilemma che solo la politica potrà sciogliere. Personalmente, pretenderei che ogni versamento a fondo perduto (grants) fosse accompagnato da una precisa sorveglianza sulle modalità concrete di impiego dei fondi.
Gentile avvocato Cecchinato, Apprezzo il tono moderato. Se ho reagito con un eccesso di veemenza, chiedo comprensione e clemenza. Credo che a volte sia doveroso alzare il tono. Chi non ha voce, ma non intende arrendersi, non ha altra scelta che rovesciare il tavolo. Si tratta di troncare un discorso (condiviso da politica, opinione pubblica e accademia) fondato su presupposti sbagliati, di diritto (quello che è l’UE, quello che prevedono e permettono i trattati, quello che insegna la teoria costituzionale democratica) e di fatto (come avrebbero reagito gli altri paesi e i mercati), e che in ultima analisi favorisce, in un senso o nell’altro, le forze politiche anti-europee in Italia. Il problema discusso è davvero complesso: finanziario-economico, di diritto europeo e di diritto costituzionale. La maggior parte dei giuristi facilmente si arrendono davanti alle considerazioni finanziarie e di mercato. Gli economisti, vice versa, tendono a ignorare l’aspetto costituzionale (trattati e principi democratici), purtroppo fondamentali. Il problema cruciale è quello del “moral hazard”, del rischio di divergenza fiscale e di abusi o di politiche egoistiche di breve respiro in un paese a danno dei cittadini degli altri paesi. L’emissione attraverso un veicolo (uno strumento come il MES, un fondo strutturale nuovo, qualcosa nel bilancio UE), invece di un’emissione dagli stati membri, come lei giustamente precisa, non risolverebbe il problema (condizioni si o no), ma faciliterebbe semmai l’applicazione delle condizioni. Sono insorto contro la rivendicazione illusoria di una mutualizzazione di nuovo debito solidale (poco importa la forma) da spendere secondo una chiave da determinare (PIL, popolazione, bisogno, richiesta …) da ogni paese, senza condizioni, come meglio crede la maggioranza del momento. Questo non è previsto dai trattati UE, necessiterebbe quindi decisioni all’unanimità, sarebbe inaccettabile per qualsiasi paese membro responsabile (davanti ai propri cittadini-elettori-contribuenti) e distruggerebbe l’UE. Una parziale mutualizzazione suppone condizioni, controlli e sanzioni. Se si scegliesse il trasferimento a fondo perduto (grant), molto gradito da chiunque possa diventarne il beneficiario, invece del prestito, la necessità di condizioni, controlli e sanzioni sarebbe ancora più impellente. Insisto: il problema da me stigmatizzato è costituzionale. I suoi riferimenti nuovi riguardano articoli terzi, interessanti, ma non recenti. Uno dei rari esperti italiani con il quale sono d’accordo è Lorenzo Bini Smaghi, che si esprime attraverso articoli e podcast, ma di tutta evidenza non viene ascoltato dal governo e nemmeno dai giornalisti e da coloro che occupano e media di larga diffusione. Un’analisi in inglese che apprezzo molto e condivido al 99% è quella proposta in un articolo di Guntram Wolff pubblicato il 22 aprile su https://www.bruegel.org/blog/ Blog Post.