A partire dal 1925, il regime Fascista approvò una serie di norme che sarebbe forse il caso di non consegnare all’oblio. In massima sintesi, e con ampio rimando ad uno qualunque tra i più comuni libri di storia in circolazione:
- il Parlamento perse la possibilità di sfiduciare l’Esecutivo;
- quest’ultimo fu di fatto dotato di potere legislativo;
- lo sciopero fu inizialmente vietato, per poi divenire un crimine penalmente perseguibile;
- la stampa fu assoggettata al controllo del Governo;
- il popolo ‘sovrano’ poté eleggere solo deputati graditi al Gran Consiglio del Fascismo.
Sarebbe interessante chiedere al Presidente del Parlamento europeo, l’Europarlamentare Antonio Tajani, quanti ponti, autostrade, bonifiche e tagli di nastro siano attribuibili al pur operoso regime Fascista per poter bilanciare in ‘positivo’ la bozza di elenco sopra descritta.
Già, perché il sospetto è che il giudizio storico nei confronti di un regime autoritario non possa basarsi sulla quantità di cose fatte, ma prima di tutto sulla qualità. Sopprimere la democrazia – o, come diceva Montanelli, quantomeno seppellirla, visto che già prima del 1922 la situazione non era certo esaltante – consente di mettere sull’altro piatto della bilancia qualcosa che possa ‘pesare’ in modo più o meno uguale?
Ma anche a tacere di questo, il delitto Matteotti, le leggi razziali, l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale accanto al regime nazista… sono davvero fatti accantonabili in un giudizio storico, sostenendo che al netto di ciò, tutto sommato, non andò così male? O forse si tratta di eventi ‘assorbenti’, la cui inaudita gravità non cancella certo quel che di buono può pure essere stato fatto, ma impone di avere sempre a mente il senso delle proporzioni e della misura con cui valutare le cose veramente importanti e qualificanti di un ‘regime’?
C’è qualche possibilità che il giudizio storico debba essere in realtà rovesciato, affermando che al netto degli ottimi ponti costruiti nulla può pareggiare l’infamia di un regime liberticida?
In caso contrario sarebbe difficile comprendere per quale motivo la nostra Costituzione individui ‘schmittianamente’ proprio nel fascismo e nella monarchia (art. 139 Cost.; XII disp. trans. fin. Cost.) i due nemici contro i quali erigere il nuovo regime Repubblicano e democratico.
Certo, sono riflessioni minime, quasi pleonastiche: ma proprio per questo dovrebbero essere parte del patrimonio culturale ‘minimo’ di qualunque cittadino italiano (art. 54 Cost. primo e secondo comma), a maggior ragione se autorevolmente rappresentativo di istituzioni che fondano la propria essenza sul rispetto della «dignità e diritti umani, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto» (art. 2 TUE).
Il valore “perduto” della DEMOCRAZIA!
I vece di biasimare ipocriticamente le parole forse imprudenti ma sostanzialmente veritiere (la dittatura assicura sempre una maggiore efficienza su progetti puntuali, condivisi o meno, che non qualsiasi forma di democrazia), gli studiosi farebbero meglio aiutare i competitori politici e l’opinione pubblica a capire quello che nelle istituzioni e nelle norme, esistenti o solo progettate, e nel discorso pubblico da tempo allontana il paese dall’ideale della democrazia liberal-democratica e l’avvicina impercettibilmente al modello ducale ed autoritario affermatosi poco meno di un secolo fa. The Economist che a settembre del 2016 chiamò a votare contro la grande riforma promossa dal governo di allora l’aveva capito ben prima della formazione del primo governo populista in Europa.
Tra le opere buone si potrebbero aggiungere la Previdenza Sociale, i treni che marciavano in orario (però erano meno di quelli odierni) e qualcosa ancora. Peccato… perché un paio di guerre in Africa, lo squadrismo, le leggi antisemite, l’alleanza con la Germania di Hitler e qualcosa ancora, hanno annullato quello che di buono c’era stato. U.S.