L’emergenza epidemiologica da Covid-19, manifestatasi in Italia in tutta la sua propria dirompente tragicità nelle ultime settimane, è stata affrontata, dal punto di vista esclusivamente e squisitamente giuridico – costituzionale e per ciò che riguarda la limitazione di alcuni preminenti diritti di libertà (tra i quali spicca quello di circolazione e soggiorno), con l’emanazione… di un atto avente forza di legge, decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, in seguito, nella Legge 5 marzo 2020, n. 13 e con l’adozione di una serie di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (in particolare e relativamente allo stesso oggetto, di n. 7 D.P.C.M. – 23 e 25 febbraio, 1, 4, 8, 9 e 11 marzo 2020).
Nello specifico e per quanto qui di interesse, il D.P.C.M. del 1 marzo 2020 ha disposto, «allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus SARS-COV2-2019/2020», per n. 11 Comuni compresi tra Lombardia e Veneto, il «divieto di allontanamento…di tutti gli individui comunque ivi presenti», nonché il «divieto di accesso» nei medesimi territori; successivamente, il D.P.C.M. del 8 marzo 2020, ha previsto, «allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus Covid-19 nella Regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio dell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia», all’art. 1, comma 1, lett. a), di: «evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza»; il giorno seguente, 9 marzo 2020, sempre con lo strumento del D.P.C.M. ed «allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus», sono state, poi, «estese all’intero territorio nazionale» (art. 1, comma 1) le misure di cui all’art. 1 del D.P.C.M. del 8 marzo 2020, ivi compresa, quindi, quella innanzi trascritta e concernente la compressione del diritto di libertà di circolazione e soggiorno sancito dall’art. 16 della Costituzione.
Ciò premesso, le considerazioni che seguono mirano a verificare l’adeguatezza degli strumenti normativi adoperati per regolare la situazione di emergenza venutasi a creare e, nella specie, idonei a restringere la libertà di circolazione e soggiorno dei soggetti destinatari delle disposizioni ivi contenute, in confronto alla gerarchia delle fonti dell’ordinamento nazionale, all’istituto della riserva di legge ed al principio di legalità.
L’art. 16 della Costituzione, tra l’altro, stabilisce che «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza»; la presenza nella disposizione citata della riserva di legge, rafforzata per contenuto e la contestuale assenza, nella stessa, dell’ulteriore garanzia della riserva di giurisdizione (imposta, invece e per esempio, nell’art. 13 della Costituzione), inducono a ritenere ammissibile, previa autorizzazione rilasciata e contenuta in una fonte primaria, l’intervento nella materia de qua anche dell’autorità amministrativa, la quale, invero, potrà adottare atti sempre e comunque assoggettabili al controllo giurisdizionale, seppure a posteriori (Corte Cost., Sent. 30 giugno 1964, n. 68).
Nel caso, il D.L. 6/2020 e la successiva Legge di conversione, con modificazioni, n. 13/2020 paiono adempiere, sufficientemente ed adeguatamente, al ruolo di fonte primaria attributiva della potestà normativa in favore dei D.P.C.M. in conseguenza dei primi adottati; peraltro, non appare secondario sottolineare, per quanto appresso si dirà, che la modificazione più rilevante operata in sede di conversione dell’anzidetto D.L. è stata l’introduzione al comma 1 dell’art. 1 ed al comma 1 dell’art. 2 della locuzione «con le modalità previste dall’art. 3, commi 1 e 2» (ndr. del ridetto atto avente forza di legge, poi convertito), in entrambi i casi dopo le parole «le autorità competenti».
Questa ultima notazione, infatti, consente di esaminare un ulteriore punto della questione; disciplinando le “modalità” di adozione dei D.P.C.M. consequenziali all’emanazione della fonte autorizzativa del potere normativo del Governo, l’art. 3, comma 1, del D.L. 6/2020, poi convertito nella L. 13/2020, ha inteso derogare all’ordinario procedimento di formazione dei regolamenti, previsto dall’art. 17 della L.400/1988, ciò comportando il positivo superamento dello scrutinio formale circa la legalità dei D.P.C.M., i quali, infatti, sono stati adottati in ossequio all’anzidetto dato dispositivo («visto il decreto-legge 23 febbraio 2020, n.6…e, in particolare, l’articolo 3»), vale a dire «Su proposta del Ministro della salute, sentiti i Ministri dell’interno, della difesa, dell’economia e delle finanze, nonché i Ministri dell’istruzione, della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti, dell’università e della ricerca, delle politiche agricole alimentari e forestali, dei beni e delle attività culturali e del turismo, del lavoro e delle politiche sociali, per la pubblica amministrazione, per gli affari regionali e le autonomie, nonché sentiti(o) il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle regioni (ndr. per il solo D.P.C.M. del 9 marzo 2020) e, per i profili di competenza, i Presidenti delle regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte e Veneto», (nel caso del D.P.C.M. del 8 marzo 2020).
D’altra parte, i D.P.C.M. che rilevano ai fini della presente analisi (quelli adottati, cioè, in data 1, 8 e 9 marzo 2020, tutti limitativi del diritto di libertà di circolazione e soggiorno di cui all’art. 16 Cost.) soddisfano anche il controllo di legalità in ordine alla conformità sostanziale degli atti adottati dall’autorità amministrativa rispetto alla previa disposizione di livello primario attributiva del potere regolamentare; il confronto testuale non lascia adito a dubbio alcuno (forse e persino palesandosi una legittima minore intensità dei precetti contenuti nella fonte secondaria rispetto a quelli autorizzati con la fonte primaria): se, infatti, le lett. a) e b) del secondo comma dell’art. 1 del D.L. 6/2020, prima e della L. 13/2020, poi, affermano, rispettivamente, che tra le misure adottabili, allo scopo di evitare il diffondersi del Covid-19, vi sono il «divieto di allontanamento dal comune o dall’area interessata da parte di tutti gli individui comunque presenti nel comune o nell’area» e il «divieto di accesso al comune o all’area interessata», nel D.P.C.M. del 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a), si prevede, allo scopo di “contrastare e contenere” il diffondersi del virus, di «evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza», mentre con il D.P.C.M. del 9 marzo 2020 vengono estese (art. 1, comma 1) «all’intero territorio nazionale» le misure da ultimo trascritte.
Vi è da aggiungere, ancora e ad ulteriore conforto di quanto innanzi considerato, che la fonte attributiva del potere regolamentare ha inoltre specificato, con riferimento al fatto che misure previste per aree circoscritte del territorio nazionale (dapprima per n.11 Comuni compresi tra Lombardia e Veneto, poi per l’intera Regione Lombardia ed altre province del nord Italia) siano state successivamente estese all’intero territorio nazionale, che le misure di contenimento e gestione dell’emergenza (“adeguate e proporzionate” all’evolversi della situazione epidemiologica) avrebbero potuto riguardare comuni od aree «nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio del menzionato virus» (art. 1, comma 1); così come, con riguardo al medesimo argomento appena innanzi affrontato, la solita fonte primaria autorizzativa dei D.P.C.M. ha pure puntualizzato (art. 2) che «ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da Covid-19», avrebbero potuto adottarsi «anche fuori dei casi di cui all’art. 1, comma 1», cioè a dire e per soli fini di prevenzione, ulteriori misure, anche limitative della libertà di circolazione e soggiorno, avrebbero potuto legittimamente sostenersi, con D.P.C.M., persino in comuni od aree prive di persone contagiate (come nei fatti è peraltro accaduto).
Tanto, per riaffermare che i precetti posti dai D.P.C.M. in parola, non solo hanno seguito l’iter di formazione (derogatorio) stabilito dalla fonte primaria attributiva del potere regolamentare, quanto erano vincolati, sempre in conformità alla ridetta fonte primaria, nel contenuto limitativo del diritto di libertà di circolazione e soggiorno, poi sacrificato per motivi di sanità o di sicurezza; deve soggiungersi, infine, che le disposizioni incidenti sul compresso diritto di cui all’art. 16 della Costituzione risultano determinate nel tempo e, soprattutto, appaiono di natura tecnica (Corte Cost., Sent. 14 marzo 1997, n. 61), adottate cioè «tenuto conto delle indicazioni formulate dal Comitato tecnico scientifico di cui all’art. 2 dell’ordinanza del Capo della Protezione Civile in data 3 febbraio 2020, n.630, nella seduta del 7 marzo 2020» (premessa al D.P.C.M. del 8 marzo 2020) e considerati «il carattere particolarmente diffusivo dell’epidemia e l’incremento dei casi sul territorio nazionale», nonché la necessità di «garantire uniformità nell’attuazione dei programmi di profilassi elaborati in sede internazionale ed europea» (premessa al D.P.C.M. del 9 marzo 2020).
Nessuna lesione del sistema delle fonti, né violazione del principio di legalità può, quindi, riscontrarsi nell’adozione dei D.P.C.M. con i quali è stata ed è regolata l’emergenza da Covid-19.
Ricostruzione interessante e puntuale, ma che mi pare non tenga conto di alcuni aspetti primari. Innanzitutto, se è vero che la Costituzione, art. 16, prevede la possibilità per la legge di limitare i libero spostamenti sul territorio per motivi sanitari, è altrettanto vero che detta previsione limitativa non è prevista in nessun altro punto, sicché, ad esempio, l’art. 4 Costituzione è stato pienamente violato. Di poi, l’art. 2 della legge 13/20 consegna all’esecutivo un potere, nemmeno astrattamente, in bianco ed aperto, con ciò contrastando con la prevista tripartizione dei poteri costituzionali e le previste tutele costituzionali, il tutto solo per citare un paio di questioni che mi pare non siano state adeguatamente valutate e che minano alla base tutto il ragionamento svolto. Con i sensi della mia stima. FM
nello statuto albertino andava bene ma non con la nostra costituzione che deve essere la bussola anche in caso di emergenza