di Giovanni Di Cosimo e Giacomo Menegus
Lo scontro tra Governo e Regione Marche sulla gestione dell’emergenza coronavirus fa segnare una prima provvisoria vittoria del fronte governativo; la vicenda tuttavia – di difficile lettura per i non addetti ai lavori – rischia di accentuare il senso di disorientamento e sfiducia della cittadinanza verso le istituzioni in un momento già complesso per il Paese.
Per cercare di fare un po’ di chiarezza su quanto sta succedendo, è utile riprendere il filo degli eventi, fissando alcuni punti essenziali.
Primo: le norme
La gestione dell’emergenza è regolata in via principale dal D.L. n. 6/2020, adottato dal Governo lo scorso 23 febbraio 2020. L’art. 1, comma 1, del decreto prevede che nei luoghi in cui “risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio (…), le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”. Segue, al comma 2, un elenco delle misure adottabili, che vanno dal divieto di allontanamento ed accesso alle aree interessate dal contagio, alla sospensione di manifestazione ed eventi pubblici, dei viaggi di istruzione, alla chiusura di scuole, musei, luoghi di cultura ecc.
L’art. 2 prevede poi, che “ulteriori misure” di contenimento, diverse rispetto a quelle già indicate all’art. 1, possono essere adottate “anche fuori dai casi di cui all’articolo 1, comma 1”.
Viene infine precisato che l’attuazione di tutte le citate misure è rimessa a decreti del Presidente del Consiglio, adottati su proposta del Ministro della Salute, sentiti i vari ministri competenti e i Presidenti delle Regioni interessate (o il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni, se la misura ha portata nazionale). Per il tempo necessario ad adottare tali decreti, il decreto legge dispone che siano le autorità competenti delle zone interessate dal contagio – ovvero Presidenti delle Regioni e Sindaci – a provvedere in via d’urgenza alle misure di contenimento già indicate con ordinanze contingibili ed urgenti (art. 32 legge n. 833/1978, art. 117 d.lgs. n. 122/1998, art. 50 TUEL).
Per quanto sia frutto di una scrittura affrettata e a tratti imprecisa, il decreto appare piuttosto chiaro: le misure di contenimento indicate all’art. 1 vanno adottate nelle aree dove vi sia un contagio (non riconducibile alle aree già interessate); in un primo momento saranno i Sindaci e i Presidenti delle Regioni ad individuare il da farsi; in un secondo momento sarà invece il Presidente del Consiglio con le modalità già descritte.
Secondo: i fatti
Pur in assenza di contagi accertati sul proprio territorio, lunedì 24 febbraio il Presidente della Regione Marche Ceriscioli annuncia ai giornalisti l’adozione di misure di contenimento in tutto analoghe a quelle adottate dalle Regioni con casi acclarati; sennonché, proprio nel corso della conferenza stampa viene raggiunto al telefono dal Presidente del Consiglio Conte, che lo invita ad auto-sospendere l’ordinanza fino al giorno seguente, al fine di coordinare gli interventi tra Governo e Regioni (vedi il video qui).
Il giorno seguente, martedì 25 febbraio, al tavolo tecnico convocato dal Governo, la Regione Marche – stando a quanto emerge dalle notizie di stampa – non avrebbe palesato l’intenzione di proseguire con l’adozione del provvedimento.
A distanza di qualche ora, tuttavia, facendo leva sull’art. 2 del Decreto legge che consente l’adozione di “ulteriori misure” “anche fuori dai casi di cui all’art. 1”, il Presidente Ceriscioli ha confermato nella sostanza la precedente ordinanza, con la quale ha disposto, a partire dalle ore 00.00 di mercoledì 26 febbraio 2020 fino alle ore 24,00 del 4 marzo 2020:
a) la sospensione di tutte le manifestazioni pubbliche, di qualsiasi natura;
b) la sospensione dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado, nonché della frequenza delle attività scolastiche, universitarie (lezioni, esami di profitto e sedute di lauree) e di alta formazione professionale e dei percorsi di istruzione e formazione professionale, salvo le attività formative svolte a distanza e quelle relative alle professioni sanitarie ivi compresi i tirocini;
c) la sospensione di ogni viaggio di istruzione sia sul territorio nazionale sia estero;
d) la sospensione dell’apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura e delle biblioteche;
e) la sospensione dei concorsi pubblici fatti salvi quelli relativi alle professioni sanitarie per le quali dovranno essere garantite le opportune misure igieniche.
La decisione di Ceriscioli ha innescato la reazione del Governo, che ha accusato la Regione Marche di venir meno all’accordo raggiunto al tavolo tecnico appena poche ore prima. Nella notte, il Consiglio dei Ministri ha quindi deciso di impugnare l’ordinanza della Regione dinanzi al TAR delle Marche, per chiederne l’annullamento e, in via d’urgenza, la sospensione.
Il responso del TAR non si è fatto attendere: il 27 febbraio con decreto del Presidente dello stesso tribunale, il giudice amministrativo ha sospeso l’ordinanza fino al 4 marzo prossimo, data in cui è fissata l’udienza collegiale per decidere sulla fase cautelare.
Qui si impone una prima precisazione: la decisione del TAR – nonostante renda sostanzialmente inefficace l’ordinanza, che aveva una durata limitata fino al 4 marzo – non è affatto definitiva; si tratta infatti di un provvedimento cautelare, che non dice cioè chi ha torto e chi ha ragione, ma si limita a sospendere l’efficacia dell’ordinanza impugnata per evitare che si producano pregiudizi irreversibili nel tempo necessario a decidere in via definitiva.
Seconda precisazione: il decreto del TAR, adottato ai sensi dell’art. 56 c.p.a., è un tipo di provvedimento cautelare per così dire “speciale”, in quanto si adotta “in caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio”.
Detto ciò, veniamo alla motivazione; il TAR svolge tre considerazioni:
1) al momento dell’adozione dell’ordinanza non c’erano contagi confermati sul suolo marchigiano e perciò non si rientrava nei casi previsti dall’art. 1;
2) il TAR deve valutare la legittimità dell’ordinanza non con riguardo ad eventi sopravvenuti, cioè i contagi successivamente accertati, ma solo con riguardo alla situazione al momento dell’adozione dell’ordinanza (principio del cd. tempus regit actum);
3) le “ulteriori misure” (art. 2) non possono essere invasive e restrittive in misura eguale a quelle previste dall’art. 1, sia perché non ha senso adottare le stesse misure in aree interessate da contagi e aree non interessate, sia perché è più ragionevole, secondo una lettura sistematica del provvedimento, ritenere che le “ulteriori misure” siano meno invasive di quelle previste all’art. 1.
Sembrava finita qui, almeno per il momento. Ma a distanza di poche ore dalla pubblicazione del decreto del TAR, il Presidente Ceriscioli ha emanato una nuova ordinanza contingibile ed urgente, con durata fissata fino alla mezzanotte di sabato 29 febbraio e in tutto analoga a quella sospesa, motivandola questa volta sulla scorta dei sei casi accertati di contagio nel frattempo emersi sul territorio marchigiano.
Terzo: il segnale
Riassumendo: lunedì 24 febbraio la Regione predispone un’ordinanza che sospende molti importanti aspetti della vita collettiva, ma, mentre la sta presentando alla stampa, decide di accogliere il suggerimento del Governo che consiglia di soprassedere almeno per il momento. Il giorno successivo la Regione torna alla carica e adotta l’ordinanza le cui misure diventano operative. Due giorni dopo, giovedì pomeriggio, il TAR ne sospende però l’efficacia. Le misure restano sospese solo per poche ore perché la Regione le risuscita con un secondo provvedimento di contenuto identico al primo, anche se di durata più breve.
Al momento non sappiamo se questa tormentata vicenda sia realmente conclusa. Ma già ora pare chiaro il significato che assume agli occhi dei cittadini. Si può immaginare il loro sconcerto di fronte a questo confuso balletto. Il segnale che arriva è devastante: in questa difficile situazione sanitaria le istituzioni centrali e periferiche viaggiano spaiate, non sanno coordinarsi, litigano.
Altrettanto chiaro è che la vicenda ridarà fiato alle opinioni contrarie al decentramento regionale, alle posizioni scettiche per non dire peggio sull’utilità del confuso regionalismo uscito nel 2001 dalla riforma del Titolo V della Costituzione. E sarebbe un ben paradossale risultato: un’iniziativa che neanche tanto velatamente vuol riaffermare il ruolo regionale, in realtà rischia di comprometterlo definitivamente.
Caro Direttore,
il contributo di Di Cosimo è di notevole interesse. Quanto all’interpretazione dell’art. 2, mi parrebbe plausibile ritenere che per “ulteriori casi ” debbano intendersi misure diverse e non presupposti diversi rispetto a quelli previsti dall’art. 1, come invece sembrerebbe supporre la prima ordinanza regionale. Il decreto senz’altro non si raccomanda per una scrittura ineccepibile, ma la ratio complessiva (fornire una cornice comune e tipizzare tendenzialmente gli interventi regionali) orienta per questa soluzione.
Cordiali saluti
Girolamo Sciullo