Il 24 luglio scorso il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge di conversione del decreto legge 29 maggio 2018, n. 55 recante “Ulteriori misure urgenti a favore delle popolazioni dei territori delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016”.
Anche in questa occasione il Presidente Mattarella ha ritenuto di ricorrere a uno strumento di moral suasion. La promulgazione è stata infatti accompagnata da una lettera, indirizzata al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, con la quale il Capo dello Stato ha manifestato forti perplessità sul merito della normativa approvata dal Parlamento.
Questo episodio non rappresenta una novità. L’invio di lettere con cui il Presidente della Repubblica manifesta il proprio disagio all’atto di promulgare una legge poteva essere considerato come un atto atipico soltanto nel corso del settennato di Pertini (il primo ad usare questo strumento).
La Corte costituzionale ha chiarito con la sentenza n.1 del 2013 che l’evoluzione delle dinamiche istituzionali porta oggi a ritenere le iniziative di moral suasion pienamente rientranti nell’ambito delle funzioni del Capo dello Stato.
Rispetto alla promulgazione delle leggi si sono venute a definire due distinte ipotesi di intervento: il Presidente della Repubblica interviene sostanzialmente nella fase deliberativa del procedimento legislativo dettando, informalmente, le “condizioni di promulgabilità” della legge; il Presidente della Repubblica promulga la legge, ma fa seguire alla promulgazione proprie osservazioni e propri auspici rispetto al suo contenuto normativo.
Quanto alla prima ipotesi, si pensi alle vicende relative alla approvazione della legge 7 novembre 2002, n.248 (cosiddetta legge Cirami) recante la nuova disciplina della rimessione del processo penale; a quelle relative alla approvazione della legge finanziaria del 2003, sulla disciplina del concordato fiscale. Oppure all’episodio, più noto, della approvazione della legge elettorale 21 dicembre 2005, n. 270 (recante «Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica»). In quella occasione i contatti tra il Segretario generale della presidenza Gaetano Gifuni e Gianni Letta, suo interlocutore presso il Governo Berlusconi, hanno avuto ampia eco da parte degli organi di stampa (per tutti Passarini, In tre punti a rischio la mannaia del Colle, in La stampa del 7 ottobre 2005). Carlo Azeglio Ciampi indicò in tre punti essenziali le condizioni di promulgabilità della legge: 1) la necessità di garantire una rappresentanza alle minoranze linguistiche malgrado la soglia di sbarramento del 2 o 4 %; 2) la eliminazione dalla scheda elettorale della indicazione del nome del candidato alla Presidenza del consiglio che avrebbe svuotato di contenuti il potere presidenziale di nomina; 3) una ridefinizione del criterio di assegnazione del premio di maggioranza al Senato.
Quanto alla seconda ipotesi si può guardare alla promulgazione della legge di conversione del decreto legge n.63 del 2002, istitutivo della società Patrimonio S.p.A., cui il Presidente Ciampi faceva seguire una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri con la quale invitava il Governo a predisporre strumenti idonei a garantire l’inalienabilità di beni di particolare valore culturale costitutivi dell’identità nazionale.
La lettera inviata da Mattarella a Conte rientra nella seconda ipotesi e presenta diversi aspetti degni di nota. Il Presidente della Repubblica formula precise osservazioni in ordine a tre questioni: la notevole differenza di ampiezza tra il contenuto normativo del decreto legge e quello della legge di conversione; l’interferenza del potere legislativo sul giudiziario; la coerenza dell’intervento legislativo.
Rispetto al primo punto il Capo dello Stato si limita a sottolineare che il testo originario del decreto si limitava a prorogare i termini per adempimenti tributari e contributivi mentre in sede di conversione sono state introdotte norme di carattere urbanistico e relative alla semplificazione dei procedimenti amministrativi. Il tema è quello dei limiti alla emendabilità del testo dei decreti di legge. La giurisprudenza costituzionale e la prassi del Quirinale sono rispetto ad esso divergenti: per la Corte costituzionale (sentenza n. 237 de 2013) la legge di conversione non deve necessariamente essere fondata sulle stesse esigenze di necessità e di urgenza che giustificano l’adozione del decreto, purché vi sia una omogeneità complessiva della normativa rispetto al suo oggetto e al suo scopo; la prassi presidenziale è invece orientata a ritenere che le norme introdotte in sede di conversione debbano giustificarsi in termini di necessità e di urgenza analoghi a quelli che hanno condotto all’adozione del decreto (si veda la lettera del 27 dicembre 2013, su cui torneremo tra poco, con cui il Presidente Napolitano intervenne rispetto alla conversione del decreto-legge n. 126 del 31 ottobre 2013, cosiddetto salva-Roma).
Nella lettera inviata a Conte il Presidente Mattarella conferma la linea del Quirinale ,sottolineando la “chiave emergenziale” che caratterizza gli emendamenti. Sotto questo profilo non vi sono quindi particolari questioni.
Più preoccupata è la voce del Presidente della Repubblica rispetto alla possibile tensione cui è sottoposto il principio di separazione dei poteri dall’articolo 7, comma 3, del decreto, là ove stabilisce l’inefficacia delle misure di sequestro preventivo disposte sugli immobili costruiti in violazione delle norme urbanistiche tra il 24 agosto 2016 e il 29 maggio 2018 (data di emanazione del decreto). Il Quirinale nota che «la disposizione risulta asistematica e lesiva della intangibilità ex lege dei provvedimenti giudiziari, sottraendo alla magistratura la esclusiva competenza a valutare i presupposti per il permanere delle misure di sequestro (articoli 321 e 355 c.p.p.)».
Infine vi è la preoccupazione rispetto alla razionalità dell’intervento normativo. La lettera del Presidente sottolinea l’irragionevolezza di una disciplina che assicura la non punibilità rispetto ad alcuni reati mentre «nulla si prevede in riferimento ad altre fattispecie (in materia di edilizia, urbanistica e tutela di aree protette) che sovente ricorrono nelle ipotesi di realizzazione di opere in assenza delle prescritte autorizzazioni in zone soggette a vincoli».
Alla luce di queste osservazioni il Presidente Mattarella sollecita l’intervento del Governo per «l’individuazione dei modi e delle forme di un intervento normativo idoneo a ricondurre a maggiore efficacia, in tempi necessariamente brevi, la disciplina in questione». Si tratta di una presa di posizione severa nei contenuti e nei toni che tuttavia manifesta una precisa scelta di equilibrio da parte del Capo dello Stato.
La lettera non interviene prima della approvazione della legge di conversione per indicare condizioni di promulgabilità o per minacciare un rinvio alle Camere che, visti i termini imposti dall’art. 77 Cost., equivarrebbe ad un veto (la semplice minaccia formulata nella lettera di Napolitano ai Presidenti delle Camere portò il Governo a rinunciare al decreto salva-Roma spacchettandone il contenuto in distinti provvedimenti). Essa rappresenta un monito col quale il Capo dello Stato intende manifestare al Presidente del Consiglio l’attenzione e la preoccupazione, per certi versi anche pedagogica, con cui sono seguite le iniziative del Governo.
Resta solo da chiarire un dubbio: sarà il destinatario in grado (politicamente) di leggerla in piena autonomia?