Ma davvero si pensava e si pensa che si potesse e si possa governare il Paese, sottoscrivendo dinanzi ad un compiacente notaio (nel senso di professionista privato), un “contratto politico” tra due leader sicuri, in quanto elevati al rango di “capi partito” come richiesto da esplicita previsione legislativa, di potere sempre e comunque contare sul sostegno delle rispettive “truppe” parlamentari, considerate, in verità con qualche ragione, alla stregua di una ubbidiente fanteria d’assalto?
Ma davvero si pensava e si pensa che basti individuare un paziente (non si sa se più inconsapevole o protervo) “mediatore” da collocare formalmente alla guida del Governo per riuscire ad individuare in ogni caso il punto di compromesso tra le differenti prospettazioni politiche e le contingenti necessità di due forze politiche così geneticamente diverse tra loro per come erano e comunque restano il M5S e la Lega?
L’affermazione dell’indirizzo politico resta pur sempre una faticosa, continuativa e fluente costruzione di decisioni puntuali, produttive di effetti concreti e non già di velleitarie sperimentazioni che, forse, un giorno si concretizzeranno (altro che richiamarsi ai “patti” sottoscritti in “coppia” tra l’altro in contesto diverso e oggi sicuramente mutato). Al di là dei doverosi e inevitabili passaggi procedurali, per quanto li si voglia ridurre all’osso (come è noto i disegni di legge e i decreti governativi vanno pur sempre “scritti” da qualcuno e una qualche “sosta” in Consiglio dei ministri la devono pur fare, egualmente le leggi vanno comunque “minimamente” discusse e comunque votate nelle sedi parlamentari prima di essere presentate all’attenzione del Capo dello Stato e poter entrare in vigore), la scelta di non deliberare su questioni cruciali e divisive – la politica del rinvio – potrebbe banalmente assecondare la pura e semplice convenienza personale di qualche leader, la cui posizione di “comando” acquisita rappresenta il tutto esistenziale di cui sembra poter disporre. Neppure in questa melanconica stagione nella quale si trovano a sopravvivere le istituzioni del nostro Paese si può pensare di fingere di governare, sperando che la cosa possa passare inosservata ancora per molto.