C’è un filo rosso che lega le dichiarazioni del Presidente Mattarella e il voto del Parlamento europeo contro l’Ungheria. Del tutto casuale, ovviamente, ma dal punto di vista concettuale a me pare molto penetrante.
Con parole sacrosante, che in questo momento – proprio perché dette dalla massima istituzione della Repubblica – rappresentano davvero una boccata d’ossigeno della quale essere grati al Capo dello Stato, Mattarella ha ricordato ciò che dovrebbe essere ovvio: nessuno è al di sopra della legge, politici compresi; i giudici sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 Cost.), e devono lavorare con una serietà pari alla serenità che le altre istituzioni, in un clima di reciproco rispetto, sono tenute a garantire loro; l’elezione non pone l’eletto al riparo dalle regole, e qualunque argomento che sfrutti il tema del ‘voto’ per pretendere immunità alla legge e alla Costituzione è semplicemente eversivo (art. 54 Cost.).
Vista la cronaca delle ultime settimane, i destinatari ‘impliciti’ del discorso del Presidente sono sembrati a tutti chiarissimi: ma bisognerebbe evitare di contestualizzare eccessivamente il discorso; una certa allergia alle regole, e soprattutto alla pretesa di imporre regole alla politica tramite la Costituzione, è connaturata al nostro Paese, dove non esistono principi (giuridici e non), ma solo ideologie. Il fine, questo si dice in sostanza, giustifica sempre i mezzi (tradotto, giusto per fare uno dei possibili esempi: l’obiettivo è combattere l’immigrazione clandestina? Bene, qualunque mezzo per ottenere questo risultato, legale o non, è legittimo). Dal punto di vista giuridico, si tratta forse della più sesquipedale delle aberrazioni.
Si può criticare, ci mancherebbe altro, il Capo dello Stato, come è legittimo non è essere d’accordo con alcune sue scelte (ho nutrito e nutro ancora qualche dubbio sulla gestione della vicenda ‘Savona’). Ma è impossibile non riconoscere il valore di queste parole, a maggior ragione in questo momento: Mattarella, dato il suo ruolo, rappresenta per esplicita disposizione costituzionale «l’unità nazionale» (art. 87). La formula prescelta dai costituenti è a dire il vero ambigua, e da sempre interroga gli studiosi. Ciò premesso, è difficile negare che in una democrazia fondata sul pluralismo, dove i cittadini e i partiti hanno il diritto costituzionale di essere ideologicamente divisi su tutto, un punto d’unione serve, un tratto comune che si imponga a prescindere dalle legittime differenze è comunque essenziale perché regga il sistema; e il rispetto della legge e della Costituzione, qualche che sia l’opinione o il ruolo politico, sembra fatto ad hoc per conferire un pieno e penetrante significato al concetto di «unità nazionale».
I giudici servono a garantire concretamente tutto questo, ed eventuali accuse di parzialità nei loro confronti non vanno semplicemente affermate: devono essere provate; in caso contrario, vige – deve vigere – il reciproco rispetto istituzionale. Sempre.
Più o meno nelle stesse ore, il Parlamento europeo votava per l’attivazione della cosiddetta opzione nucleare nei confronti dell’Ungheria (art. 7.1 TUE): si tratta di una procedura della quale si è qui già avuto modo di parlare (in tema di Polonia). Le probabilità che essa conduca ad effetti giuridici concreti è labile, ma dal punto di vista politico – e forse anche simbolico – non vi è dubbio che si tratta di un fatto molto importante: sia perché l’input è venuto questa volta dal Parlamento europeo, cioè direttamente dall’organo rappresentativo dei cittadini UE; sia perché – nonostante la stampa italiana sia spesso concentrata solo sul rapporto tra la politica di Orban e l’immigrazione – i fronti di crisi dello Stato di diritto in Ungheria sono molti: tra questi, spicca proprio l’indipendenza dei giudici e la loro possibilità concreta di controllare il potere politico; le riforme legislative e costituzionali assunte in quel Paese in questi anni vanno nella direzione esattamente opposta, comprimendo lo spazio di libertà dell’organo giudiziario, la sua autonomia rispetto agli altri poteri e, soprattutto, le condizioni concrete entro le quali esercitare pienamente il proprio ruolo.
La regressione nei confronti dei principi cardine dello Stato di diritto è, dunque, fin troppo eloquente, e purtroppo concreta.
Il silenzio dell’Europa sul punto sarebbe stato davvero intollerabile, e avrebbe di certo contribuito ad incrementare una sfiducia – per certi aspetti assai giustificata, per altri frutto di dolosa mistificazione – nei confronti dell’istituzione ‘comunitaria’ già ora a livelli assai preoccupanti.
Inutile dire che la situazione italiana è lontana – per fortuna – anni luce da quella ungherese, e qualunque paragone sarebbe del tutto fuori luogo: proprio per questo, però, il voto sfavorevole all’iniziativa del Parlamento europeo da parte di alcuni importanti partiti italiani risulta assai difficile da comprendere, e soprattutto da digerire; viene quasi da pensare che non si sia compresa la reale portata della posta in gioco (1,2) o, vista la cronaca degli ultimi tempi, che la si sia compresa benissimo: difficile dire quale delle due ipotesi sia più allarmante.