Il dibattito su come far funzionare il Parlamento al tempo del coronavirus dovrebbe affrontare due questioni importanti.
Innanzitutto, va osservato che il Parlamento non è l’equivalente del corpo elettorale. Il grande matematico e uomo politico Condorcet, alla fine del secolo18°, distingueva assemblee elettive da assemblee deliberanti. Il corpo elettorale si reca alle urne e poi torna a casa. Le preferenze individuali di milioni di individui circa i candidati, fra i quali gli elettori possono scegliere, vengono trasformate da un algoritmo, la legge elettorale, in un numero, minuscolo rispetto ai voti espressi, di seggi parlamentari. Il Parlamento, peraltro, non è una istituzione che si limita a votare: delibera, come si suole dire. Cioè discute proposte di legge, le emenda, e trasmette messaggi al pubblico dei cittadini fuori delle aule parlamentari, solo alla fine di tale processo vota. In genere sulla base della maggioranza che è venuta fuori dalle urne (e dagli accordi fra partiti). Il dibattito, la deliberazione, e i compromessi necessari, più ancora che il voto finale sono l’essenza del lavoro parlamentare, che, ricordiamolo, si svolge in larghissima parte nelle Commissioni.
Ridurre al voto la funzione del Parlamento significa trasformarlo in una “piattaforma Rousseau”.
Certo, con futuri sviluppi della tecnologia si potranno forse (?) creare Parlamenti virtuali, dove si fa lo stesso che oggi a Palazzo Madama e a Montecitorio – soprattutto, insisto, nelle Commissioni! Ma per ora questa è fantascienza.
Il secondo punto è che la costituzione italiana, non necessariamente la più bella del mondo – si potrebbe smettere di fare retorica ad ogni piè sospinto ed essere più sobri –, è una delle rarissime costituzioni liberal-democratiche che non presenta norme che modifichino e regolino rigorosamente il funzionamento delle supreme istituzioni in caso di emergenza (Cassese ha ricordato sul Foglio l’assenza di questo termine nel testo della nostra carta).
Oggi in un caso di drammatica emergenza per la salute dei cittadini, e i parlamentari e i membri del governo sono cittadini come tutti quanti, il governo è in certo modo obbligato ad assumere funzioni vagamente paragonabili a quelle della gloriosa magistratura romana della dittatura – quella di Cincinnato, non quella del governo terrorista di Robespierre –, al fine di garantire la salus populi (qui in senso stretto) e la stabilità della costituzione, sospendendo diritti fondamentali, come quello della libera circolazione e della libertà del lavoro e dell’impresa.
La costituzione tedesca del 1949 grazie ad una importante revisione del 1968 ha introdotto norme precise e rigorose relativamente al funzionamento delle istituzioni in caso di impossibilità da parte del Parlamento di svolgere le sue attività ordinarie (art. 115a-l).
La riforma tedesca fu fatta in previsione di un possibile attacco militare, ma un attacco di virus può produrre problemi simili in tempo di pace.
Per ora il governo ed il Parlamento si stanno muovendo bene, per come è consentito loro dalle norme esistenti, e gli altri paesi, come Francia e Spagna, dopo esitazioni, si stanno orientando sulla stessa linea.
Il voto a distanza dei parlamentari in questo momento è inevitabile, l’alternativa è bloccare la macchina istituzionale. Questo non possiamo permettercelo.
Poi, quando sarà tornata la calma, il Parlamento dovrebbe porre mano ad una riforma costituzionale che gli permetta di affrontare le difficoltà che stiamo sperimentando circa il funzionamento delle istituzioni rappresentative. La croce dei corona virus non è necessariamente destinata, ahimè, a scomparire per sempre.
Credo che la motivazione tanto dell’assenza dalla costituzione che dalla nostra mentalità della regolazione della “emergenza” vada ricercata nella diffidenza verso le forme di potere sintetizzabili nella teoria del “caso eccezionale” di Schmitt. La loro applicazione alla nostra comunità nel novecento, tanto prima che dopo la seconda guerra mondiale, hanno dato risultati piuttosto negativi. Forse l’edificio costituzionale più che ricostruito, con modifiche costituzionali continue, andrebbe puntellato con una normativa secondaria che lo adatti ai tempi.
La Costituzione esiste per evitare che “eventi eccezionali”, o millantati tali, scardinino le garanzie del cittadino a vantaggio di potentati economici o di bande politicamente organizzate. Nel momento in cui non solo i cittadini subiscono inerti abusi di chiaro stampo nazistoide, ma anche esimi giuristi accettano supinamente iniziative insensate e sciagurate, veicolate da una manipolazione sfacciata della Carta, dei numeri, e sancendo una supremazia dell’arbitrio scientista – sempre fallibile e sempre disponibile a piegarsi agli interessi privati – il problema si sposta dal delirio del presidente del consiglio e di un intero governo alla corruzione del corpo elettorale.
Una simile acquiescenza a tanta violenza dittatoriale imposta ex abrupto e con pretesti teatrali e risibili, segnala una complicità diffusa in specie di corruzione.
Questo è il problema della nostra democrazia liberale, ossia che il problema non esiste più.
A nessuno importa del Parlamento e dei propri diritti, tutti inseguono una misteriosa servitù, che tutto toglie e niente rende.