Questa mattina il Fatto quotidiano (ma i dettagli si trovano ora anche su Repubblica.it) riporta la sorprendente notizia per cui il Questore di Reggio Emilia avrebbe chiesto alle Sardine di “fare un passo indietro” e trovare un’altra data per svolgere la manifestazione nella cittadina di Bibbiano, in Val d’Enza, in modo tale da lasciare la piazza del paese alla Lega.
La ragione andrebbe ricercata nel fatto che la legge riconosce ai partiti, in campagna elettorale, una sorta di preferenza circa l’assegnazione degli spazi pubblici per i comizi. Si tratta evidentemente di una forzatura del dato legislativo, che si scontra con ben noti precedenti giurisprudenziali e che appare difficilmente conciliabile con una lettura sistematica del dettato costituzionale.
Ma prima di soffermarci sulle criticità dell’“invito” del Questore, conviene ricostruire brevemente le vicende pregresse. Com’è noto la cittadina di Bibbiano è finita da tempo sotto i riflettori dei mass media per l’indagine giudiziaria denominata “Angeli e Demoni”. Secondo le ipotesi formulate dagli inquirenti, i responsabili dei servizi sociali della Val D’Enza avrebbero fatto in modo di allontanare bambini dalle proprie famiglie, tramite relazioni appositamente falsificate, al fine di darli in affido ad amici e conoscenti. L’inchiesta è divenuta rapidamente un tema di dibattito politico, dal momento che le forze di opposizione in Emilia-Romagna (prima su tutte la Lega) ne hanno fatto un argomento per attaccare l’amministrazione locale e il Partito Democratico (che conta tra i propri esponenti anche il Sindaco di Bibbiano). Per questo motivo, la Lega aveva programmato di tenere l’ultimo comizio elettorale in vista delle elezioni regionali che si terranno il prossimo 26 gennaio 2020 proprio a Bibbiano (in data 23 gennaio). Senonché le Sardine hanno anticipato le mosse dei leghisti, dando preavviso scritto con largo anticipo al Questore di voler organizzare una manifestazione nella stessa piazza di Bibbiano; la Lega invece non ha provveduto a fare altrettanto, anche perché la legge le consente di non dare preavviso dei comizi in campagna elettorale (sul punto ci si sofferma meglio più avanti).
Fatto sta che le Sardine hanno comunque acquisito una sorta di “precedenza” su eventuali manifestazioni preavvisate successivamente alla propria, ivi inclusa quella leghista.
A questo punto però, la Lega è insorta, prima richiamandosi ad un protocollo locale per regolare i comizi elettorali – concluso tra forze politiche, Questura e Prefettura – che imporrebbe di dare il preavviso tra i 5 e i 2 giorni precedenti la manifestazione politica (così il Corriere della Sera); poi adducendo una sorta di “preferenza” nell’impiego degli spazi pubblici in periodo di campagna elettorale: preferenza che sarebbe riconosciuta ai comizi elettorali (quindi tenuti da forze politiche) su ogni altra manifestazione.
Entrambi gli argomenti spesi dalla Lega, come pure le ragioni che sarebbero state addotte dal Questore, non convincono affatto e non risultano coerenti con la disciplina costituzionale del diritto di riunione.
In primo luogo, va subito sgomberato il campo da qualsiasi dubbio circa la valenza del menzionato protocollo: si tratta infatti di uno strumento che non ha natura vincolante, ma si limita a sancire l’impegno delle forze politiche che lo sottoscrivono a conformarsi volontariamente ad alcune regole condivise con Prefettura e Questura; il tutto in modo tale da agevolare l’esercizio delle funzioni delle autorità di pubblica sicurezza in rapporto a comizi elettorali e manifestazioni politiche.
È assai dubbio che l’eventuale inosservanza di tale protocollo possa condurre al divieto di un comizio o una manifestazione politica da parte delle autorità di pubblica sicurezza. Tanto più non potrà in alcun modo pregiudicare il diritto costituzionalmente garantito di terzi – che non fanno parte dell’accordo – a riunirsi in luoghi pubblici.
In secondo luogo, va ricordato come già una nota sentenza della Cassazione (Cass, sez. I pen., sentenza 13 giugno 1994, in Giur. cost., 1995, pp. 1125 ss., con nota di R. Borrello, La priorità nell’effettuazione del preavviso, quale criterio di risoluzione dei “conflitti” tra riunioni in luogo pubblico, ivi, pp. 1128 ss.) aveva chiarito che – in caso di due preavvisi dati da soggetti diversi per manifestazioni da svolgersi nello stesso luogo e nello stesso momento – fosse necessario dare preferenza alla manifestazione preavvisata per prima.
Si tratta di un principio che ha una solida base logica, ancor prima che giuridica. Diversamente si consegnerebbe a chiunque una sorta di “diritto di veto” sull’esercizio della libertà di riunione del soggetto che ha dato per primo il preavviso.
Se infatti – come nel caso trattato dalla Cassazione – in occasione di due preavvisi si decidesse di vietare entrambe le manifestazioni, si consentirebbe a chiunque di impedire una manifestazione semplicemente depositando un preavviso successivo, rendendo del tutto imprevedibile e arbitrario l’effettivo esercizio della libertà di riunione.
Il problema appena descritto non muta se – come nel caso di Bibbiano – si vuole di far prevalere il soggetto che ha dato successivamente il preavviso sul primo soltanto perché tale soggetto è espressione di una forza politica nell’ambito di una campagna elettorale, mentre il primo no. La disciplina di legge su cui si fa leva in questo caso è l’art. 18, comma 7, T.u.l.p.s. (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), il quale esclude l’obbligo di preavviso per i promotori di riunioni elettorali. Si tratta di una norma inizialmente nata nel Ventennio e volta a tutelare le manifestazioni del regime fascista, che trova però oggi una nuova giustificazione nell’esigenza di agevolare forme di interazione tra i partecipanti al voto e candidati secondo le regole del sistema democratico, in conformità con gli artt. 48 e 49 Cost. (v. S. Troilo, nonché S. Prisco, Riunione (libertà di), in Enc. giur., vol. XXVII, Roma, 1991, 8).
Questo regime di favore tuttavia non può spingersi sino a garantire ai comizi elettorali una prevalenza su qualsiasi altra manifestazione, anche in danno del descritto principio della priorità nel preavviso: un conto è infatti agevolare riunioni che abbiano una particolare valenza alla luce del carattere elettorale delle stesse, alleggerendo gli oneri di preavviso; un conto è far sì che queste riunioni, nel periodo elettorale, possano prevalere su ogni altra riunione di altro carattere. Si passerebbe da un regime di favore costituzionalmente motivato (alla luce dei richiamati artt. 48 e 49 Cost.) ad un inaccettabile privilegio, che comprimerebbe in maniera eccessiva la libertà di riunione di chi politico non è.
Se si accogliesse infatti la tesi per cui il comizio politico prevale anche laddove vi sia un preavviso precedente di altri, lo svolgimento delle riunioni organizzate da soggetti non politici sarebbe rimessa all’arbitro delle forze politiche. Queste ultime, solo per il fatto di esprimere (peraltro senza alcun limite temporale) la propria volontà di svolgere un comizio nello stesso luogo e nella stessa ora dei soggetti non politici, verrebbero a impedire lo svolgimento della riunione correttamente preavvisata.
È evidente che si tratta di un sovvertimento della ratio del testo costituzionale, che consente di vietare le manifestazioni “soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”; come pure di una forzatura dell’art. 18, comma 7, T.u.l.p.s. che nulla dice circa il rapporto tra comizi elettorali e altre riunioni.
Se portata alle estreme conseguenze, la tesi sostenuta dalla Lega può peraltro condurre a esiti del tutto paradossali: il comizio politico dovrebbe prevalere, ad esempio, sulla processione per il santo patrono (che politica non è, ma si svolge con regolarità da centinaia di anni); o sulla sagra paesana (per cui valgono considerazioni analoghe); oppure ancora sulla manifestazione sindacale (ma qui si pone il problema del valore della manifestazione in rapporto all’art. 39 Cost.: chi prevale allora, la valenza elettorale o quella sindacale?); e così via.
Onde evitare i cortocircuiti descritti, la soluzione più semplice e lineare è quella di far riferimento soltanto all’ordine cronologico nella comunicazione del preavviso. Si pone naturalmente il problema del fatto che le forze politiche sono esonerate da tale onere ai sensi dell’art. 18, comma 7, T.u.l.p.s. e pertanto – come nel caso della Lega – fanno di norma affidamento su tale regime di favore, tralasciando di comunicare la manifestazione alle autorità di pubblica sicurezza. Questo però non giustifica la pretesa di imporsi su un’altra manifestazione correttamente preavvisata, che era astrattamente ipotizzabile anche dai promotori leghisti.
La soluzione in questo caso – più che nel far prevalere con una discutibile interpretazione della legge il comizio elettorale su quello di diversa natura – mi pare vada cercata nell’intelligenza dei promotori, che hanno tutto da imparare da una vicenda di questo genere: il fatto che l’art. 18, comma 7, T.u.l.p.s. consenta ai promotori di comizi politici di non dare il preavviso non esclude infatti che gli stessi possano farlo comunque per “prenotare” una piazza ed evitare che altri vi svolgano una diversa manifestazione.
Quanto alle Autorità di pubblica sicurezza, ora incaricate di risolvere la spinosa questione assumendo una decisione sul punto, non resta che lasciare la piazza a chi per primo ha dato preavviso (le Sardine), eventualmente prescrivendo ai secondi (la Lega) “modalità di tempo e di luogo” diversi (art. 18, comma 4, T.u.l.p.s.), in modo tale da garantire comunque lo svolgimento pacifico di entrambe le riunioni. Altre soluzioni non sembrano ipotizzabili senza provocare una discutibile compressione della libertà di riunione. In caso contrario, alle Sardine si apre la strada di un ricorso in via cautelare, con buone probabilità di successo.
* Questo breve commento trae spunto da un post del 17 gennaio 2020 del prof. Salvatore Curreri, il quale aveva già individuato i nodi salienti della questione qui sviluppati.