Ex captivitate salus. Cronache dalla quarantena

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di Fermina Daza

In questi giorni si assiste increduli al diffondersi di un’epidemia che svela – sempre di più – le fragilità dei sistemi sanitari delle regioni del nord, che, per prime, si stanno trovando a fronteggiare l’emergenza coronavirus. Si tratta, giova ricordarlo, di strutture e modelli organizzativi che, ovunque in Italia, sono considerati un’eccellenza e che appaiono, adesso, incapaci di rispondere ad una crescente domanda di assistenza. Ma se è così in Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, cosa potrebbe accadere se un egual numero di malati dovesse riversarsi sulle strutture sanitarie meridionali?

È questa una domanda che assilla tutti coloro che abitano il sud d’Italia e che – sembrerebbe – toglie il sonno anche a chi questo sud, e le sue criticità, è chiamato a governare. È così che, ovunque, in Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, vengono adottate delle ordinanze che si propongono di contenere il rischio di diffusione del virus e che, per questa ragione, dispongono la quarantena per quanti abbiano soggiornato, risieduto o, più semplicemente, provengano dalle cd. zone rosse.

È, appunto, questo l’obiettivo che si prefigge l’ordinanza n. 3 del 8. 03. 2020 del presidente della Regione Sicilia che, all’art. 4, dispone che chiunque “o sia transitato o abbia sostato” nei territori “incriminati” “deve comunicare tale circostanza al comune, al dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio nonché al proprio medico di medicina generale”. In questo modo, la regione avrebbe la possibilità di controllare, ed eventualmente neutralizzare, possibili fonti di propagazione del virus, scongiurando il rischio che il suo sistema sanitario venga sovraccaricato dal massivo afflusso di nuovi contagiati. Ma questo sistema – in teoria perfetto – sembra, in pratica, presentare numerose falle, che dipendono, essenzialmente, dall’inadeguatezza dell’apparato amministrativo che questi controlli è chiamato a gestire.

Ed infatti, già iscriversi nei registri di coloro che hanno l’obbligo di rispettare un periodo di quarantena fiduciaria è impresa paragonabile alle 12 fatiche di Ercole! Non soltanto l’aspirante “recluso” dovrà contattare ben tre diversi uffici amministrativi per autodenunciarsi, ma, soprattutto, nessun documento individua con chiarezza i soggetti cui tali autocertificazioni vanno rese. Nell’attesa che arrivi il giorno in cui il medico di base riceve, s’inizia così con il contattare il numero verde istituito per l’emergenza coronavirus. Le indicazioni sono chiare: bisogna rimanere a casa, evitare i contatti con chiunque e, soprattutto, rendere le obbligatorie comunicazioni ai soggetti indicati nell’ordinanza. In quest’occasione, si effettua una prima schedatura e si ottengono i recapiti dei soggetti ai quali l’autodenuncia va fatta. Peccato, però, che al numero, che dovrebbe corrispondere al dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio, si risponda che “loro fanno i tamponi” e si inviti, perciò, a rivolgersi al numero verde o al medico di base.

Nel frattempo si è comunque tenuti a rispettare le disposizioni dell’ordinanza che impongono di “osservare la permanenza domiciliare con isolamento fiduciario” e poco importa che, nell’attesa che la macchina amministrativa si metta in moto, si abbia bisogno di fare una semplice spesa o di avere alcune chiare indicazioni sul come gestire l’isolamento. Arriva, così, il giorno in cui il medico di base è reperibile, si può provvedere a fare anche la comunicazione ASP e, se si è fortunati, avere anche il recapito dell’ufficio comunale al quale effettuare l’ultima delle tre comunicazioni. Ma, soprattutto, è questo il momento nel quale il potenziale “untore” immagina di poter finalmente ricevere il vade mecum per la sopravvivenza in quarantena. Si scopre, così, che non esistono solo zone rosse ma anche “rosa”. E già perché di fronte alla richiesta di una prestazione sanitaria, alla necessità di provvedere a fare la spesa (se ad, es è possibile riceverla a domicilio e, se si, come relazionarsi con il corriere) o a buttare la spazzatura, si apprende che il rosso si attenua quando l’untore che si autodenuncia dichiara di aver seguito le raccomandazioni del ministero della salute. In fondo, il rischio di contagio non è poi così elevato ed a quei bisogni può provvedere la famiglia.

Ma non è finita qui, manca ancora un ultimo passaggio. Occorre comunicare agli uffici del comune di residenza la propria condizione. Si apprende, così, che è stato istituito un numero di telefono ad hoc ed una mail, nel caso in cui non fosse possibile parlare con un operatore. Ed infatti, il numero risulta inesistente. Si scrive, così, l’ennesima mail e si aspetta, si aspetta che qualcuno controlli che l’obbligo di quarantena venga rispettato, che qualcuno fornisca indicazioni per gestire una situazione che può rendere complicata l’organizzazione del quotidiano. Si aspetta che il servizio sanitario regionale si faccia carico di chi, responsabilmente, si sottopone alla quarantena. Si aspetta, ancora una volta, che le criticità di una situazione straordinaria non vengano riversate sul singolo e, quando vi sia, sulla famiglia che può supportarlo.   

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