Il neo-segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti ha chiamato a far parte della Direzione nazionale, tra gli altri, Michele Emiliano, attuale Presidente della Regione Puglia. Ciò in forza dell’art. 8, comma 3, dello Statuto di quel partito secondo cui “il segretario nazionale può chiamare a farne parte, con diritto di voto, venti personalità del mondo della cultura, del lavoro, dell’associazionismo, delle imprese”.
Tale nomina suscita più di una perplessità.
Innanzi tutto, è discutibile se un politico ed ex magistrato come Emiliano rientri tra le categorie all’interno delle quali il segretario possa operare tali nomine. Riecheggiano qui, mutatis mutandis ovviamente, le polemiche insorte a seguito della nomina di taluni esponenti politici a senatori a vita, i quali, ai sensi dell’art. 59 Cost., devono aver “illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.
In secondo luogo, si pone il problema se possa entrare a far parte dell’“organo d’indirizzo politico” di un partito, con compiti “di esecuzione degli indirizzi dell’Assemblea nazionale”, chi di quel partito non fa parte, non essendo Emiliano tesserato del Pd (per le ragioni che diremo a breve). A chi ne dubita, si potrebbe con un certo fondamento replicare che, in un organo composto da circa 150 persone (di cui 120 eletti dall’Assemblea nazionale), ben potrebbe un partito riservarne una quota a soggetti esterni, non iscritti, perché offrano il loro contributo in ragione delle loro competenze maturate per l’appunto nel “mondo della cultura, del lavoro, dell’associazionismo, delle imprese”.
Sono entrambe questioni, alla fine, interne al partito e quindi, come tali, scarsamente giustiziabili.
Non così la terza, decisiva. Emiliano è stato costretto a non rinnovare la tessera del PD dopo che la Corte costituzionale, con sentenza n. 170 dello scorso 4 luglio ha stabilito che, come i magistrati in servizio, anche quelli in aspettativa per l’espletamento di un incarico elettivo non possono né iscriversi, né partecipare “in modo sistematico e continuativo a partiti politici”, pena la commissione di un illecito disciplinare (art. 3.1.h) d.lgs. 109/2006) sanzionabile dal Consiglio superiore della magistratura, fino alla rimozione.
La Corte, infatti, ha ritenuto tale divieto conforme ai principi di indipendenza ed imparzialità che devono caratterizzare la funzione esercitata dai magistrati (artt. 101.2, 104.1 e 108.2 Cost.), in nome dei quali il legislatore può ben limitare il diritto dei magistrati ad iscriversi ad un partito politico (art. 98.3 Cost.). Tutti i magistrati, dunque, devono non solo essere ma anche apparire imparziali ed indipendenti in ogni aspetto della loro vita pubblica, inclusi coloro che ricoprono un mandato elettivo o un incarico politico al cui termine potrebbero tornare alla giurisdizione.
Se così è, la nomina di Emiliano alla Direzione del Pd pare una chiara violazione del divieto legislativo, avvalorato dalla recente sentenza della Corte, che impedisce ai magistrati, ancorché fuori ruolo, la partecipazione “in modo sistematico e continuativo” alla vita del partito politico in questione.
Già si potrebbe dubitare che non sia “continuativa”, sotto il profilo temporale, la partecipazione ad un organo che si riunisce “almeno una volta ogni due mesi”, e che comunque potrebbe essere sempre convocato in via straordinaria. Tale dubbio aumenta se si tiene conto che è certamente sistematica quella partecipazione che si traduce non in un’attività episodica e marginale ma, addirittura, nella nomina del magistrato, anche da non iscritto, nell’organo principale d’indirizzo politico di un partito politico.
Alla luce di quanto sopra, non è difficile prevedere che la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura tornerà ben presto – volente o nolente – ad occuparsi nuovamente del caso Emiliano.
Il che, sinceramente, non può lasciare perplessi chi ritiene che le istituzioni vadano alla fine rispettate, e non continuamente sfidate.
ma qual è il senso di continuare a rilanciare una bufala?