1. Il Problema. Nel 2017 il prof. Jo Ritzen, economista e più volte ministro, mi disse che se ci fosse stato un rallentamento nell’economia che avesse comportato un segno negativo del PIL italiano dello 0,5% per un periodo medio lungo (2-5 anni), o una contrazione più rilevante anche per un breve periodo (6 mesi-un anno), l’economia italiana non avrebbe retto e di concerto quella degli altri paesi europei. Il secondo scenario si è avverato e vari economisti si interrogano, in questi giorni, su dove reperire risorse per imprimere all’economia italiana una “spinta” anticiclica.
I modi per reperirle e come utilizzarle sono definiti, e quindi limitati, dall’ordinamento giuridico. La Costituzione italiana ha scelto nel ‘48 di affidare al legislatore un’ampia gamma di strumenti economico-finanziari. Secondo parte della dottrina, infatti, i costituenti ritenevano che fosse necessario garantire il perseguimento dell’unità nazionale tramite la costituzionalizzazione del conflitto sociale, ovvero mediante l’integrazione delle varie componenti della società nella vita e nelle scelte dello Stato attraverso l’attuazione del principio democratico; e credevano che tale obiettivo fosse raggiungibile solo laddove venissero riconosciuti e promossi libertà fondamentali e diritti sociali. Prendendo in prestito le parole di Ferrajoli: “non c’è partecipazione alla vita pubblica senza garanzia dei minimi vitali, né formazione di volontà consapevoli senza istruzione e informazione”.
Al legislatore ed al titolare dell’indirizzo politico assegnarono dunque un livello di discrezionalità che che non ammette l’astensionismo liberale rispetto alla garanzia di diritti e libertà. L’esercizio dell’indirizzo politico si esprime, dunque, nella scelta dello strumento da utilizzare (o meglio nel quantum di tale utilizzo) al fine di rispondere alle necessità di spesa sopra richiamate.
Il quesito a cui rispondere è dunque questo: quali strumenti ha ora lo Stato per contrastare la crisi economica al fine di ottemperare al compito ad esso affidato dalla Costituzione? Gli strumenti utili all’incremento delle risorse dello Stato sono, in sostanza, quattro: la guerra, le tasse, il controllo della moneta, il debito pubblico.
2. La ricerca della soluzione. Non serve ricordare che in periodo di crisi economica aumentare indiscriminatamente le tasse produce un effetto pro-ciclico, né che all’Italia è impedito utilizzare lo strumento bellico ai sensi dell’art. 11 della Costituzione (così come lo è a tutti gli Stati membri delle N.U. per effetto dello Statuto di queste ultime).
Non è casuale dunque che si sia invocato immediatamente l’intervento della BCE. Le si è chiesto in particolare di ridurre i tassi di interesse (rendendo più vantaggioso il credito alle banche europee che a loro volta, pertanto, dovrebbero far circolare più moneta più facilmente all’interno degli Stati membri). Tuttavia la Lagarde, anche qualora volesse, ha già ricevuto in eredità tassi di interesse pari a 0 e tassi sui depositi bancari presso l’Eurotower pari a -0,50% (che dovrebbero disincentivare l’immobilizzazione dei risparmi ad esse affidati).
Resta dunque il debito pubblico. Anche in questo senso risulta evidente come uno stato in recessione, e senza la possibilità di obbligare la propria Banca Centrale ad acquistare i propri titoli rimasti invenduti – a tal fine il QE rimane un mero palliativo non operando sul mercato primario, mentre le OMT agiscono necessariamente in connessione col MES con le conseguenze di seguito esplicitate – non possa finanziarsi sul mercato dei capitali se non offrendo interessi molto elevati. Si può tenere a mente il caso greco per avere un termine di paragone su come questo serva solo a peggiorare ulteriormente la propria condizione.
Per tale ragione in questi giorni alcuni economisti, tra cui Romano Prodi, hanno rilanciato gli eurobonds, ovvero bond garantiti congiuntamente dagli Stati membri dell’Ue (o perlomeno dell’Uem). Titoli pertanto con un’alta credibilità e un tasso di interesse molto basso. Gli eurobonds sono stati studiati a lungo, e proposti in svariate forme, scontrandosi sempre con il niet dei paesi “pro-austerity” all’assumersi la responsabilità, ed il costo, del salvataggio dei cosiddetti PIIGS. Non sembra probabile che questo avvenga nel picco di una crisi.
Si sta pensando, dunque, di affidarsi allo strumento costruito tra gli Stati membri dell’Uem proprio per: “mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del Mes che già̀ si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari” (art. 3 del Trattato che istituisce il Mes).
3. Il diritto oltre l’economia. Esattamente in questo punto si separano le risposte di economisti e giuristi al quesito posto. Se da un punto di vista economico il Mes può permettere di recuperare risorse per imprimere al sistema quella spinta anticiclica ritenuta necessaria (seppur anche questo sia dibattuto), la risposta al quesito se esso possa garantire allo Stato italiano la possibilità di ottemperare, anche nel tempo a venire, ai compiti ad esso affidati dalla Costituzione è differente.
Il Mes (la cui riforma, al centro di un acceso dibattito, non cambierà la sostanza del suo funzionamento) può muovere un capitale di circa 700 miliardi (versati pro quota dai paesi membri), ed è un’istituzione esterna all’ordinamento giuridico dell’Ue. Opera finanziando il debito degli Stati firmatari qualora questi lo richiedono e siano in difficoltà a reperire risorse sul mercato dei capitali (può operare anche a favore di Stati in condizioni solide, ma non è caso dell’Italia). Diventa, in sostanza, il creditore dello Stato ad un tasso di interesse più basso di quanto il mercato sia disposto ad offrire. Tuttavia, prerequisito per adire a questa linea di credito è attuare misure correttive che, ai sensi della formula, molto ampia, utilizzata dall’art. 12 del Trattato che istituisce il Mes, possono: “spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite”. Delle stesse, la cui fase di enucleazione risente dell’opacità del funzionamento del MES, si può avere un riferimento chiaro ripercorrendo le misure inserite nei vari Memorandum of Understanding firmati dalla Grecia tra il 2010 e il 2015.
Tali misure, indipendentemente dalle valutazioni concernenti la loro efficacia economica nonché la legittimità costituzionale di una tale cessione di sovranità, non sono dirette a garantire l’effettività dei diritti sociali utili a dare risposta positiva al quesito posto. Ovvero, non servono a rispondere a come lo Stato potrà ottemperare nel prossimo periodo ai compiti ad esso affidati dalla Costituzione.
Si ritiene dunque che non sia più il tempo di posporre il confronto sulla natura dell’Unione europea. Unione che, attualmente, non può finanziare uno Stato membro ai sensi dell’art. 123 del TFUE ed il cui bilancio corrisponde all’1% del PIL europeo.
Se non risulterà più possibile per uno Stato membro, nel quadro giuridico attuale, reperire le risorse necessarie per rispondere alle esigenze di spesa connesse con la garanzia dell’effettività dei diritti sociali, si dovrà scegliere se cambiare il quadro giuridico attuale oppure affidare ad un’altra istituzione i compiti che lo Stato deve oggi assolvere.
In dottrina si ricorre spesso alla metafora che paragona l’essere Stati Membri dell’Uem all’essere in mezzo ad un guado: se la piena sta arrivando e il traghetto sta per essere travolto, a quale sponda si potrà approdare?
Infatti, tale sponda, sempre con le parole di Ferrajoli, non potrà in ogni caso scindere il “nesso indissolubile e consequenziale tra principio democratico, libertà fondamentali e diritti sociali” garantito dalla sponda che si è lasciata, né potrà scaricare su altri le sfide che le si presentano, da quella attuale alla, ormai indefettibile, riconversione ecologica.
* Dottorando dell’Università di Ferrara
Non citare Ferrajoli invano! La sua è une teoria generale, universale, del costituzionalismo e dei diritti fondamentali. Qui stiamo parlando delle regole di sistema e dei diritti sociali sotto la costituzione italiana, coerente con la teoria generale, e del loro rapporto con la normativa europea, che dopo il tentativo maldestro fallito 15 anni fa e nonostante la natura sui generis dell’UE e dell’euro-zona nella UE, non è super-costituzionale, ma convenzionale. Per utilizzare parole pesanti, il sovrano esercente dell’UE è il consiglio (assieme al Parlamento, alla commissione e alla Corte) mentre quello disponente è l’unanimità degli stati membri. I vincoli di bilancio sono accordi internazionali approvati liberamente secondo le procedure e le deleghe nazionali. La giurisprudenza della CGUE ha creato oltre 50 anni fa le condizioni per una supremazia delle norme europee su quelle nazionali con, in teoria, seri rischi per la tutela dei diritti in particolare per quelli sociali secondo i principi fissati dalle costituzioni nazionali. Ma l’unico paese che sembra essersene reso conto è la Germania, la sua Corte suprema e la dottrina (cf. Dieter Grimm e numerosi scritti in cui l’autore non si stanca di ripetere sempre lo stesso messaggio, importantissimo). Ma anche le parole (di cui non dubito) di Jo Ritzen (tirato per giacca) fuori dal contesto non hanno valore dimostrativo alcuno. Intanto oggi governa Mark Rutte e la sua posizione, piaccia o non piaccia, è chiara. Il dibattito falso (di qualche mese fa) sul MES, quello vano (delle ultime settimane) sugli eurobond, mostra solo che l’Italia (tutti gli attori politici e la maggior parte dei commentatori) non sono sintonizzati (per evitare parole meno garbate). In un ambito convenzionale (cioè in assenso di sovrano comune, cf Leviathan per le definizioni), il comportamento degli altri contraenti contrario alle proprie preferenze ha lo stesso statuto e valore del mercato: è un fatto di cui un attore attento tiene conto. Ora si propongono euro-bond, ma “senza voler mettere il debito in comune” precisa il presidente del consiglio con il CV gonfiato. Francamente non capisco. La questione mi sembra la seguente: chi governa l’utilizzo, cioè la spesa e l’investimento, dei fondi creati attraverso le obbligazioni emesse dai vari Stati aderenti all’euro, ma con “terms and conditions” identici, garantite da tutti solidalmente, quindi a condizioni di mercato uguali (no spread), almeno fino a quando ci sarà qualche rottura tra gli Stati (che sarà prevista o no nelle condizioni d’emissione)? Proprio ieri Salvini, per esempio, ha confermato che rinnegherà tutta la costruzione europea se arriva al governo. I sondaggi danno il 40% circa alla destra anti-europea, 50% alla destra in toto. Senza contare i post-democratici. Ovviamente saranno i singoli Stati a gestire l’utilizzo dei fondi incassati attraverso l’indebitamento obbligazionario, i governi e i parlamenti eletti dai loro cittadini; quest’ultimi sono sia i beneficiari delle politiche nazionali sia gli ultimi garanti del debito nazionale sul loro reddito e soprattutto sul loro patrimonio (a parte i residenti senza diritto di voto comunque garanti con i loro beni delle politiche approvate dai soli cittadini e in senso opposto gli Italiani residenti all’estero, quindi non garanti, ma beneficiari del diritto di voto). Forse per questo si chiama debito sovrano: deciso dal sovrano esercente e garantito sul patrimonio del sovrano disponente. La domanda è allora: chi garantisce che l’Italia adotterà politiche di spesa e di investimento efficienti per onorare gli impegni solidali? Ci saranno condizioni assortite agli euro-bond, risponderanno i promotori dell’idea. Si, ma chi garantisce che i futuri governi – stiamo parlando di 50 anni – rispetteranno gli impegni assunti oggi. A giudicare dagli ultimi 20 anni pochi ci scommetterebbero. Chi vincerà le prossime elezioni con quale legge fatta all’ultimo momento e quale politica fiscale (spesa, investimenti, convergenza UE) i prossimi governi applicheranno? Perché i cittadini residenti e contribuenti degli altri stati membri dovrebbero assumersi il rischio di garantire sul loro patrimonio la prosecuzione – nell’ipotesi più probabile – delle sciagurate politiche fiscali, di spreco e di clientelismo, dei futuri governi italiani eletti dai cittadini italiani? Fra le politiche promosse dagli attori nazionali (i programmi dei partiti che si vorrebbero istituzionalizzare) ce ne fosse una sola che ispiri fiducia, non per il lungo termine, ma semplicemente per i prossimi 3 a 6 anni! Senza risposta l’unica strada sarà il MES! Capisco perché al mondo politico e all’opinione pubblica piace tanto la teoria fumosa del “in mezzo al guado”, “an ever closer union”. E proprio per colpa dell’Italia che il processo si arrenato. Capisco meno perché giovani studenti e studiosi meno giovani non fanno analisi come questa, al servizio della politica inconcludente (incapace o ignorante?). PS: Contrariamente al primo ministro italiano chi commenta è stato davvero alla Sorbona e insieme a diplomi di laurea e post-laurea in filosofia, logica formale, giurisprudenza ha conseguito un diploma di “istituzioni e finanze dell’UE (allora CE)” con il prof. Dominique Berlin, se ricordo bene ero il primo della promozione.
Gentile dott. Schmit, molte grazie per i suoi suggerimenti ed il suo commento. Le parole di Ferrajoli sono relative ad un modello di democrazia costituzionale, con il quale, come anche lei mi sembra affermi, l’ordinamento giuridico italiano è coerente (L. FERRAJOLI, La democrazia costituzionale, in Revus, 2012/18, p. 71); la teoria dei controlimiti credo chiarisca il rapporto tra quest’ultimo e l’ordinamento dell’Ue nonché con la giurisprudenza della Corte di Giustizia (sul punto: M. LUCIANI, Il brusco risveglio dei controlimiti e la fine mancata della storia costituzionale, in A. BERNARDI (a cura di), I controlimiti. Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, Jovene, Napoli, 2017, p. 70). Le parole del prof. Ritzen sono un riferimento ad un fatto concreto che aiuta l’effetto divulgativo (che è il fine dell’articolo stesso) di un concetto che se preferisce si può riassumere con la frase: l’economia italiana necessita di una “spinta” anticiclica rilevante per poter impedire conseguenze economiche ancora più profonde (sul punto interessanti i rilievi di: http://www.mpifg.de/forschung/forschung/themen/baccaro_coronabonds_en.asp?fbclid=IwAR1_R1g3wUuUXd-ULpE7f6MVIAJdx4rdZ-3DfLEkG6qt8bLa35ZzPksZs6M). Per quanto riguarda l’operato della nostra classe politica, premetto che quest’ultimo non era oggetto delle pagine di cui sopra, che analizzano viceversa, secondo il mio parere ovviamente, se gli strumenti economici citati nel testo permettono alle istituzioni nazionali di ottemperare ai compiti affidati loro dalla Costituzione italiana.