La decisione del Presidente Fico, su consiglio a quanto pare dei funzionari della Camera, di non ammettere – almeno per il momento – forme di partecipazione a distanza dei deputati ai lavori parlamentari si fonda, tra l’altro su un precedente.
E i precedenti, in diritto parlamentare, sono importanti perché il modo in cui viene risolta una situazione particolare, individuando implicitamente la regola concreta che la disciplina, se ribadito nel tempo, può trasformarsi in prassi parlamentari che, al pari dei regolamenti parlamentari, possono integrare (Corte cost. 7/1996) – ma mai violare (Corte cost. 17/2019, 4.3) – la Costituzione. La trasformazione del precedente in prassi segna quindi il distacco della regola dal caso specifico che l’ha generata per assumere una valenza generale.
Nel caso specifico, il precedente – perché di precedente, e non di prassi si tratta, essendo l’unico in materia! – invocato dal Presidente della Camera è la decisione dell’Ufficio di Presidenza della Camera del 2 agosto 2011. In quell’occasione, infatti, il Presidente Fini escluse la partecipazione a distanza all’attività parlamentare perché il riferimento ai presenti contenuto nell’art. 64.3 Cost. in tema di numero legale e deliberazioni (“Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale”) era da intendersi riferito esclusivamente a quanti fisicamente in Assemblea.
Dalla lettura del resoconto sommario di quella seduta, però, la forza vincolante di quel precedente pare notevolmente da attenuare.
In primo luogo, la questione allora discussa riguardava il caso di un singolo deputato che, trovandosi in custodia cautelare in carcere a seguito della concessione dell’autorizzazione della Camera, chiedeva che gli fosse resa possibile la partecipazione a distanza ai lavori parlamentari tramite le risorse tecnologiche (allora!) disponibili. A riprova della dimensione specifica ed individuale della fattispecie allora decisa, il Presidente della Camera in quell’occasione fece riferimento, come rimedio, al meccanismo della sostituzione con altro deputato in commissione.
Non credo sfugga a nessuno l’incomparabilità tra il caso specifico del singolo deputato e quello attuale, ahimè molto più grave e diffuso, che riduce la rappresentanza politica di alcuni territori, altera i rapporti di forza tra i gruppi politici e rischia di paralizzare, per mancanza del numero legale, il Parlamento.
In secondo luogo, nel resoconto sommario di quella seduta non solo non vi è alcun riferimento alla interpretazione della nozione di “presenti” di cui all’art. 64 Cost. ma nella stessa seduta il Presidente Fini – testualmente – ritenne che, oltreché valutare la questione dal punto di vista meramente tecnico – “si dovrebbe realizzare una modifica dell’ordinamento, quanto meno a livello regolamentare se non costituzionale idonea ad ammettere in via generale la possibilità degli interventi a distanza dei membri delle Camere durante le sedute parlamentari”. Quindi non solo non si ritenne la modifica costituzionale sul punto necessaria ma si ammise che, a Costituzione vigente, si potesse procedere con una modifica regolamentare.
Conclusioni quindi tutt’altro che apodittiche, come invece sembra siano state presentate nella seduta della Giunta per il regolamento dello scorso 4 marzo.
Finora, come scritto, si è proceduto “a ranghi ridotti”. Ma un conto è ridurre in scala la rappresentanza delle forze politiche, mantenendone inalterati i rapporti di forza. Altro invece, come ora accade, tradurli in una composizione dell’Assemblea casuale, sotto il profilo politico e territoriale. Tanto per essere chiari: se ai tre deputati di +Europa viene caldamente sconsigliato dagli Uffici di partecipare ai lavori parlamentari perché vicini di scranno del deputato Pedrazzini, risultato positivo, ciò significa alterare la rappresentanza politica delle camere.
Bene dunque farebbe il Presidente della Camera (come quello del Senato), su cui incombe il dovere di assicurare il buon andamento dei lavori (art. 8 R.C.), superare le difficoltà frapposte dagli Uffici ed emanare subito, previo parere unanime della Giunta per il regolamento, una circolare in base alla quale in casi straordinari di necessità ed urgenza, previa delibera unanime della Conferenza dei capigruppo, allargata ai Presidenti delle componenti politiche del gruppo misto, il Presidente possa consentire l’uso del voto telematico per i lavori dell’Aula, delle Commissioni e delle Giunte per un periodo non superiore a trenta giorni, con modalità tali da garantire la personalità, la libertà del voto del singolo deputato e, in caso di voto segreto, la sua segretezza; aggiungendo che se alla scadenza del termine permanessero tali casi o ne sopraggiungessero di nuovi, la decisione potrebbe essere reiterata con analoghe modalità.
In una situazione così grave ed eccezionale come quello che stiamo attraversando in cui il Governo emana provvedimenti limitativi delle libertà fondamentali sottratti ad ogni tipo di controllo, preventivo e successivo, richiamare “precedenti” legati ad un caso specifico di un singolo deputato per trarre conclusioni valide per tutti i parlamentari costretti a non poter recarsi a Roma a causa della pandemia pare espressione di mero formalismo burocratico. Perché è meglio un Parlamento che discute e vota, anche in modalità telematica, che il Governo al posto del Parlamento.