Tra le molteplici conseguenze provocate dall’epidemia che affligge già l’Italia, ma che a breve porrà anche agli altri Paesi dell’Unione europea problemi di governo dell’emergenza sanitaria ed economica, pare esservi anche quella di una necessaria deroga alle regole di bilancio. Il nostro Paese si sta incamminando per primo su questa strada, ed è verosimile che questo passaggio rappresenti molto di più che un isolato allontanamento dal quadro normativo del Patto di Stabilità e Crescita del 1997, così come riformulato dal Fiscal Compact del 2012 e dal Two Pack del 2013, che complessivamente rappresentano il sistema di governance economica per la zona euro: è invece assai probabile che la valutazione di scostamento dagli obiettivi di convergenza che si sta compiendo per l’Italia vada a costituire quasi un punto di non ritorno per le fiscal rules europee, qualora l’autorizzazione data ora alla nostra Repubblica diventi necessaria per altri Stati membri e metta in evidenza quanto da tempo ormai si invoca, ovvero una revisione di quella cornice regolamentare.
Può essere allora interessante illustrare come in Italia sta compiendosi questo processo di scostamento, e comprendere quanto sia compatibile con il sistema di regole sovra-nazionali o quanto rappresenti invece un’eccezionalità.
In condizioni di normalità – ovvero di un Paese che abbia una crescita economica sana e dunque un sistema di finanza pubblica chiamato a salvaguardare l’equilibrio di bilancio – a ciascuno Stato membro è richiesto dalle norme europee richiamate di raggiungere e mantenere il proprio Obiettivo a medio termine per la finanza pubblica (OMT): questo è un valore definito in modo specifico per ciascun Paese, che risulta dal calcolo di molteplici variabili, quali prevalentemente il potenziale di crescita dell’economia e il livello del debito e – ciò che più conta – viene definito in termini strutturali. Con ciò si intende che esso corrisponde al saldo del conto economico delle amministrazioni pubbliche senza tenere in considerazione l’impatto previsto del ciclo economico ma, soprattutto, le misure una tantum. Dunque spese eccezionali, quali quelle che l’Italia ha affrontato per i terremoti e le alluvioni che purtroppo si sono ripetuti negli anni recenti, o il grande sforzo sostenuto per il fenomeno migratorio, hanno finora rappresentato spese che non vengono computate ai fini della determinazione del nostro OMT.
Ma ciò che qui interessa è invece l’ipotesi di scostamenti temporanei dall’OMT, che sempre le norme europee ammettono e che la normativa nazionale ha disciplinato: queste eventualità di allontanamento sono previste nella legge rinforzata 24 dicembre 2012, n. 243, che dà attuazione all’art. 81 Cost., e a questa disciplina occorre quindi rivolgersi per comprendere come si possano effettuare tali scostamenti.
L’art. 6 della legge rinforzata prevede infatti scostamenti temporanei del saldo strutturale dall’obiettivo programmatico in ragione di ‘eventi eccezionali’. Questi corrispondono a “periodi di grave recessione economica” e a “eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese”: in evenienze di questa natura – che chiaramente sono suscettibili di includere accadimenti della più diversa tipologia, e senza alcun dubbio un’epidemia quale quella presente – sono consentiti scostamenti temporanei del saldo strutturale dall’obiettivo programmatico. Per ottenere tale autorizzazione la procedura prevista è quella di una consultazione della Commissione europea e dell’autorizzazione approvata dalle Camere, a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, indicando nel contempo il piano di rientro rispetto all’Obiettivo di medio termine. In particolare il co. 5 consente che il piano di rientro possa essere aggiornato – di nuovo con i vincoli procedurali già indicati – qualora si verifichino “ulteriori eventi eccezionali”: dunque se il Governo intende apportare modifiche al piano di rientro in risposta all’andamento del ciclo economico, dovrà nuovamente consultare la Commissione e ricorrere all’approvazione parlamentare.
L’impiego di tale procedura non è un fatto nuovo, o meglio: l’esigenza di ricorrere a scostamenti si è già presentata fin dal 2014, e sempre si è applicato il percorso procedurale appena illustrato. Come si apprende dal dossier di Aggiornamento del Piano di rientro verso l’obiettivo di medio termine, (OMT) del Servizio Studi di Camera e Senato dell’11 marzo 2020 “in tutti i casi in cui il Governo ha presentato la Relazione al Parlamento le Camere ne hanno votato l’approvazione a maggioranza assoluta. Carattere comune delle richieste è stato la conferma dell’obiettivo di medio termine (vale a dire, fino al 2018, il raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio) con il contestuale differimento, ad una o più annualità successive, del suo raggiungimento. Le motivazioni addotte dal Governo ai fini delle richieste sono state per lo più riferite ad evoluzioni del quadro macroeconomico più negative di quanto previsto, nonché alla necessità di attenuare la correzione fiscale al fine di rafforzare la crescita del Paese”.
È evidente che la motivazione attuale per effettuare lo scostamento è di carattere radicalmente nuovo, ma prima di indicarla si possono ripercorrere i due passaggi che finora si sono compiuti. Il primo passaggio è stato rappresentato dalla Relazione, adottata ai sensi delle disposizioni richiamate, che il Governo ha presentato al Parlamento il 5 marzo 2020: in essa l’esecutivo ha illustrato l’aggiornamento del piano di rientro verso l’Obiettivo di medio termine, con riferimento agli interventi da assumere per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid19. Il secondo passaggio è avvenuto l’11 marzo: con l’Integrazione alla Relazione presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dal Ministro dell’Economia e delle Finanze al Consiglio dei Ministri, il Governo ha manifestato la volontà e la necessità – e qui emerge la motivazione – di “rafforzare ulteriormente il sostegno che intende assicurare al sistema sanitario, ai cittadini e alle imprese; nonché le risorse a favore della protezione civile e della sicurezza, attraverso le misure già indicate nella Relazione, di cui questo documento costituisce una integrazione” e si è dunque precostituito “le condizioni per avere la disponibilità di risorse aggiuntive al fine di assicurare il finanziamento di eventuali ulteriori iniziative che si rendesse necessario adottare con tempestività e urgenza in un quadro di interventi coordinati a livello europeo”.
Si è così potuti giungere al voto parlamentare, che lo stesso 11 marzo è stato espresso all’insegna di una completa coesione tra le forze politiche, che indubbiamente costituisce uno dei segnali più rasserenanti: con voto unanime tanto al Senato quanto alla Camera la risoluzione di maggioranza sulla Relazione del Governo consente al governo di stanziare fino a 25 miliardi. Da parte sua, la Commissione aveva già risposto alla prima richiesta del Governo italiano in data 6 marzo, pronunciandosi favorevolmente per misure di spesa pubblica di circa 6,5 miliardi adottate una tantum in relazione all’emergenza epidemiologica: aveva infatti dichiarato che tali misure sono da considerarsi escluse dal calcolo del saldo di bilancio strutturale e dalla valutazione del rispetto delle regole di bilancio vigenti. Con la deliberazione parlamentare si è incrementato il ricorso ad ulteriore spesa, e le risorse andranno impiegate entro il 2020. Già venerdì 13 marzo il Governo dovrebbe varare le prime misure per un importo che si aggirerebbe intorno ai 12 miliardi. Per ritornare ai parametri europei, se il nostro OMT – che altro non è che l’equilibrio di bilancio che assicuriamo – per il 2020, in assenza di “eventi eccezionali”, era stato fissato a 2,2 del PIL, con queste variazioni di disavanzo si porta ad un valore che oscillerà tra 2,5 e 2,7. Avvicinandosi ormai a quella soglia del 3%, che fin dall’ormai lontano Trattato di Maastricht del 1992 è stata posta come limite oltre la quale un disavanzo nazionale viene reputato “eccessivo” e dunque bisognoso di interventi di contenimento. Dopo anni di faticosa convivenza con le regole europee sui bilanci, che hanno alimentato anche pesanti scontri politici ed istituzionali, sembra che emerga un approccio più pacato e collaborativo, tanto tra maggioranza e opposizione, quanto tra istituzioni europee e Paesi membri.
Arriviamo allora al cuore della questione delle regole di bilancio europee, che dal 1997 applichiamo e che dal 2012 hanno assunto caratteri di estremo rigore, tanto che da tempo se ne invoca una revisione. Le regole fiscali rivisitate nel 2012 hanno avuto l’intento, nello scenario della c.d. ‘crisi dei debiti sovrani’, di indurre gli Stati membri a scelte di virtù sul fronte della spesa, al punto da pretendere da essi un costante e faticoso impegno verso il raggiungimento del pareggio (nel linguaggio europeo) o dell’equilibrio (nel linguaggio nazionale) dei propri saldi di finanza pubblica. Tali regole stringenti avrebbero dovuto comportare automatismi e procedure di infrazione non più basate su scelte discrezionali degli organi politici – il Consiglio dei ministri dell’Unione prevalentemente – che, di fatto, non hanno mai avuto luogo. Al contrario, dal 2012 in avanti si è proseguito con decisioni altamente discrezionali delle istituzioni europee nei confronti delle manovre di bilancio degli Stati membri: decisioni che hanno sempre tenuto in considerazione fattori politici e legati ai singoli Paesi – passaggi elettorali soprattutto – in ragione dei quali si sono valutate linee di rigore variabile, ed in ogni caso poco corrispondenti ai precetti testualmente ricavabili dal Fiscal Compact. Si potrebbe quasi dire che il rigore di cui si è ammantato quel Trattato è stato solo apparente: ma con benefici relativi per gli Stati, nei confronti dei quali sono stati fissati OMT che si fondavano più su negoziazioni tra singoli Paesi e l’Unione che su elementi oggettivi ricavabili dalla realtà dei sistemi economici. Per rispondere all’interrogativo posto in apertura, l’applicazione ampiamente discrezionale delle regole fiscali è avvenuta per effetto e all’interno di una logica assolutamente presente nel Trattato del 2012, che da un lato ha additato il pareggio come il risultato a cui tutti i sistemi nazionali di finanza pubblica devono aspirare, e che d’altro canto comprende ipotesi di deroga assai ampie, il cui operare può condurre a deviazioni rilevanti dal parametro virtuoso dell’equilibrio/pareggio. Cosicché la richiesta dell’Italia di effettuare spesa ulteriore non viene considerata in alcun modo un abbandono delle regole per cause di forza maggiore, ma al contrario valutata come manifestazione concreta di ipotesi previste da quelle norme, e dunque da ammettere: interpretando così l’autorizzazione come una decisione compatibile col quadro giuridico esistente.
Pare di capire che questa emergenza sanitaria, ormai dichiarata una pandemia, potrebbe avere significativi riflessi sulle regole di bilancio dell’Unione: e il nostro Paese sta forse facendo da apripista, con questo suo appellarsi a quei casi eccezionali contemplati dal Fiscal Compact – e recepiti dall’art. 81 Cost. e dalla l. n. 243/2012 – al cui verificarsi il sistema di rigido controllo sui conti pubblici, a quanto pare, può tranquillamente allentarsi. La stessa Commissione, nella sua risposta all’Italia del 6 marzo, ha infatti dichiarato che “il quadro delle regole di bilancio contiene gli elementi di flessibilità necessari ad affrontare gli eventi eccezionali al di fuori del controllo del governo, pur nell’ambito del mantenimento delle condizioni di sostenibilità della finanza pubblica”.
La sostenibilità finanziaria rimane un impegno da non tradire, anche per rispetto alle generazioni future che sosterranno gli oneri di una spesa pubblica sempre più consistente, ma viene giudicata perseguibile anche in presenza di spesa in disavanzo, che il nostro – e probabilmente altri Paesi dopo di noi – chiederanno di potere utilizzare. E forse questa fase così drammatica, con le tante conseguenze amare che lascerà dietro, potrà avere il merito di accelerare la riflessione relativa ad una governance economica, che già da tempo studiosi ed esponenti politici hanno messo in dubbio, ritenendola inadeguata ad una equilibrata crescita delle economie sociali dell’Europa.
http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/DFP11.pdf
Link utile al Dossier dell’ 11 Marzo, del centro Studi Camera e Senato richiamato nell’articolo; il link nel corpo dell’articolo a me personalmente non va.
abbiamo uno storico al ministero della economia un altro letterato in commissione europea MENTRE CI VORREBBE TANTA E TANTA ANCORA COMPETENZA IN MATERIA ECONOMICA