Il Re pallido dinanzi alla Consulta: le “posizioni organizzative a elevata responsabilità” e l’Agenzia delle Entrate

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di Giuseppe Tropea

Citerò Il Re Pallido di D. Foster Wallace per iniziare: è utile richiamare questo capolavoro incompiuto, perché si svolge in un contesto di profonda trasformazione delle agenzie fiscali americane, e di passaggio dal modello burocratico a quello manageriale, problema che come vedremo è al centro anche della questione qui trattata…

“Dimenticate l’dea che le informazioni siano un bene. Solo certe informazioni sono un bene. Certe nel senso di poche, non nel senso di confermate al cento per cento. (p. 441, cap. 27)”.

È ciò che in questa sede mi limiterò appunto a fare.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio solleva questione di legittimità costituzionale in ordine alle disposizioni di cui alla legge n. 205 del 2017 con cui, in riferimento ad alcune delle Agenzie fiscali (Entrate e Dogane): da un lato si istituisce una nuova posizione organizzativa (con poteri e funzioni sostanzialmente dirigenziali); dall’altro lato si introducono alcuni peculiari benefici (ammissione diretta alle prove scritte e riserva del 50% dei posti) riservati ad una parte del personale dipendente dalla Agenzie stesse.

Con detta ordinanza, n. 7067 del 3 giugno 2019, la sezione II-ter del T.a.r. per il Lazio – chiamata a pronunziarsi sul ricorso della Dirpubblica – Federazione del pubblico impiego avente ad oggetto alcune modifiche apportate al regolamento di organizzazione dell’Agenzia delle Entrate – ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità della legge di bilancio per il 2018 con riferimento alle norme che introducono, nella disciplina regolamentare della predetta Agenzia, nuove posizioni organizzative nonché alcuni benefici per alcuni dei dipendenti interni che intendano partecipare alle procedure concorsuali finalizzate all’accesso ai ruoli dirigenziali della medesima amministrazione fiscale.

L’art. 1, comma 93, della legge di bilancio per il 2018, ha introdotto, all’interno delle due Agenzie delle Entrate e delle Dogane, una nuova posizione organizzativa per lo svolgimento di compiti di “elevata professionalità” [lettera a)], la cui disciplina può essere sintetizzata come segue:

− le nuove posizioni sono affidate, previa selezione interna, a funzionari interni con almeno 5 anni di anzianità nella terza area [lettera b)];

− i titolari delle nuove posizioni possono adottare atti e provvedimenti con rilevanza anche esterna; atti di spesa e di entrata; atti gestionali ed organizzativi [lettera c)];

− per i medesimi titolari è prevista altresì una retribuzione di risultato [lettera d)];

− viene poi delineata una specifica disciplina per l’accesso “a regime” alle qualifiche dirigenziali delle due Agenzie che ricomprende: tipologia di prove (scritti, orali ed eventuale prova preselettiva in caso di elevato numero di candidati); requisiti per accedervi; composizione della commissione di concorso; disposizioni di favore per i dipendenti delle Agenzie fiscali (ossia: possibilità di evitare le prove preselettive per alcune categorie di dipendenti e dunque ammissione diretta alle prove scritte

nonché riserva di posti finali pari al 50% di quelli messi a concorso);

− il regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate è stato conseguentemente modificato, in funzione delle disposizioni primarie innanzi descritte, attraverso la sostituzione dell’art. 12 e la introduzione di un nuovo art. 18-bis (non si discute in questa sede dell’Agenzia delle Dogane che infatti viene estromessa dal giudizio davanti al T.a.r.).

In relazione al requisito della non manifesta infondatezza, il T.a.r. per il Lazio ha individuato tre profili di possibile incostituzionalità, in merito alle richiamate disposizioni legislative, come di seguito sintetizzati:

a) violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost. in quanto verrebbe nella sostanza dissimulato l’esercizio di funzioni dirigenziali [i poteri concernenti la adozione di atti e provvedimenti con rilevanza anche esterna, atti di spesa e di entrata nonché atti gestionali ed organizzativi non rientrerebbero, in effetti, tra quelli della terza area funzionale ma sembrano piuttosto assimilabili a quelli, tipicamente dirigenziali, di cui agli artt. 16 e 17 del decreto legislativo n. 165 del 2001]. Di qui la configurazione di “un nuovo inquadramento” ossia il passaggio ad una fascia funzionale superiore sottratta, tuttavia, alla regola del pubblico concorso (le nuove posizioni organizzative sono infatti riservate a dipendenti “interni” alle Agenzie). E tanto anche in considerazione del fatto che, nel caso di specie:

a1) gli incarichi previsti per l’affidamento delle nuove posizioni organizzative non sono espressamente qualificati – almeno formalmente – come temporanei;

a2) non è previsto alcun termine entro il quale concludere le procedure concorsuali per il reclutamento “a regime” di dirigenti;

b) violazione dell’art. 136 Cost. nella parte in cui la istituzione di tali nuove posizioni organizzative determina la violazione del giudicato di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015. Violazione che si configura non solo allorché il legislatore emani una norma che costituisca «mera riproduzione» di quella già ritenuta lesiva della Costituzione (ovvero che “ripristini o preservi l’efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale”) ma anche nell’ipotesi in cui la nuova disciplina miri a «perseguire e raggiungere, “anche se indirettamente”, esiti corrispondenti»;

c) violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost. nella parte in cui si prevede che, ai fini dell’accesso alla qualifica dirigenziale “a regime”:

c1) i dipendenti interni che per due anni abbiano svolto funzioni dirigenziali oppure quali titolari delle nuove posizioni organizzative ad elevata professionalità, siano esonerati dalla eventuale prova preselettiva;

c2) ai dipendenti interni con dieci anni di anzianità nella terza area sia riservato il 50% dei posti messi a concorso.

Si tratterebbe, in altre parole, di cumulare una doppia serie di benefici (naturalmente per coloro che possiedano entrambi i requisiti dei due anni di funzioni dirigenziali e dei 10 anni di anzianità nella terza area) correlati tuttavia “non tanto alla particolare qualificazione del dipendente (non agevolmente rinvenibile nel mero possesso del requisito dell’anzianità) ma alla condizione di dipendente stesso”. Una simile “ingiustificata discriminazione” si rivela tanto più evidente ove soltanto si consideri che il requisito della mera anzianità decennale è pacificamente posseduto anche da dipendenti di altre amministrazioni.

Non agisco in questa sede da “amicus curiae”, né mi spingerò a teorizzare l’esito del contenzioso in corso, che sarà discusso fra poco all’udienza del prossimo 25 febbraio. Piuttosto, ben più modestamente toccherò rapidamente tre profili che mi sembrano particolarmente rilevanti:

1) Il regime degli atti sottoscritti in caso di eventuale pronuncia di incostituzionalità;

2) Come si porrebbe una eventuale pronuncia di incostituzionalità in rapporto al regime giuridico organizzativo dell’Agenzia delle Entrate;

3) Le eventuali strade alternative percorribili in caso di pronuncia di incostituzionalità.

1) Secondo una certa giurisprudenza la declaratoria d’incostituzionalità importerebbe consequenzialmente la nullità (o comunque l’invalidità) degli atti firmati dai dirigenti non di ruolo (Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez. 2, nella sent. n. 3222/2015 del 31 marzo 2015).

La tesi prevalente è tuttavia quella della conservazione della validità degli atti di accertamento e imposizione firmati da tali soggetti.

Non tanto per la tesi del “funzionario di fatto”, che fa leva sui principi di buona fede e affidamento: essa non sembra tuttavia percorribile dal momento che si tratterebbe di atti pur sempre sfavorevoli nei confronti dei relativi destinatari.

Altra è la soluzione della Corte di cassazione: la normativa speciale che disciplina il settore fiscale nella parte in cui si prevede che i medesimi atti di accertamento, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, possano essere sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza richiedere che il capo dell’ufficio o il funzionario delegato debba necessariamente rivestire una qualifica dirigenziale (cfr. Cass. civ., sez. trib., 9 novembre 2015, n. 22810).

Sulla base di tale giurisprudenza il problema andrebbe quindi inquadrato e risolto in senso affermativo alla conservazione della validità degli atti di accertamento e imposizione firmati da dirigenti non di ruolo.

Il discorso è più delicato in altri settori, che non possono essere approfonditi in questa sede.

Si pensi alla soppressione di Equitalia, avvenuta con d.l. n. 193/2016, sostituita dall’Ente pubblico economico Agenzia delle Entrate-Riscossione, subentrata a titolo universale in tutti i rapporti costituitisi fino a tale data. Ora, la giurisprudenza ha già evidenziato come anche in tal caso il transito di dipendenti e dirigenti di Equitalia nel nuovo ente generi dubbi di legittimità costituzionale, alla luce del fatto che, di regola, il conferimento di incarichi dirigenziali richieda il pubblico concorso, anche se si ha passaggio da un ente privatistico (società per azione) e un ente pubblico economico (v. Cons. St., ord. n. 3213/2017).

In questo caso, peraltro, è più difficile trasporre la soluzione individuata dalla Cassazione, posto che l’art. 42 del Dpr 600/73 attiene alle sole imposte dirette e non anche agli atti della riscossione che, invece, ricadono nel campo di applicazione della normativa generale che non disciplina alcun tipo di delega di sottoscrizione. Di fatto, per gli atti della riscossione è necessaria la firma dei dirigenti, senza possibilità di delega alcuna, posto che per tali atti non esiste una norma che disponga che siano firmati dal funzionario competente delegato.

2) Bisogna rilevare che i precedenti sono nel senso di far ritenere, al di là del caso strettamente processuale della violazione del giudicato costituzionale prospettata nell’ordinanza di remissione, un accoglimento della questione.

Infatti la giurisprudenza costituzionale è granitica nel ritenere che “nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta ‘l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso’ (sentenza n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre, sentt. n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009)”.

Secondo la Corte, in linea astratta, una norma che consenta il conferimento non definitivo a funzionari d’incarichi dirigenziali, cioè a soggetti privi della relativa qualifica, in attesa del completamento delle procedure di concorso, non è in contrasto con i principi prima richiamati.

A condizione, tuttavia, che tale conferimento sia precisamente delimitato nel tempo. È proprio ciò che si è ritenuto mancare con la sent. n. 37/2015, ed è ciò di cui dubita il Tar Lazio con riguardo alla nuova disciplina.

Piuttosto, si può riflettere se dare prevalenza all’inquadramento pubblicistico possa far sbiadire la specificità delle agenzie fiscali come modello organizzativo alternativo a quello ministeriale oppure, da una prospettiva diametralmente opposta, se il caso dell’accesso alla dirigenza non mostri proprio come il paradigma organizzativo “agenzia” sia sempre stato forzato rispetto al corpo pubblico titolare della funzione erariale. Insomma, il caso muove dall’importante ambito tematico rappresentato dall’accesso ad una dirigenza pubblica mediante concorso ma lo trascende, potendo fungere da prisma rivelatore dell’effettiva presa di una parte rilevante del processo di agentrification nel sistema amministrativo italiano e delle sue genetiche contraddizioni (cfr. L. Saltari, L’accesso alla dirigenza pubblica per concorso non conosce eccezioni, nota a Corte cost., 17 marzo 2015, n. 37, in Giorn. dir. amm., 2016, 33 ss.).

Sul punto si è osservato che le posizioni dirigenziali sono sempre state importanti. In un nuovo apparato, che si vuole capace di conseguire performance superiori all’amministrazione tradizionale, lo sono (possibilmente) ancora di più. Non è, allora, irragionevole che questo ente si doti di regole per l’accesso alla dirigenza in parte diverse da quelle valide nelle altre amministrazioni pubbliche. Se si applicano nelle agenzie le stesse statuizioni che reggono la burocrazia si corre il rischio di sbiadirne l’innovatività e, in definitiva, le possibilità di divenire l’ala marciante dell’amministrazione. Nel settore privato, la progressione interna che porta a posizioni dirigenziali sub-apicali è la prassi invalsa.

Nella posizione assunta dalla giurisdizione amministrativa e da quella costituzionale hanno certamente influito l’evidenza delle resistenze al processo di managerializzazione che tendono a mantenere le agenzie impigliate nell’orbita burocratica. Per questo i due ordini giurisdizionali si sono mossi contro quello che hanno ritenuto essere un eccesso di autonomia che allontana dai canoni comuni dell’amministrazione pubblica e può essere foriero d’ingiustificati vantaggi per gli organi che ne godono. Quest’orientamento, al netto della sua teorica condivisibilità, mette in discussione la stessa plausibilità dell’applicazione del modello organizzativo “agenzia” nella parte maggiore dell’amministrazione fiscale italiana.

D’altra parte l’Agenzia delle entrate non opera sul mercato. Essa è titolare di penetranti poteri imperativi, tipica espressione della sovranità statale. Per essa, allora, distinguere tra policy e management diviene complesso in concreto tanto che le due sfere sarebbero separabili solo in astratto. Non è un caso che il modello autonomo delle Agenzie, in un Paese che è stato modello dei descritti processi di aziendalizzazione, sulla base del c.d. New Public Management, ovvero la Gran Bretagna, riguardi soprattutto enti erogatori di beni e di servizi, più che titolari di funzioni.

Bisogna però dire che, se questo è vero, è anche vero che di recente la giurisprudenza europea e italiana dà un’interpretazione molto restrittiva di “funzione pubblica” (si v. il caso dei direttori stranieri dei musei, considerati legittimi dal Consiglio di Stato proprio sulla base di tale esegesi restrittiva).

3) Per svolgere i concorsi occorre tempo.

Sennonché soluzioni alternative al concorso sarebbero definitivamente precluse da una seconda declaratoria d’incostituzionalità. L’idea ormai invalsa è che un’amministrazione che funziona dipenda (anche) dalla sua capacità di attrarre e selezionare personale qualificato. In questa prospettiva è evidente che le modalità del reclutamento influenzano l’autoselezione dei soggetti che aspirano all’impiego pubblico.

Si consideri, ad esempio, che il d.lgs. n. 75/2017, che ha novellato in più punti il Testo unico sul pubblico impiego, se da un lato ha introdotto il sistema del piano triennale dei fabbisogni, più flessibile di quello tradizionale delle dotazioni organiche, dall’altro ha stabilito che per quanto attiene la stabilizzazione del precariato essa debba avvenire con pubblico concorso. Ciò sia nel caso di stabilizzazione del precariato ancora in servizio (art. 20), ad esempio mediante procedura concorsuali riservate, sia nel caso di ricorso ex novo della p.a. a regime di lavoro flessibile (art. 9).

Si possono quindi prefigurare due soluzioni che consentano di conciliare le peculiarità dell’Agenzia delle Entrate, che voglia configurarsi come effettiva “agenzia”, con le esigenze dell’imparzialità e con la regola del pubblico concorso, oltre che con le i caratteri della funzione pubblica, distinta dall’ente erogatore di beni e di servizi.

Una nel breve periodo, l’altra in un regime in cui venga definitivamente affermata la regola del pubblico concorso.

a) Lo Stato ha la necessità di poter contare su un’amministrazione fiscale pienamente efficiente per tenere in equilibrio i propri conti. Una soluzione cui si potrebbe pervenire, avvalendosi dell’autonomia regolamentare (e/o, forse, addirittura in via di contrattazione collettiva), potrebbe essere l’enucleazione di una figura non dirigenziale ma superiore a quella del funzionario direttivo. Per tale posizione potrebbe immaginarsi un compenso maggiore del livello sub-dirigenziale ma necessariamente inferiore a quello dirigenziale. Questo nuovo disegno potrebbe essere sfruttato per correggere il regime della retribuzione incentivante ancorando il premio dal quantitativo accertato a quello effettivamente riscosso.

b) In ogni caso, al fine dell’indizione del concorso che dovrà comunque esserci, specie in caso di possibile sentenza di incostituzionalità, sembra plausibile ricavare da un’analisi sistematica elementi che possono far considerare l’Agenzia delle entrate un organo amministrativo dai tratti peculiari per il quale può essere ammissibile una differente declinazione delle regole per l’accesso alla dirigenza (come previsto dal legislatore nell’art. 71, comma 3, D.Lgs. n. 300/1999).

Ciò deve aversi, però, nel rispetto sostanziale della regola del concorso pubblico aperto, e quindi solo se la declinazione della disciplina dell’accesso alla dirigenza non sia tale da precludere le opportunità degli esterni. Il riconoscimento, con specifici punteggi, del valore dell’esperienza degli interni, e il condizionamento del definitivo ingresso in ruolo con un periodo di applicazione, non può che essere calibrato in modo tale da consentire ai più capaci e qualificati dei concorrenti esterni di entrare come dirigenti nell’Agenzia.

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3 commenti su “Il Re pallido dinanzi alla Consulta: le “posizioni organizzative a elevata responsabilità” e l’Agenzia delle Entrate”

    • Le Posizioni organizzative sono previste anche nel CCNLEL ENti Locali, non mi sembra che gli incarichi vengano dati a seguito di concorso. È possibile avere una risposta?

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  1. La domanda sui dirigenti scolastici è correttamente posta.
    In effetti il Consiglio di Stato, con una serie di ordinanze del 2017, ha dubitato, fra l’altro, della costituzionalità del sistema di accesso proprio in questo settore, per violazione degli artt. 3, 51, 97 Cost., poiché la speciale procedura limiterebbe in modo irragionevole l’accesso ai ruoli dei dirigenti scolastici.
    La Corte costituzionale, con sentenza n. 106 del 2019, ha però dichiarato inammissibile la questione per mancanza di rilevanza, quindi di fatto non è entrata nel merito delle censure. Lo ha fatto solo con riguardo a una disciplina speciale contenuta nella legge sulla “buona scuola” del 2015, volta a tutelare le aspettative di vincitori di contenziosi degli anni 2004 e 2006, dichiarando, nel bilanciamento degli interessi, l’infondatezza della questione per ragioni di affidamento di questi ultimi e di tutela dell’efficacia dell’azione amministrativa.
    Sicché il dubbio resta aperto, e non è da escludere un intervento futuro del giudice delle leggi, eventualmente chiamato nuovamente a pronunciarsi sulla conformità al principio del pubblico concorso della procedura di corso-concorso prevista per i dirigenti scolastici.
    Quanto alle Posizioni Organizzative nel Enti locali, quando ho prefigurato la soluzione – eventualmente anche in via di contrattazione collettiva – di una figura non dirigenziale ma superiore a quella di funzionario direttivo, ho pensato proprio alla recente disciplina apportata dal CCLN del maggio 2018, che prevede incarichi di alta professionalità con atto scritto e motivato, conferiti per un massimo di 3 anni tenendo conto di taluni requisiti (culturali, attitudini e capacità professionali, etc.).

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